Adoratori del diavolo? Vi erano tre cose che sapeva degli adoratori del diavolo:
Uno: adoravano il diavolo. Ovviamente.
Due: erano il tipo di gente a cui piaceva sacrificare altri esseri umani. Probabilmente.
Tre: quando non erano vestiti di tutto punto per celebrare i loro riti, erano assolutamente uguali a tutti gli altri.
Titolo: Il libro senza nome
Serie: Bourbon Kid
Titolo originale: The book with no name
Autore: Anonymous
Editore: Fanucci
Pagine: 394
Prezzo: Brossura 8,42€
Reperibilità: Online e in libreria
Caro lettore, solo i puri di cuore riusciranno a leggere le pagine di questo libro. Ogni pagina voltata, ogni capitolo letto ti porterà più vicino alla fine. Non tutti riusciranno nell’intento. Le molteplici trame e i molti stili diversi potranno abbagliare e confondere. Per tutto il tempo che trascorrerai a cercare la verità, essa sarà sempre di fronte ai tuoi occhi. Scenderà l’oscurità, e con essa un grande male. Coloro che hanno letto il libro potrebbero non rivedere la luce.
E figurarsi se non mi facevo abbindolare da una premessa del genere.
Non avevo mai sentito parlare di questo romanzo, l’ho iniziato senza leggere nulla oltre a questa premessa, e credo di aver fatto involontariamente la scelta migliore; perché meno informazioni si hanno su questo romanzo, prima di iniziare a leggerlo, meglio si riesce ad apprezzarlo.
L’ho trovato in una delle mie tante esplorazioni alla libreria dell’usato, nascosto in uno scaffale in basso, dimenticato da chissà quanto tempo.
Io adoro la libreria dell’usato, per me è come un parco giochi. Ci passo le ore e sono meglio di un segugio nel trovare i libri più strani e particolari che tanto mi piacciono.
Io quando torno dalla libreria dell’usato
Inutile dire che la metà delle volte si rivelano delle fregature; ma questa volta, il discorso è più complesso.
TRAMA
Quentin Tarantino incontra Il Codice da Vinci in questo capolavoro che sembra essersi scritto da solo. Ma ricordate: chiunque legge Il libro senza nome, viene assassinato.
Siete avvertiti.
Adoro quando l’autore si fa i complimenti da solo, perché quasi sempre mi avvisa che il libro sarà tutto il contrario. La parola “capolavoro” non sfiora nemmeno questo romanzo. È un termine abusato, che io ho utilizzato forse solo per un paio di libri in tutta la mia vita.
Ogni generazione al governo passava la storia a quella successiva. Ogni generazione dubitava della sua veridicità, e solitamente inviava i propri investigatori a Santa Mondega per scoprire se la leggenda fosse vera o meno. Alcuni degli investigatori tornavano sani e salvi. Di altri si perdeva ogni traccia. Tutti quelli che tornavano confermavano la storia, quelli che non ce la facevano alimentavano semplicemente la suggestione che potesse esserci qualcosa di vero nelle voci.
Il mio primo pensiero, quando ho iniziato a leggere questo romanzo, è stato: Ecco, ho beccato un libro messo tra i fantasy per sbaglio.
Perché la storia, all’inizio, sembra un thriller a tutti gli effetti, con un susseguirsi di personaggi e vicende che si intrecciano per poi finire inevitabilmente in un bagno di sangue molto trash e splatteroso.
Ma andiamo con ordine.
Cercherò di dirvi il meno possibile, ma penso sia fondamentale familiarizzare con questi tre concetti:
SANTA MONDEGA
La verità era che il resto del mondo faceva finta che Santa Mondega non esistesse. Non la si trovava su alcuna mappa, e ciò che accadeva in città non veniva trasmesso da alcun canale al di fuori dei limiti cittadini. Il motivo, a dar retta alla leggenda, era che Santa Mondega era la dimora dei non morti.
È la città dove hanno luogo tutte le vicende. Si può definire un mondo a sé, dove le leggi hanno un significato e un peso diverso, comprese quelle astronomiche e fisiche.
IL LIBRO SENZA NOME
È il libro che spiega ogni cosa, è la risoluzione di tutti gli intrecci e la risposta ad ogni domanda. Tuttavia, c’è un piccolo problema:
«Tutte e cinque le nostre vittime hanno preso in prestito lo stesso libro dalla biblioteca cittadina. E sono le uniche cinque persone che abbiano mai preso in prestito quel libro. Per cui, in effetti, tutti coloro che lo hanno letto sono morti.»
LA PIETRA AZZURRA
«Figlia mia, la pietra azzurra che hai tenuto intorno al collo è conosciuta tra gli storici con il nome di ‘Occhio di luna’.»
«Wow!»
Kacy era colpita. ‘Occhio di luna’ sembrava un nome assolutamente affascinante, per giunta non era mai stata tanto fortunata da possedere un gioiello che avesse un proprio nome.
«Allora, quanto vale?»
«Questa, giovane Dante, non è una domanda che dovresti fare a me. È una domanda che dovresti fare a te stesso.» Lo mise in guardia Cromwell. Poi proseguì cupamente. «La pietra vale forse tanto da mettere a rischio la tua stessa vita?»
Tutti vogliono questa pietra, e grazie al suo passare di mano in mano, la trama si dipanerà creando intrecci e omicidi davvero complessi e, a mio parere, spassosi.
Una volta capito i concetti base, possiamo analizzare le caratteristiche principali che rendono la trama così particolare:
COMPONENTE FANTASY
Per fortuna non avevano sbagliato scaffale. Benché non si possa definire un fantasy a tutti gli effetti, ci sono molti elementi che rendono questo romanzo Surreale.
L’autore ha inserito degli elementi del fantasy moderno in un thriller, creando un miscuglio bizzarro, che però funziona bene.
VIOLENZA
Il primo colpo non lo sentii neanche arrivare, sentì solo un forte dolore alla rotula, che esplose spruzzando sangue dovunque, anche nei suoi occhi. Cadde dal letto sul pavimento, strillando come un bambino che si è scottato e per i sette minuti successivi della sua vita desiderò di essere morto.
All’ottavo minuto il desiderio di — fu esaudito, ma a quel punto aveva ormai già potuto constatare di persona lo stato della maggior parte delle proprie interiora. Era stato addirittura obbligato a mangiare alcune delle sue dita di mani e piedi. E anche peggio. Molto peggio.
La violenza è un’altra caratteristica predominante in questo romanzo, ogni scena è arricchita con il sangue, al punto che anche un incontro di pugilato riesce a diventare splatter.
Una rapida occhiata a quest’ultimo suggeriva che il combattimento era iniziato già da un pezzo. Il tizio era un ammasso di carne sanguinante. Uno dei suoi occhi pendeva letteralmente dalla propria orbita e il malcapitato si trascinava sul ring tenendosi la spalla sinistra, quasi se la fosse slogata e stesse disperatamente cercando di rimetterla al suo posto.
SCENE TRASH O SENZA SENSO
Come dicevo prima, ho aperto questo romanzo senza sapere nulla riguardo alla trama, quindi per le prime 30 pagine ho pensato di trovarmi davanti un thriller abbozzato, scadente e pieno di cliché.
Poi ho letto questa scena: (Ho sostituito alcuni nomi con —, visto che meno si sa, meglio è.)
«Allora, sapete dove si trova Bourbon Kid o no?» insistè Kyle, spingendo il piede contro il petto di —.
«Fanculo»
Bang!
Il viso di Kyle su d’un tratto spruzzato di sangue. Guardò verso la sua sinistra e vide il fumo uscire dal muso della pistola di Beto. Il novizio aveva sparato in faccia a Rusty. Sul pavimento c’era un casino terribile e gli stessi monaci erano completamente imbrattati.
«Beto! Perché lo hai fatto?»
«Mi… mi dispiace, Kyle, ma non avevo mai usato una pistola prima. È praticamente esplosa quando ho premuto il grilletto.»
«Di solito lo fanno, sai?» […] «Davvero, non posso mai portarti da nessuna parte.» disse con tono di rimprovero.
«Scusa»
«Beto, fammi un favore.»
«Certamente, cosa?»
«Smetti di puntare la pistola contro di me.»
[…]
«Ascolta, amico» disse con tono ragionevole. «Vogliamo solo sapere dove possiamo trovare Bourbon Kid. Puoi aiutarci o no?»
«No, maledizione!»
Bang!
— urlò e si prese la gamba destra che schizzava sangue in più direzioni a causa di una ferita da proiettile appena sotto il ginocchio. Ancora una volta c’era del fumo nella canna della pistola di Beto.
«S-scusa Kyle» balbettò il novizio. «È esplosa di nuovo. Davvero non volevo…»
Kyle scosse la testa per l’esasperazione.
Allora ho capito che l’autore non si prende sul serio, e di conseguenza l’intero romanzo deve essere visto per quello che è: un thriller trash, splatter, surreale con elementi fantasy.
Sembra un miscuglio orribile, lo so, eppure l’autore riesce ad incastrare perfettamente anche i pezzi più improbabili, creando una trama complessa, ma leggera; che se presa nel modo giusto diventa anche divertente e un’ottima distrazione.
Dopo questa scena infatti, ci ritroviamo davanti ad una sequela infinta di scene assurde, che spesso fanno anche ridere per quanto sembrino campate in aria.
Il festival lunare si teneva soltanto quando c’era un’eclissi. E sarebbe stato un evento decisamente poco frequente, se si fosse tenuto in qualsiasi parte del mondo, ma a Santa Mondega, la città perduta, le eclissi si ripetevano ogni cinque anni. Nessuno sapeva dire perché ciò accadesse, ma tutti gli abitanti del luogo ne erano felici e, quando i festeggiamenti erano in corso, non avrebbero voluto trovarsi in nessun’altra parte del mondo.
Dopo, senza congratularsi con lui, né porgergli le proprie scuse per ciò che aveva fatto, Kid si era alzato e aveva lasciato il bar. — aveva usato la propria mano sana per raccogliere le vincite e si era recato all’ospedale più vicino dove, con sommo orrore e nonostante le sue proteste parzialmente violente, la mano fratturata gli era stata amputata, per evitargli di perdere anche il braccio. […] Durante i mesi successivi all’incidente si era costruito da solo una mano di metallo, per fare in modo che la prossima volta che le loro strade si fossero incrociate sarebbe stato Kid ad andarsene con la mano spezzata.
Intervengo giusto per specificare che la mano non è fissa, ma di una tecnologia avanzatissima, le dita si muovono senza problemi e la usa senza alcuna difficoltà per tutto.
Sanchez osservava a bocca spalancata la situazione di stallo venutasi a creare nel suo bar e aspettava che Beto decidesse sul da farsi. Dopo quella che gli parve un’eternità, il monaco abbassò la pistola e indietreggiò prudentemente. Scrutò a fondo gli occhiali da sole di — per cercare di trovare negli occhi del giovane una spiegazione a ciò che stava accadendo. Sfortunatamente non vi scorse niente. Le lenti erano troppo scure, dannazione.
Il venditore non aveva fatto alcun cenno a quella particolarità quando — aveva deciso di prendere il costume. Forse un piccolo dettaglio che il tizio aveva trascurato? Certo che no, visto che non era un piccolo dettaglio nell’attuale condizione di —. Era stato un affare. Un bonus in grado di salvargli la vita, gentilmente offerto dallo staff del Domino costumi. E senza alcun extra da pagare.
Nel film Terminator era dotato di vista a infrarossi. Ora, quando l’ultimo barlume di luce scomparve dal Tapioca, — scoprì che gli occhiali da sole da quattro soldi datigli con il costume erano proprio ad infrarossi.
Portandosi il pacchetto alle labbra, usò i denti per sfilare la sigaretta, poi la fece rotolare con la lingua verso l’angolo sinistro della bocca e lì la lasciò. La sigaretta si accese da sola, non appena Kid fece il primo tiro. Forse era talmente tanto il fumo nel bar da potersi considerare una fiamma vera e propria.
PERSONAGGI
Non aspettatevi personaggi originali, perché l’autore si diverte a giocare con i cliché.
Non esiste un protagonista e le persone che si intrecciano nella trama sono davvero tantissime. C’è chi dura un paio di pagine e chi ci accompagna per tutto il libro. E la trama è talmente assurda che è impossibile per il lettore fare alcun tipo di previsioni.
Qui di seguito riporto giusto quelli che mi hanno colpito di più.
SANCHEZ
Al di là di una visione genericamente misantropica del mondo, di una tendenza a non immischiarsi mai negli affari altrui e di un’abitudine ad offrire bicchieri di piscio agli stranieri, Sanchez non era privo di buona qualità.
Lui rappresenta il classico barista che si è sempre fatto i fatti suoi, fino a quando non accade qualcosa che lo costringe ad agire. Non è granché come persona, pensa solo al suo tornaconto, senza curarsi di nessuno. Per questo mi è piaciuto molto vedere la vicenda anche attraverso i suoi occhi.
ELVIS
Era ormai tardo mattino, quando l’uomo che chiamavano Elvis entrò impettito e trionfante nel Tapioca. Si muoveva come per attraversare un palco a passo di jive, al ritmo di Suspicious Mind, e non lo faceva solo quel giorno, ma sempre. Era come se un set di auricolari invisibili riproducesse incessantemente lo stesso motivo nelle sue orecchie.
Gli americani adorano Elvis Presley, si sa. E adorano ancora di più inserirlo ovunque, specialmente nei romanzi. Non so quante volte leggendo mi sono trovata davanti il vero Elvis o un suo imitatore in un romanzo dove apparentemente non centrava nulla.
Fra tutti, il mio preferito attualmente è Bubba, della serie di Sookie Stackhouse, ma anche questa versione di Elvis freddo assassino mi è piaciuta molto.
Anche nell’aspetto Elvis era fico. Beh, era fico per uno che andava sempre in giro vestito da Elvis Presley. Un sacco di persone credono che gli imitatori di Elvis siano ridicoli, che siano del tutto imbarazzanti soprattutto per se stessi, ma nessuno lo pensava di quel tizio. Quest’uomo ricordava alla gente quanto fosse veramente figo il Re, prima di non esserlo più.
KACY
Kacy gli rispose con un’alzata di spalle altrettanto stupita. Lei, naturalmente, conosceva il motivo dell’improvvisa generosità di Carlos, ma l’avrebbe tenuto per sé. Dante era coraggioso, sempre in cerca di un motivo per proteggerla. Se solo fosse stato a conoscenza delle cose che lei doveva fare per proteggere lui da sé stesso.
Lei è la classica ragazza carina e consapevole di esserlo. Appena è apparsa non mi ha colpito particolarmente, invece è l’unico personaggio che l’autore approfondisce seriamente, dandole uno spessore per nulla scontato. In un romanzo dove ogni personaggio è un cliché, lei è la più umana.
«Ed è un male?» domandò Kacy. Sapeva che era una cosa stupida da dire, ma il professore, persino il museo, la rendevano nervosa. E quando Kacy era nervosa balbettava, e quando balbettava, diceva cose stupide. È per questo che adorava stare con Dante. Lui era stupido, ma non gli importava niente, perché era sicuro di sé. Lei invece era sveglia, ma spesso passava per tonta perché, malgrado fosse sicura di sé a livello fisico, non riusciva a controllare i propri nervi quando si trovava in compagnia di persona importanti o in ambienti poco familiari, i particolare in quelli solenni come il museo.
Fortunatamente Cromwell non giudicava le persone in base alla propria intelligenza, per la semplice ragione che quasi tutti apparivano stupidi in confronto a lui. Così rispose alla domanda di Kacy senza mostrare la minima traccia di presunzione.
SOMERS
Jensen non ne fu affatto felice. Gli sbirri non prendevano sul serio il suo lavoro. Il capitano non sembrava apprezzarlo e, chiunque fosse quel Somers, di certo non la pensava tanto diversamente, avrebbe potuto scommetterci.
«Con il dovuto rispetto, signore, se solo volesse chiamare…»
«Con il dovuto rispetto, Johnson, può baciarmi il culo.»
«È Jensen, signore.»
«Come vuole. Ora ascolti, perché glielo dirò una sola volta. Somers, il suo nuovo socio… è uno stronzo. Proprio un cazzo di stronzo. Nessun altro vuol lavorare con lui.»
«Cosa? Benone, certamente…»
«Vuole sentire quello che ho da dirle o no?» […] «A Somers è stato proposto il pensionamento anticipato appena tre anni fa.» proseguì Rockwell. «E noi altri gli abbiamo organizzato una festa.»
«Complimenti, signore.»
«Non proprio. Quello sporco bastardo di Somers non lo abbiam invitato.»
«Perché no?» domando Jensen sorpreso.
Rockwell aggrottò le sopracciglia. «Perché è uno stronzo. Cieeelo! Faccia attenzione Johnson, per dio.»
«Sissignore.»
Naturalmente in un thriller c’è sempre il classico detective cinico ma intelligente, che ha un conto i sospeso con l’assassino. Tutte le volte che compare, l’attenzione del lettore è catalizzata su di lui e su ogni cosa che dice, forse anche troppo.
«Bene, mi dicono che è ossessionato dall’idea di scovare Bourbon Kid. Perché mai questo dovrebbe portarla ad essere odiato da tutti?»
Somers sorrise. «Non è questo il motivo per cui mi odiano. Loro mi odiano perché io voglio che mi odino. È una questione di principio per me farli incazzare a ogni occasione che mi si presenti. […]»
DANTE
E poteva forse mancare il classico personaggio bello ma stupido?
«Kacy, calmati e fidati di me, vuoi? Ti ho mai deluso?»
«Sì, lo hai fatto. Ricordi quella volta che non avevamo di che mangiare e tu hai speso tutti i nostri soldi per quei DVD di Capitan Uncino?»
«Già, ehm. Ma dai, qualcuno mi aveva detto che si potevano fare un sacco di soldi con i film pirata. Come potevo sapere che la parola “pirata” avesse più di un significato?»
BOURBON KID
Lui è l’unico personaggio che non rappresenta un cliché immediato, a parte il nome. È su di lui che ruota gran parte della trama e non tutti i dubbi del lettore vengono chiariti, ma è sicuramente il personaggio più interessante.
«Proprio così.» disse il biondo. «Bourbon Kid uccide tutti. E gli basta un solo bicchiere per andare fuori di testa, cazzo. Dicono sia il bourbon a dargli una forza straordinaria. Gli basta un solo sorso e uccide tutti gli stronzi che si trovano nel bar. Io lo so bene. Gliel’ho visto fare.»
«Ringo spinse la bocca della sua pistola contro la tempia dell’uomo. «Bevi il tuo Bourbon.»
STILE
Senza dubbio, ciò che mi ha spinto a finire di leggere questo libro è lo stile con cui è stato scritto.
Secondo me alcuni scrittori hanno una maggiore sicurezza e confidenza con la trama rispetto ad altri e, in questo caso, l’autore sembra a casa sua. Questo spinge anche una rompiballe come me a rilassarsi e godersi il romanzo, perché è chiaro sin da subito che l’autore sa quel che fa.
STILE DISCORSIVO
Aveva ordinato il suo drink senza neppure rivolgersi a Sanchez, e dato che non si era tolto il cappuccio per svelare il proprio volto, non era possibile dire se il suo aspetto fosse minaccioso quanto la voce. Nella sua voce c’era tanta ghiaia da riempire un boccale da una pinta (da quelle parti la pericolosità di uno straniero si misurava in base a quanto fosse ghiaiosa la sua voce).
Il narratore scrive come se fosse una voce fuori campo; ha un registro molto informale, quasi confidenziale, e con delle scene così cinematografiche ci sta benissimo.
Erano trascorsi quasi cinque anni dal giorno in cui si era casualmente imbattuto nell’angelo. Lo ricordava bene, perché era accaduto la notte di Bourbon Kid, la notte in cui aveva visto più sangue versato e più corpi morti di quanti non ne veda il becchino in un anno. Escluso il becchino di Santa Mondega di cinque anni prima, quando era accaduto il massacro, naturalmente.
DESCRIZIONI EFFICACI
Era una pesante palla di lardo con barba ispida, proprio come la maggior parte della feccia presente nel bar. E proprio come tutti gli altri teneva la pistola in una fondina che gli pendeva sul fianco ed era in cerca di una scusa per estrarla.
Lo stile delle descrizioni è quello che preferisco: breve e coinciso. Senza particolari o informazioni inutili. L’autore fornisce solo le caratteristiche che ci servono per farci un’idea del personaggio, il resto lo lascia immaginare al lettore.
Entrambi sembravano non lavarsi da tempi memorabili, cosa confermata fra l’altro dall’odore che emanavano. Il più grosso dei due, un uomo chiamato Jericho, masticava tabacco e una piccola sbavatura marrone gli rigava un angolo della bocca. Non era rasato e sfoggiava baffoni incolti che, a quanto pareva, erano d’obbligo. Così su due piedi si sarebbe potuto dire che fosse rimasto al bar per diversi giorni senza tornare a casa. Il suo compare, Rusty, era molto più basso, ma il suo odore era altrettanto penetrante. Aveva denti neri marcescenti che sfoggiò per ringhiare contro Beto: uno dei pochi in città a essere abbastanza basso da riuscire a guardarlo dritto negli occhi.
In questo modo il lettore partecipa attivamente, aggiungendo da solo i dettagli non essenziali e non si annoia mai.
Indossava una pesante giacca di pelle nera senza maniche abbottonata solo parzialmente per esibire un petto riccamente tatuato e un pesante crocifisso d’argento. Aveva pantaloni in pelle nera che facevano pendant con la giacca, grossi stivali neri, folti capelli neri e, a culmine ti tutto ciò, gli occhi più scuri che Sanchez avesse mai visto. E considerando gli standard di quelle zone, dovevano essere proprio neri.
NARRATORE FUSO CON I PERSONAGGI
Merda, pensò Sanchez esausto. Oggi cercano tutti qualcuno o qualcosa, cazzo. Prima i due fenomeni da baraccone omicidi se ne vengono a chiedere di Bourbon Kid – il nome lo fece rabbrividire nell’intimo -, di una qualche cazzo di pietra azzurra e di quel cacciatore di taglie, Jefe. Poi quest’altro straniero del cazzo se ne viene proprio qui a chiedermi di El-faccia di culo-Santino. Ma tenne i suoi pensieri per sé. «Già, lo conosco» fu tutto ciò che disse.
L’autore sa bene che una trama del genere non poteva essere narrata in prima persona, perché l’intreccio è la chiave di tutto; ma al tempo stesso sapeva che la terza persona ci avrebbe tenuto troppo distanti. Quindi, che cosa ha fatto?
Ci ha tirato dentro le vicende, creando un punto di vista che salta su un personaggio diverso in ogni capitolo e si fonde con esso, illustrandoci pensieri, idee e sensazioni come se fossero quelli del narratore stesso. E tutto cambia in base al personaggio, quindi se con Sanchez avremo uno stile rozzo, sul detective ne avremo uno molto più contenuto.
Il detective Miles Jensen arrivò a Santa Mondega preceduto dalla sua fama. Tutti gli altri sbirri lo odiavano già. Per loro era uno di quei detective trendy e new age. Con ogni probabilità non aveva mai vissuto un giorno di vera azione in tutta la sua vita, pensavano. Si sbagliavano, ovviamente, ma lui aveva di meglio da fare che sprecare il suo tempo a spiegare la propria posizione a un branco di coglioni congeniti quali erano gli sbirri in servizio a Santa Mondega.
È una tecnica che a me piace tanto, perché ti fa immedesimare anche nei personaggi più distanti e diversi da te. È molto simile a quella che utilizza J. R. Ward ne La Confraternita del pugnale Nero.
IL NARRATORE SI FONDE AL PUNTO DA DESCRIVERE CON LO STILE DEL PERSONAGGIO
E la cosa divertente è che questa fusione è talmente intensa che anche le descrizioni vengono influenzate in base al personaggio su cui il narratore si sta concentrando.
«Come ti chiami?» indagò quello di mezzo, in modo sinistro. Sanchez lo conosceva fin troppo bene. Era un piccolo stronzo con folte sopracciglia nere e occhi di colore diverso. Quello sinistro era di un marrone scuro, ma quello destro aveva un colore indefinibile, che qualcuno una volta aveva chiamato ‘serpentino’. I suoi due compari, Spider e Studley, sembravano essere entrambi leggermente più alti di lui, ma ciò poteva dipendere dal fatto che indossavano cappelli da cowboy logori che, di certo, avevano visto giorni migliori.
Gli ultimi due, tuttavia, non erano il problema. Erano i coglioni; il problema era il cazzo, quello nel mezzo con lo strano occhio.
FINALE DI CAPITOLI EFFICACI
Un’altra cosa che apprezzo molto in un romanzo è il finale di capitolo. È dalle ultime parole del capitolo che spesso il lettore decide se leggere il successivo o fermarsi, quindi quando leggo frasi scialbe per me è sempre un’occasione mancata dell’autore.
In questo libro la maggior parte dei capitoli finisce in modo efficace e accattivante, al punto che ho finito il romanzo in pochissimo tempo perché ogni volta dicevo “Vabbè ne leggo giusto un altro”.
Qui di seguito vi lascio quelli che mi sono piaciuti di più.
«L’unico di cui Sanchez potrebbe fidarsi è il Re»
«Il Re?»
«Già, Elvis è vivo, amico. Non lo sapevi?»
«A quanto pare no.»
«Bene. Ora guardiamo un po’ di televisione e vediamo cosa riusciamo ad apprendere sul modo esterno prima dell’eclissi di domani.»
«Okay. Cosa trasmettono?»
«“Weekend con il morto”»
«Promette bene.»
«Giusto.» disse Jensen. «Il primo che trova l’indirizzo vince. Chi perde è una fichetta e paga da bere, okay?»
Somes stava già incamminandosi fuori dall’ufficio. «Per me un caffè. Nero, due zollette» brontolò.
«Un motivo in più per andare a fargli compagnia. Vieni, andiamo» suggerì Beto di buon umore.
Kyle fece un profondo respiro. «Bene,» sospirò «ma, se si rivelerà un vampiro e cercherà di ucciderci, puoi stare certo che ti ucciderò prima io.»
«Non mi preoccuperei tanto di Somers, se fossi al tuo posto. Non lo vedrai più quel figlio di puttana.»
«Ma sta venendo proprio qui in questo momento, no?»
«Già…ma tu non lo vedrai mai più.»
Amy chiuse gli occhi. Forse stava scherzando. Magari sarebbe scomparsi e basta.
Bang!
Magari no.
Come avete potuto leggere, questo romanzo ha tanti elementi che a me piacciono molto; ma tranquilli, non sia mai che io lasci un libro in pace, senza trovare qualcosa su cui rompere le scatole.
Quindi, partiamo con le cose che non mi sono piaciute.
ANTICIPAZIONI ALLA ROTHFUSS
Come si vedrà, ciò che accadde a — quella sera funzionò da catalizzatore per tutti gli eventi successivi. Vale a dire omicidi, soprattutto.
In genere un autore tende a rivelare parte dei suoi segreti in anticipo per convincere il lettore che vale ancora la pena continuare a leggere il suo libro. Un po’ come per dire “Ehi, tranquilli, mica è tutto qui, guardate cos’altro ho in serbo per voi.”
— era eccitato. Aveva visto una grande quantità di persone bere e, in genere, essere allegre. Non vedeva l’ora di sperimentarlo in prima persona. Ciò di cui non aveva la minima idea, tuttavia, era che tra non più di qualche minuto avrebbe avuto bisogno di un drink molto, molto forte. Non poteva saperlo, ma Beto si sarebbe ben presto trovato ad affrontare i cinque minuti rivelatori più sconvolgenti di tutta la sua vita contemplativa. (almeno fino a quel momento.)
Secondo me è una mossa rischiosa, perché, se è vero che in alcuni punti morti una rassicurazione da parte dell’autore può servire, e più vero che un vero colpo di scena lega il lettore al romanzo meglio di qualsiasi altra cosa.
FILM E SERIE TV PER (NON) FARSI CAPIRE
Si capisce subito che l’autore è appassionato di cinema, e ci tiene a diffondere nel libro questa sua passione. Quindi ha farcito il romanzo con tantissimi titoli e citazioni, per farsi capire meglio o per caratterizzare i personaggi.
Scelta del tutto inutile secondo me, che crea solo confusione nel lettore.
Ho già accennato l’argomento nella recensione di Zenith (per leggerla, clicca QUI) ma forse è meglio approfondire: Non esiste un film che tutti abbiano visto, quindi usare un qualsiasi titolo in un romanzo, diventa rischioso.
Questo perché, nel migliore dei casi, si rischia solo di confondere e disorientare il lettore. Nel peggiore, un lettore non capisce una parte fondamentale, rosica (si vede che mi manca Roma eh?) e dà un giudizio negativo. L’intero romanzo rischia di venire affossato, perché l’autore ha dato per scontato che tutti conoscano quello che nomina.
Ecco che ricompare l’Intellettualoide.
Ma perché scusa?? Io se non capisco qualcosa, mi documento subito o quando smetto di leggere!!
Sì, ma se ti documenti subito, vuol dire che hai sospeso la lettura per aprire una pagina di Wikipedia, poi vai su facebook, sbadigli, indossi un berretto, vai a catturare Pokemon col telefonino (è tutta invidia eh, io ho windows…) e riprendi il romanzo dopo due giorni.
Hai sospeso la lettura per cercare un’informazione che era compito dell’autore darti. L’immersione nel romanzo si è spezzata, cosa che in un fantasy deve accadere il meno possibile.
Se ti documenti dopo, invece, vuol dire che tu hai continuato a leggere anche se non ci stai capendo nulla, stai facendo finta di niente e magari stai sbadigliando perché trovi quella parte noiosa. In realtà non stai capendo il discorso. L’immersione nel romanzo si è spezzata anche in questo caso.
Io non sono un’esperta di cinema; ci vado spesso, i film mi piacciono, ma ho dei gusti particolari. E, come per ogni cosa, non credo che esistano film che “tutti devono aver visto”. Quindi posso rientrare nell’esempio di un lettore non appassionato, ma che ogni tanto vede qualcosa.
Qui di seguito vi riporto qualche esempio, con sotto il mio feedback.
«Vedo le persone morte» disse Jensen, imitando il bambino del “Sesto senso”.
Da notare che nemmeno il traduttore di questo romanzo ha visto il film, visto che la battuta è sbagliata.
«[…] Non voglio mentirle, penso si tratti soltanto di un mucchio di stronzate, ma fintanto che resta dalla mia parte e le sue indagini mi aiutano a dimostrare che è stato Bourbon Kid a commettere gli omicidi e non Jar Jar Bink, non abbiamo alcun problema.»
[…] «Jar Jar, eh? È appassionato di cinema?»
«Nel tempo libero.»
«Comunque, proprio non ce la vedo come fan di “Guerre Stellari”.»
Da brava nerd ho visto Star Wars, quindi questa parte l’ho capita.
«Registi: i fratelli Scott, Ridley o Tony?»
«Non c’è gara. Tony sempre e comunque.» Jensen non esitò un attimo. «Certo, Ridley ha ottimi argomenti con “Blade Runner” e “Alien”, ma “Nemico pubblico” e “Allarme rosso” non possono essere liquidati con leggerezza. Sono ottimi film e di spessore.»
«In cui l’eroe è nero, giusto?» aggiunse Somers, convinto di toccare un nervo scoperto, ma si era sbagliato nel valutare il proprio bersaglio.
«Vero, ma non è questo il motivo per cui mi piacciono. Tony ha diretto anche “Una vita al massimo” e quello è un gran bel film senza avere un eroe nero.»
«Fa lo stesso» sospirò Somers. «Comunque mi schiero dalla parte di Ridley, in conseguenza del fatto che Tony si è reso responsabile di quell’insulso horror intitolato “Miriam si sveglia a mezzanotte”. Di certo il peggior film sui vampiri che abbia mai visto.»
«Bene, quindi non è colpa di “Ragazzi perduti”.»
«Certo che no, dannazione.»
Qui invece nella mia testa c’era il vuoto più totale, il criceto che vive nella mia testa non aveva materiale da fornirmi, quindi è tornato a giocare sulla ruota.
Mentre Sanchez aveva un completo da Batman identico a quello indossato da Michael Keaton nel film di Tim Burton, il suo cuoco era stato obbligato ad infilarsi il costume di Robin delle serie TV kitsch degli anni Sessanta. Le battute rivoltegli dai clienti erano implacabili.
Batman, c’è l’ho. Robin, mi manca. Sembra di essere tornati allo scambio delle figurine.
Le grane si mostrarono nella forma di Carlito e Miguel. I gorilla, entrambi vestiti da cowboy, si avvicinarono impettiti al bancone quasi fossero stati i padroni del locale.
«E voi chi sareste, ragazzi?» domandò Sanchez.
«Siamo i ranger solitari» rispose Miguel che una volta tanto aveva sostituito Carlito al comando.
«I ranger solitari?» li schernì Mukka, chiaramente sconcertato da dietro le spalle di Sanchez. «Stai scherzando giusto?»
«No. Perché?» Miguel sembrava leggermente confuso.
«Be’» disse Mukka. «È evidente che il tratto saliente del ranger solitario è appunto quello di essere da solo. Per questo lo chiamano ‘il ranger solitario’.»
[…] «Ascolta, stronzo» disse Miguel. «Nella serie televisiva c’era Tonto con lui, per cui non era propriamente ‘solitario’, no?»
«Tonto non era un ranger però, no? Era un indiano.» spiegò Mukka. Ci fu un attimo di silenzio.
«Oh, già» ribatté Miguel, riuscendo finalmente a cogliere l’obiezione di Mukka. «Suppongo di no. Giusto. Giusto, hai ragione.»
Ho visto “The Lone Ranger” per caso, quindi in questo punto ho capito di che si parlava, nonostante si riferissero alla serie tv.
Qui di seguito vi riporto tutti i titoli che un lettore deve aver visto per capire a pieno questo romanzo, e sicuramente alcuni li ho dimenticati.
Il sesto senso
Star Wars
Karate kid
Blade Runner
Alien
Nemico pubblico
Allarme rosso
Una vita al massimo
Miriam si sveglia a mezzanotte
Ragazzi perduti
Batman
The Lone Ranger
Halloween
Nightmare
Terminator
Karate Kid
Come potete vedere, il “Tanto poi mi vado a documentare” non può funzionare, perché se tutti gli autori iniziassero a fare così, vi capiterebbe sempre più di frequente un elenco del genere, e un lettore che non ne ha visto nessuno, per “documentarsi” dovrà sorbirsi minimo 36 ore di film.
Ma che centra?? L’Intellettualoide è tornato. Si parla solo di film, non è importante!! Basta saltare quella parte!!
E invece no, perché l’autore gioca molto col dirci cose che gli altri personaggi non sanno, è soprattutto questo che porta il lettore a continuare a leggere, e infatti ci mette una pulce nell’orecchio inserendo la chiave stessa del romanzo con il titolo di un film. Se la cogli, leggi il romanzo con più interesse e sicuramente l’autore contava su questo. Ma chi non ha visto il film citato, probabilmente non ci fa caso.
Esistono mille modi di mettere una pulce nell’orecchio al lettore, e usando un film o una serie tv senza spiegare nulla, non solo viene colta da pochi eletti, ma rischi un giudizio negativo da parte tutti gli altri.
FINALE
Anche nel finale l’autore non si smentisce, concludendo il romanzo con uno scambio di battute accattivante che ti fa quasi dispiacere che il libro sia finito.
Questo potrebbe considerarsi un romanzo autoconclusivo, perché tutti i personaggi hanno un loro epilogo. Tuttavia, nel finale l’autore apre la porta ad un possibile seguito, che in effetti ho scoperto esiste già in Italia con il titolo L’Occhio di Luna. Purtroppo la Fanucci ha poi sospeso la saga, lasciando fuori gli ultimi due libri. Peccato.
CONCLUSIONE
Penso sempre che alcuni romanzi ci arrivino fra le mani per una ragione, e quando ho iniziato questo, avevo proprio bisogno di ridere. Quindi, se cercate un romanzo senza pretese, leggero, surreale, che vi faccia fare qualche risata senza mai annoiarvi, questo sicuramente fa per voi.
Voto: 7/10