«Avresti dovuto insegnarmi ad amarmi».
«Avresti dovuto permettermelo».
«Avrei dovuto permettertelo».
Titolo: Zenith
Autore: Stefano Saccinto
Editore: Autopubblicato
Pagine: 202
Anno pubblicazione: 2016
Prezzo: ebook 2,99 – Brossura 11,69
Reperibilità: Online
Dal web
Colleterno è una lugubre cittadina con un cimitero abbarbicato su una delle colline che la circondano. Tra le sue stradine male illuminate e solitarie Sico, un ragazzo di sedici anni, si aggira in moto in una notte d’estate per tornare a casa. Colleterno è immersa in una atmosfera irreale a causa dell’inspiegabile freddo invernale che l’ha invasa dopo una giornata di pioggia ininterrotta. La città sembra viva, pulsante, trabocca oscurità e angoscia. Sconvolto dalla paura e con la sensazione di essere seguito da quella oscurità, Sico inizia a correre sempre più veloce sulla sua moto, fino a perderne il controllo e a cadere. Si risveglia immerso completamente nel buio. Si mette in cammino attraversando visioni assurde fino a raggiungere una tetra valle puntellata di sterpaglia con i profili di alberi scheletrici sullo sfondo. Due ragazze emergono dal silenzio della valle. Gli spiegano che la sua vita è sospesa, che può tornare indietro, ma per farlo dovrà salvare almeno cinque delle nove anime che raggiungeranno la valle. Sono anime di persone che moriranno quella notte, ognuna con la sua storia, ognuna col suo finale che Sico dovrà cercare di cambiare per riportare tutti indietro.
“Dove si sta spingendo il tuo sguardo? Che cosa vedi, attraverso il buio?”
Un oscuro futuro. Chiusi gli occhi per vederlo meglio.
Io sono una rompiballe.
Partiamo subito col precisare questo. Sono molto critica e selettiva con i romanzi, autopubblicati o best-seller non fa differenza. Dal momento che amo sia leggere che scrivere, non mi faccio problemi a bocciare un libro, perché ho sempre pensato che solo chi merita davvero debba spiccare, e che con solo i complimenti non si possa migliorare davvero.
Io quando sto per iniziare un romanzo.
Il self-publishing non ha selezione, tutti possono mettere in vendita il proprio lavoro, senza correzione di bozze o editing. Per questo motivo, il web è intasato di romanzi balordi, pieni di errori e forzature, senza senso, con grammatica inesistente, che vorresti solo lanciare dalla finestra.
Quello che vorrei fare a molti autori esordienti.
Quindi, quando mi capita un romanzo come questo, resto quasi allibita. Perché è rarissimo.
TRAMA
Non sapevo quando era successo di preciso, ma un oscuro legame si era ormai radicato in profondità. I morti mi appartenevano. Io appartenevo ai morti.
Il mio primo pensiero, leggendo la trama di questo romanzo è stato: Protagonista adolescente, persone da salvare… ecco il solito eroe senza macchia, che cercherà di salvare tutto e tutti perché “i buoni” fanno così.
La storia non è buonista, dolce o romantica; è cruda, scomoda e anche se non vuoi ti trascina dentro, ti costringe ad avere un’opinione, e spesso non è piacevole.
Le scene che ci passano davanti non sono leggere; ma forti, cattive, a volte cattivissime. E ti restano impresse nella mente per molto tempo.
SCENE VIOLENTE
In questo romanzo la violenza è un punto chiave; è attraverso di essa che si racconta ogni cosa. Il protagonista non si fa problemi a colpire, uccidere, mutilare, squartare o torturare; a perdere il controllo e sfogare tutta la sua rabbia (che spesso corrisponde anche a quella del lettore) per raggiungere il suo scopo. E l’autore non si fa problemi a raccontarci tutto, nei minimi dettagli.
PERSONAGGI
I personaggi sono un altro punto forte di questo romanzo. L’autore è riuscito a creare delle persone totalmente diverse l’una dall’altra, ma con sentimenti così umani che il lettore riesce a rivedersi, in misure differenti, in ognuna di loro.
Per ogni anima da salvare, l’autore ci pone indirettamente una domanda o un dubbio, e spesso la risposta che diamo a noi stessi non è quella che ci saremmo aspettati.
Il susseguirsi di questi personaggi tocca le corde giuste, nel giusto ordine; e spesso fa male.
SICO
Avevo sempre e solo barcollato alla ricerca di un equilibrio. La paura di cadere si era trasformata in freddo. Il freddo in solitudine. La solitudine in voglia di lasciarsi andare, di smettere di sfidare l’impossibile e accettare l’idea della morte per quello che era.
Il protagonista non è un buono o un eroe; è cinico e svuotato. Rappresenta la disillusione portata all’estremo, ma resterete sorpresi dal numero di volte in cui è facile trovarsi d’accordo con lui.
Un personaggio come lui riesce a rendere imprevedibile una trama semplice e lineare, tenendovi incollati alla pagina.
Ero lì da sempre, da decenni, da secoli, dall’inizio dell’eternità a correre e inseguire me stesso senza mai raggiungermi. Nudo, senza un passato e senza un presente, perso in un ciclo senza fine e senza futuro. Correvo dall’inizio della notte, tra l’ignoto e la realtà. Correvo dalla morte soltanto per andarle incontro.
Ha un percorso e un’evoluzione che coinvolge anche il lettore più cinico. I nostri pensieri sulla trama evolvono ed esplodono insieme ai suoi.
Mi lasciai cadere, all’indietro. E mentre cadevo guardai nel cielo il punto più alto che lo sguardo riuscisse a raggiungere. Persa ai confini dell’esistenza, attraverso quell’infinità di spazio senza memoria, nella direzione dello zenith, esisteva la mia coscienza, la mia anima. Esistevo io. Senza un limite, senza una fine.
LA MORTE
Mi chiedevo che fine aveva fatto il mondo. Colleterno, Domenico, Claudio, Paolo, i miei unici amici. I miei genitori. Mi chiedevo di Lei. Mi chiedevo quanto fossero lontani e cosa stesse facendo ognuno di loro. Stavano dormendo di sicuro. Forse vagando attraverso i loro sogni, avrebbero potuto incrociare i miei e intravedermi, avremmo potuto incontrarci ancora. Oppure tutto iniziava davvero a finire e non avrei mai più visto nessuno di loro. Non si sopravvive a una cosa come quella che mi era capitata. Questo non era nient’altro che l’ultimo sogno di un uomo già morto, un film per un solo spettatore, un sogno vivido come un’altra forma di realtà viva dall’altra parte della notte.
Noi sappiamo già che il protagonista morirà, eppure l’autore riesce lo stesso a non rendere la sua morte scontata. Ci fa immedesimare nel protagonista, con pensieri e flussi di coscienza.
IL CINISMO
«Perché dovrei salvare queste anime, che senso ha tornare indietro?» cercai di recuperare l’equilibrio ancora instabile mandando avanti i piedi di qualche passo «Vivere non serve a niente. Ogni cosa è fatta per scomparire, tutte le vite si perdono nel nulla».
A Sico non importa niente di salvare le anime, non vuole fare l’eroe. È un morto rassegnato, che vuole solo essere lasciato in pace.
E in un mondo di eroi senza macchia, con motivazioni effimere, mi rivedo molto di più in un personaggio come lui; e comprendo molto meglio un percorso, un’evoluzione e un riscatto come i suoi. Perché le convinzioni del nostro protagonista verranno messe in discussione, e anche le nostre.
Proteggevo la mia scelta con il silenzio o qualcosa del genere. Salvare qualcuno non aveva senso. Non sarebbe cambiato nulla, si sarebbe solo protratto un altro egoismo personale. Il mondo non avrebbe sentito la mancanza di Ambrose e al mondo non eravamo utili né io, né tutti quelli che sarebbero arrivati quella notte. Rappresentavamo la stupidità della vita, una speranza che, come tutte le inutili speranze, non sarebbe mai arrivata a niente di concreto. Eravamo evanescenti. Il ruolo che ci spettava era quello di spettri che non appartenevano più al mondo. Che, forse, non gli erano mai appartenuti.
L’autore è stato bravo anche nel dosare questo cinismo, in modo da permettere un minimo di identificazione da parte del lettore.
Avrei tirato su la donna e puntato la lama sulla sua gola per diffondere il panico e fare fuggire tutti via, […], ma non ne avevo il cuore.
MISANTROPIA
Voi dareste il potere di salvare delle anime a qualcuno che odia l’umanità?
Andai verso i binari. Davanti alla porta a vetro di una sala d’attesa mi fermai a guardare i volti all’interno. Una madre aveva in braccio un bambino che piangeva, mentre un altro cercava di smontare o rimontare un auto giocattolo rossa sulla sedia accanto a lei. Un vecchio se ne stava con le mani raccolte in grembo e le gambe unite, il tempo si muoveva nel ticchettio di un orologio a muro sopra la sua testa. Due signori in abito leggevano uno un quotidiano e l’altro una rivista con le ventiquattrore accanto ai loro piedi. Tutti aspettavano stancamente che il mondo si evolvesse verso un livello superiore di indifferenza. Voltai la testa e andai oltre.
Prendono treni, cambiano luoghi, ma non hanno alcuna prospettiva. Sono vivi algebrici. Morti con un meno davanti.
ADOLESCENZA
Se il cinismo e la disillusione di Sico abbraccia un pubblico più adulto, l’autore ha inserito il tema della “delusione d’amore” che è facilmente comprensibile, per situazioni e sentimenti, da ogni adolescente.
«[…] Lei non venne. Non venne neanche la volta successiva, senza darmi nessuna spiegazione, senza telefonarmi. Pioveva sempre più spesso. Faceva freddo, c’ero solo io, c’ero sempre, ad aspettare. La sola idea che potesse arrivare e non trovarmi, che fosse lei a sentire per una volta la mia mancanza, mi faceva venire voglia di piangere, mi metteva una tristezza incredibile. Preferivo la solitudine, il silenzio e la sua indifferenza. Preferivo essere io a soffrire»
UMORISMO E SARCASMO
«Perché sei rimasto solo tu? Che cosa è successo?» Emanuele si mise seduto, si tastò la tempia rotta. Sputò ancora terra e saliva.
«Hanno avuto paura» gli allungai la mano, lui la raccolse. Si mise in piedi strisciando un polso sulla bocca.
«Paura in che senso? Paura di cosa?» alzò gli occhi, mi guardò in faccia. La sua fronte si corrugò di colpo.
«Non lo so» sorrisi «Ma adesso dovresti lasciare la mia fossa».
Non la prese bene. Con uno scatto si aggrappò al bordo della fossa, alzò una gamba e, strisciando le punte delle scarpe nella terra, saltò fuori. Si rotolò a terra e tastò in fretta il suolo con le mani per rialzarsi. Poi corse via, verso il muro del cimitero.
Con questi presupposti, è chiaro che il protagonista non sia un mattacchione, eppure ha delle uscite talmente improvvise che ti fanno scoppiare a ridere, anche nelle scene più drammatiche o cupe.
«Impiegavi il tempo risalendo una collina?».
«Vedi altre attrattive nei paraggi?».
«Qui?» si girò piano su se stessa, con le mani sui fianchi «Qui è magnifico. Non dirmi che impiegavi soltanto il tempo, salendo tra quelle splendide spighe dorate? Riesco a immaginare il profumo che emanano e il calore che hanno. Stavi andando lassù a guardare il panorama. Dev’essere meravigliosa l’alba vista da lì».
«Purtroppo non lo saprò mai. Ma in compenso sono qui a sentire le tue stronzate» portai la fiamma dell’accendino alla sigaretta.
PURA VERITÀ E DOLCE ILLUSIONE
«Sai cos’è la Dolce Illusione?» i miei occhi rimisero a fuoco la Pura Verità alle sue spalle «La stupida ostinazione a credere a cose impossibili. E inutili».
Sono le due entità guida che governano il limbo in cui Sico si è ritrovato al momento della morte. Conoscono perfettamente ogni anima da salvare e non si risparmiano di esprimere giudizi o di riassumere la vita di ognuno in poche frasi.
«Non lo so se mi stancherò mai di queste illusioni».
«Ogni forma di certezza» mi girai verso il viso bianco alla mia destra «ha avuto iniziò da un’incertezza e da un rischio. Ogni grandezza nasce dal nulla. E tutte le verità non sono nient’altro che le estremità finali di qualcosa che ha avuto inizio con un’illusione».
È interessante il fatto che tutto ciò che dicono, va considerato anche in base a chi lo pronuncia, se è una Pura verità oppure una Dolce illusione. Questa distinzione si farà sempre più importante mano a mano che il romanzo prosegue.
IL RAGAZZO CHE MENTIVA A SE STESSO.
«Ambrose» iniziò la voce della ragazza vestita di nero «Hai ventisei anni. Li hai attraversati tutti senza un solo piccolo dolore e senza un solo piccolo affetto. Non hai mai conosciuto sacrifici o rinunce. Ti sei ritrovato a ventitré anni a capo dell’azienda di tuo padre, senza un percorso di studi, senza alcun merito, ma per diritto di discendenza. Nei giorni della sua morte, non provavi niente. Soltanto la voglia irrefrenabile di prendere possesso dei tuoi nuovi beni per vivere una vita dinamica, in continuo movimento e in continua mutazione. Hai iniziato a cambiare auto e donne come un bambino che fa presto a dimenticare un gioco vecchio per uno nuovo. La tua vita è stata una corsa continua lontano dalla verità che ti sembrava così noiosa e statica. Una vita di continue bugie. Dette a chi? Dette a te stesso. Che ne pensi, hai avuto una morte abbastanza dinamica?»
Una persona superficiale, che non ha mai lottato per vivere, merita di essere salvata? È la prima domanda che l’autore ci pone.
L’UOMO CHE INSEGUIVA UN SOGNO FINTO
«Sembra tutto così reale. E pensare che mi aspettavo qualcosa di grande da questa notte».
«Più grande di questo non credo ci sia molto».
Valentino, un uomo che ha pensato sempre e solo alla carriera, a salire di grado e a sentirsi superiore agli altri. Insieme ad Ambrose, queste sono le prime due anime che arrivano nel limbo. Meritano una seconda occasione? Potete immaginare l’entusiasmo di Sico.
«Era questo il tuo sogno?».
«Quale?».
«Comandare, avere qualcuno sotto di te?».
«Perché la libertà cosa credi che sia?» sorrise, incredulo «A proposito di inferiori e superiori, ci sono interessi superiori per i giovani come te».
«Stai sbagliando persona» mi misi a cercare per terra.
«Immaginavo che l’avresti detto. Alla tua età si hanno altre cose per la testa, la morte appare lontana».
«Non così tanto» tirai su un pezzo di terra raggrumata.
«Benissimo» le mani di Valentino sfregarono l’una contro l’altra, era venuto fuori il mentore «Un domani avrai una moglie e dei figli, non sai in che condizioni di lavoro sarai. I nostri contratti prevedono il pagamento dell’indennizzo per la dipartita, cosa che tutelerebbe i tuoi famigliari in caso di morte, oppure la riscossione dell’intera somma al momento della pensione. C’è anche la possibilità di rateizzare l’incasso come integrazione alla pensione. Che cosa ne dici?».
«Che hai scelto proprio la notte giusta».
LA RAGAZZA CHE NON SAPEVA AMARE
Con Federica, l’autore inizia ad alzare la posta, presentando a Sico una ragazza vittima di stupro e strangolamento. Merita di tornare a vivere una persona che non riesce a prendersi cura di sé, a volersi bene? Questa è la domanda a cui sembra volerci condurre l’autore.
Qui per il lettore sembra chiaro la piega che prenderà la situazione, invece, l’autore riesce ancora a sorprendere, presentandoci una delle scene più forti del romanzo.
IL BAMBINO SENZA PAURA
«Ha soltanto cinque anni. È un’anima dotata di una fantasia senza confini che passa di continuo da un mondo fantastico ad un altro senza atterrare mai nella realtà. Due settimane fa correva in una delle sue avventure tra gli ombrelloni del lido dove era al mare con i suoi genitori. Si è allontanato talmente tanto da non saper più tornare indietro. Una coppia di anziani gli si è avvicinata per chiedergli se si fosse perso. L’hanno rassicurato, hanno promesso che l’avrebbero aiutato a trovare i suoi genitori e, prima ancora che qualcuno si accorgesse della sua scomparsa, hanno raccolto la loro roba dall’ombrellone e l’hanno portato via»
In un mondo così crudele e malato, vale la pena riportare indietro un bambino innocente per gettarlo di nuovo in tutto questo orrore?
Andrea è uno dei personaggi che più mi sono rimasti impressi. Quando vedi un bambino, in genere non pensi alla morte, quindi vederla attraverso i suoi occhi e la sua vicenda è stata una bella botta emotiva.
Anche qui, l’autore ha dato il via ad una scena molto forte e violenta, ma non ho problemi ad ammettere di non aver provato pietà, nemmeno per un attimo.
I dialoghi tra Andrea e Sico, poi, mi hanno fatto quasi commuovere…
…e l’antidoto per Nelson è stato il colpo di grazia.
IL RAGAZZO SENZA CORAGGIO
«Una presenza fragile, tormentata dalla difficoltà di stabilire con la realtà e con gli altri un legame libero dai vincoli della paura e dell’incertezza, della timidezza. Hai vissuto tenendo nascosta la tua essenza come se non fosse stata degna di attenzione, come se non fosse stata importante, per paura di quello che sarebbe potuto succedere»
Emanuele, un ragazzo timido, che non ha mai avuto la forza di uscire dal guscio, di correre dei rischi. Una notte aveva deciso di farlo, per una volta voleva smettere di avere paura, ed è morto. Merita di essere salvata una persona che non ha il coraggio di vivere la vita in pieno?
Inoltre, con quest’anima si può assistere all’imperfezione di Sico che, nonostante sia il protagonista, non ha tutte le risposte, le competenze, le capacità o il carattere giusto per essere un eroe.
LA RAGAZZA CHE VEDEVA LA BELLEZZA IN OGNI COSA
«Ti piace leggere. Lo fai da quando hai imparato, a cinque anni. Sul tuo diario una volta hai scritto che leggere è tutta la tua vita. E finora lo è stata quasi completamente».
«È stata l’ironia della vita o il sarcasmo della morte a ucciderti proprio mentre leggevi sulla linea gialla alla stazione? Se non avessi avuto un libro tra le mani, quando ti hanno spinta, non saresti finita sotto il treno. Oltre a essere la tua vita, leggere è stata anche la tua morte».
Qui l’autore più che una domanda ci dà una possibile risposta attraverso le azioni di Sico, che io condivido in pieno:
Ester era viva. Per lei il mondo conservava una bellezza intatta e innocente. Era così felice di vivere da non rendersi conto che nessuno sapeva riconoscere più quella bellezza, prendersene cura. O forse a nessuno importava più.
AMARE LA LETTURA
Grazie ad Ester, l’autore presenta una delle scene più belle del romanzo, per un lettore. Perché dimostra di conoscere davvero chi ama i libri.
Che cosa attira davvero un amante della lettura? Un libro già letto? No, anche se lo adoriamo, dopo un po’ ci si annoia a parlarne. Ciò che attira davvero un lettore, è il libro che non conosce, che deve ancora leggere. E in questa scena lo rappresenta in pieno, in un tono divertente che è quasi estraneo a Sico, ed io poi ridevo a priori, perché ho un libro di Lovecraft letto a metà, sul comodino da un anno.
Restammo in silenzio a dondolare sui sedili. Piantai gli occhi sul pavimento lurido del vagone.
«Gli spiriti delle tenebre» disse Ester.
«Della morte».
«Della morte, già. È incredibile».
Le avevo spiegato delle due ragazze, della sospensione della morte per una notte, delle nove anime e delle nove ore. Lei mi aveva interrotto abbastanza presto perché non voleva togliersi il gusto di leggerlo. Non sapeva che non l’avrebbe mai fatto.
IL VECCHIO CHE NON AVEVA TROVATO UNA VERITÀ PIÙ GRANDE DELL’AMORE
È un paragrafo lunghissimo, spezzato con qualche gesto del personaggio avrebbe reso molto meglio. Ma glielo perdoniamo giusto perché il personaggio è già morto, quindi non può svenire per mancanza di fiato.
Bernardo è morto a causa di un tumore, Sico non può salvarlo in nessun modo. Cosa si può fare quando un uomo, in punto di morte, si rende conto di avere un rimpianto?
L’autore ce lo mostra in un’altra scena commovente:
IL RAGAZZO CHE NON VOLEVA FERIRE I SOGNI
«La vita produce uno stato di strana debolezza nella mente e nel cuore di alcuni esseri umani. A volte dentro di loro qualcosa muore, anni prima del corpo»
Ecco l’altra batosta emotiva per me. Le parole di questo ragazzo sono ancora impresse nella mia mente, perché avrei potuto pronunciarle io stessa.
Ci insegnano che il suicidio è sbagliato, che c’è sempre una motivazione per vivere. Ma che succede se devi convincere un ragazzo a non uccidersi, e tutte le sue motivazioni rispecchiano i tuoi pensieri? Le tue paure? Come puoi dargli torto, se in realtà secondo te ha ragione?
Per fortuna, ci pensa Sico con il suo aplomb a dare una risposta:
LO ZENITH
Che senso ha salvare le anime, se una volta morti ogni cosa si perde per sempre? La definizione di Zenith è la risposta, ciò che trasforma un libro sulla morte in un inno alla speranza e alla vita.
STILE
Mi sfracellai con un boato su un piano solido. Attorno a me si sollevò un immenso sbuffo di polvere. Restai immobile in una concentrazione di tempo infinita, in attesa che la coscienza si spegnesse definitivamente. Non provavo alcun dolore. Sentivo le mani e i piedi enormemente distanti. La mente si era frantumata in migliaia di schegge, ma la coscienza persisteva come un’ostinazione del dormiveglia. Iniziai lentamente a radunare i pezzi rotti verso il centro del corpo. Provai a muovermi quando mi sembrò di avere di nuovo una consistenza. Mi alzai come un manichino scomposto, un braccio pendeva dal lato sbagliato del gomito, il collo aveva un’inclinazione innaturale, i jeans sembravano contenere un accumulo di frammenti. Le mani, dilatate fino a sembrare finte, si riassestarono sotto i miei occhi, le ginocchia scattarono in linea. Nel cranio e nella mandibola un formicolio delle ossa mi sistemò il volto.
Come ho già accennato, lo stile dell’autore è molto crudo, in alcune scene sfiora lo splatter. Punta molto a richiamare sensazioni e immagini che conosciamo, per portare il lettore a immedesimarsi in situazioni che non potrebbe mai sperimentare davvero in prima persona.
Avvicinai lentamente un dito alla tempia, per rendermi conto dell’entità della ferita. Lo immersi nella morbida carne aperta e barcollai quando sfiorai il ruvido bordo tagliente, come di un dente spezzato, di un profondo spacco lungo il cranio.
A chiunque sia capitato di sentire la sensazione di un dente spezzato, sarà sceso un brividino lungo la schiena.
STILE ONIRICO
Non esiste una vera e propria linea di demarcazione tra la realtà e il resto. Non esiste qualcosa che si può definire più realtà di qualcos’altro.
Un’altra caratteristica della narrazione è lo stile surreale, visionario. L’autore tende a raccontare usando vari livelli di realtà e percezione.
Avvicinai l’accendino alla punta della sigaretta per darle fuoco, ma al contatto con la fiamma, il buio iniziò a incendiarsi come un gigantesco foglio di carta nera. Il chiarore si diffuse allargandosi concentricamente, scintille di fuliggine cadevano leggere dal cielo staccandosi dai bordi del buio bruciato dal fuoco. Una luce livida e fredda, una strana luce turchese, avanzò attraverso il buco che continuava ad allargarsi. Indietreggiai, mi misi una mano davanti agli occhi per vedere cosa si nascondeva al di là del buio.
DESCRIZIONI
E dentro il buio, una strana figura di forma umanoide strisciava sul pavimento allungando un braccio nero sul terreno per spingersi in avanti, come se avesse sulle spalle il peso intero di tutto quel buio e fosse lui a trascinarselo dietro, lento, ma inarrestabile.
Grazie a questo stile che punta a richiamare sensazioni, le descrizioni sono molto belle ed efficaci. In questi due paragrafi, anche presi singolarmente senza un contesto, è facile capire di cosa sta parlando. Sono immediate.
Un esempio è questa bella descrizione della morte:
Tutto si era dissolto, la realtà non esisteva più. Era rimasto soltanto il freddo. Riuscivo a vedere le mie mani, le mie gambe, gli scarponi, ma intorno non c’era altro. Mi fermai, crollai col culo sul pavimento del buio. Mi passai le mani sulla faccia. C’era ancora.
DESCRIZIONE DELLE PERSONE
Leggiamo questi due paragrafi:
Un vecchio dalle guance risucchiate nella bocca respirava da un cannello di plastica e cercava di alzare una mano devastata dall’artrosi per salutare la platea, guardandosi attorno da due puntini senza luce immersi nelle orbite scavate.
In pochi righe, noi abbiamo subito nella mente i punti essenziali della persona descritta. Per il resto, l’autore lascia fare a noi, perché non è importante.
«Bello, Siddharta!» portò le mani unite al petto, sorrise alla sua maniera, con tutto il corpo.
L’autore poteva farci una serenata di tre pagine sui modi di fare del personaggio, invece, con queste poche frasi, riusciamo a capire subito che cosa intende, come è il personaggio, e possiamo immaginarcelo senza problemi.
DESCRIZIONE DEI LUOGHI
Se l’abilità descrittiva dell’autore unita allo stile visionario fa la sua figura; unita al cinismo e alla misantropia di Sico dà il meglio di sé.
Due ragazzi con le camicie aperte sul petto depilato facevano grandi gesti uno di fronte all’altro, ridevano e si davano pacche sulle braccia abbronzate vicino al lungo bancone. Un ragazzo con i capelli legati impazziva nel rovesciare bottiglie e piazzare fettine di lime nei bicchieri. Nella pista, strani esseri umani vestiti in diversi orrendi modi cercavano di muoversi a ritmo, ancheggiavano e alzavano le braccia, tenevano un cocktail in una mano o una sigaretta tra le dita. Davano l’idea di divertirsi parecchio, incalzati dalla voce di un dj in canottiera e borsalino su una postazione illuminata a scatti dallo strobo. In mezzo a quel carnaio ero emerso, pochi minuti prima, dal buio.
METAFORE E SIMILITUDINI
È sempre meglio non strafare nella scrittura.
Le descrizioni dell’autore rendono molto bene i concetti da sole, ma spesso l’autore non sembra soddisfatto.
Le metafore e le similitudini servono per semplificare un concetto, accostandolo a qualcosa di più immediato. Per questo motivo non ne vado matta, penso che debbano essere sempre l’ultima spiaggia, quando proprio non si sa come rendere più facile la comprensione. Altrimenti si rischia di ottenere l’effetto opposto, cioè di confondere il lettore.
E qui l’autore si è dato alla pazza gioia, spargendo metafore e similitudini forse più per rimarcare il suo stile che per vera necessità, dando il via a tre categorie distinte.
Balorde
Il freddo e il buio erano scesi con la rapidità di un’inaspettata invasione organizzata da forze soprannaturali.
Cioè?… In questo modo non mi fai capire fino a che punto il freddo e il buio sono stati rapidi, ma anzi aggiungi anche un’invasione di fantasmi a caso.
Avevo passato il pomeriggio con la fronte poggiata al vetro della portafinestra appannato regolarmente dal respiro, in piedi, nascosto in silenzio dietro una tenda come un’ombra immobile attratta dal richiamo di qualcosa di invisibile […]
Ma era necessario inserire l’ombra? Avevi già detto di essere stato attaccato alla finestra tutto il giorno, non potevi rafforzarlo più di così.
Ai piedi del letto c’era una cassapanca simile alla bara che Django si trascina per tutto un film e di fronte un armadio di legno scuro.
Questa è quella che preferisco. Per descrivere una semplice cassapanca l’autore ha tirato fuori addirittura Django, un film che non tutti hanno visto, (io sono tra quelli) quindi di sicuro non aiuta a comprendere meglio.
Penso intendesse questa
Gli abissi del cielo si affacciavano, silenziosi, dalla ringhiera arrugginita, appesantiti da gigantesche masse livide che si spostavano lente come pachidermi.
Ma suona male “pachidermi” in un viaggio onirico! È come se ti stessi per addormentate con una ninnananna, poi arriva Sgrumt e starnutisce, facendoti sobbalzare. (Clicca QUI se vuoi sapere chi è Sgrumt.)
Superai lo stretto passaggio con la bocca spalancata e lo sguardo sollevato per sorvegliare le finestre delle due vecchie abitazioni una di fronte all’altra come le sfingi guardiane della Storia infinita.
Qui si pone lo stesso problema di Django, cioè che non è mai una buona idea usare un film per farsi capire meglio, perché appunto non ne esiste uno che tutti abbiano visto.
Da qualche parte, nell’occhio sinistro, un lampo rosso esplose, trasformandosi in un muro d’asfalto. La faccia, la guancia, l’orecchio e la tempia bruciarono sulla strada. Fu come sbattere contro la superficie del tempo che si distorse irrimediabilmente nel paradosso immediato che nulla fosse mai accaduto.
Assurde, ma efficaci
L’autore riesce a far trasparire il suo stile crudo anche qui; il risultato è stato raggiunto, ma io ho riso un sacco, perché ti colgono davvero di sorpresa.
«Sì» il pomo d’Adamo sporgeva come una grossa ciste al centro della gola.
Colleterno sembrava viva, ancora più che all’inizio della notte. La realtà era diversa dopo il passaggio negli scenari onirici, nelle otto dimensioni precedenti e nelle otto morti che avevo attraversato. Era viscida come sperma, fluida come sangue, filamentosa come pus.
Un foro identico a un buco di culo era apparso sulla sua fronte. L’aria, in prossimità del buco, appariva deforme e mobile come vicino a una fonte di grande calore, come se fosse un punto di convergenza della realtà o il minuscolo punto di fuga attraverso cui sarebbe potuto passare l’intero universo. Mi ero piegato per raccogliergli gli occhiali caduti. Glieli avevo passati.
Questa è la migliore, difficilmente riuscirò a togliermi dalla mente quest’immagine.
Molto, molte belle
Il cuore prese a colpire a ripetizione il petto come se volesse disintegrare la coltre di gelo che lo ricopriva. Il muro del monastero e il taglio del marciapiedi, lucidati dall’acqua, correvano ai bordi della mia visuale trasformati in scie eteree ingoiate dalla notte.
Avanzai di qualche passo, spezzai un blocco di tre donne a braccetto che cercavano di impedirmi di passare, calando il bastone sulla spalla di quella al centro. Si accartocciò al terreno abbattuta dal colpo come un bicchiere di carta schiacciato da una mano.
Un enorme ghigno d’argento era emerso tra le nuvole che si diradavano nel cielo notturno.
Un’infinità di voragini rettangolari erano rivolte come bocche aperte verso il cielo.
Ester allargò le braccia e le gambe diventando una stella che galleggiava sulla superficie.
Imboccai senza pensarci una scorciatoia che si snodava in una rete di stradine all’incrocio tra abitazioni malridotte, gran parte delle quali erano state sgomberate anni prima perché inagibili. Di un tetto a tegole era rimasto un costato di legno coperto da lamiere ondulate annerite. Tende di cellophane oscillavano come improvvise apparizioni nel vuoto delle finestre che si affacciavano sulla strada. Vecchi oggetti abbandonati creavano uno spettrale arredamento di ombre sulle pareti interne delle stanze, visibili da grossi squarci nei muri esterni.
FINALE
Il silenzio interiore della natura sembrava avere una propria coscienza immutabile che non aveva bisogno di alcuna forma di intelligenza né di comunicazione né quasi di movimento, eppure possedeva una grandezza sconfinata. Era esistenza allo stato puro, senza conflitti, senza prevaricazioni di idee o di sogni, senza aspettative o ambizioni, senza possesso, senza potere, ma con una forza silenziosa in grado ogni volta di rinascere dal nulla.
Per tutta la lettura ho sperato che il finale fosse all’altezza, perché spesso è proprio quello a trascinare giù un romanzo.
Per fortuna, l’ho trovato oltre ogni aspettativa, facendomi finire il romanzo con gli occhi lucidi.
Non credo serva la tabella dei pro e contro, penso sia chiaro che questo romanzo mi è piaciuto molto.
CONCLUSIONE
È un romanzo cattivo, che fa male e ti coglie sempre di sorpresa. Parla della morte, in tutte le sue forme, ma al tempo stesso è un inno alla vita. Una vita che va vissuta in pieno, senza paure o esitazioni.
Forza, andate a leggerlo! Su, su!
Voto: 9/10