Parliamo di… “Sulla strada” di Jack Kerouac

“Correvano insieme per le strade, assorbendo tutto in quella primitiva maniera che avevano, e che più tardi diventò tanto più triste e ricettiva e vuota. Ma allora danzavano lungo le strade leggeri come piume, e io arrancavo loro appresso come ho fatto tutta la mia vita con la gente che mi interessa, perché per me l’unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi di essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano come favolosi fuochi artificiali color giallo che esplodono come ragni traverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno Ohhhhh.”

Un susseguirsi frenetico di persone, viaggi, strade, paesaggi e città. Un flusso di pensieri continuo, che va oltre ogni possibile trama, da cui spesso emergono concetti concreti e attuali che scavano dentro il lettore anche a distanza di 65 anni.

“«Se continuate così diventerete pazzi tutti e due, però fatemi sapere quel che succede mentre procedete.»”

Per una persona che scrive e ama creare personaggi veri e imperfetti, questo libro è una miniera di spunti e ispirazioni, perché sono inverosimili al punto da essere veri, ed è inquietante e bellissimo.

“Non è forse vero che si comincia la vita come un dolce fanciullo che crede in tutto ciò che sta sotto il tetto paterno ? Poi viene il giorno dei Laodicei, quando si sa che si è distrutti e miserabili e poveri e ciechi e nudi, e con l’aspetto di uno spettro repellente e oppresso ci si incammina tremando attraverso una vita piena d’incubi.”

È un libro sulla libertà, in tutte le sue forme: Mentale, fisica, spirituale ed espressiva. Non posso fare altro che consigliarlo. Immergetevi nel mondo On the road, e provate a sentirvi liberi.

“E solo per un attimo avevo raggiunto quell’apice d’estasi che avevo sempre desiderato raggiungere, che era il completo passaggio attraverso il tempo cronologico nelle ombre senza tempo, e stupore nella desolazione del regno mortale, e la sensazione di morte che mi batteva ai calcagni perché andassi avanti, con un fantasma che stava alle calcagna di se stesso, e io che correvo verso un trampolino dal quale si tuffavano tutti gli angeli per volare nel vuoto sacro della vacuità non creata, le potenti e inconcepibili radiazioni che splendono nella luminosa Essenza Mentale, innumerevoli regioni del loto che sbocciavano in un magico sciamare di falene nel cielo. Potevo sentire un indescrivibile rombo ribollente che non era nelle mie orecchie ma dovunque e non aveva niente a che fare col suono. Capii che ero morto ed ero tornato alla luce innumerevoli volte ma solo non me lo ricordavo, soprattutto perché i passaggi dalla vita alla morte e di nuovo alla vita sono così fantomaticamente facili, una magica azione per nulla, come cadere addormentati e svegliarsi di nuovo un milione di volte, la pura casualità e la profonda ignoranza di ciò. Capii che era solo a causa della stabilità della Mente intrinseca che aveva luogo questo lieve ondeggiare del nascere e del morire, come l’azione del vento su una distesa di acqua pura, serena, simile a uno specchio. Provavo un senso di benedizione dolce, travolgente, come un grosso getto di eroina nella vena principale; come un sorso di vino nel tardo pomeriggio che ti fa rabbrividire; i piedi mi formicolavano. Mi pareva che sarei morto da un momento all’altro. Ma non morii…”

“«Dopo questo, non ci rimane più nulla».
«Suoniamo lo stesso.»
Qualcosa ne sarebbe pur venuto fuori. C’è sempre qualcosa di più, un po’ più in là… non finisce mai.”

“«Qual è la tua strada, amico?… la strada del santo, la strada del pazzo, la strada dell’arcobaleno, la strada dell’ imbecille, qualsiasi strada. È una strada in tutte le direzioni per tutti gli uomini in tutti i modi. Che direzione che uomo che modo?»”

“Io attaccai discorso con una splendida ragazza di campagna che portava una camicetta di cotone molto scollata e rivelava la sommità abbronzata del suo bel seno. Era ottusa. Parlò di serate in campagna passate a fare il popcorn sotto il portico. Un tempo ciò mi avrebbe rallegrato il cuore ma poiché il cuore di lei non se ne rallegrava mentre lo diceva, capii che in esso non c’era altro che l’idea di ciò che si dovrebbe fare. «E in quale altro modo si diverte?» Cercai di tirar nel discorso le amicizie maschili e il sesso. I suoi grandi occhi scuri mi scrutarono vacui e con una specie di dolore nel sangue che risaliva a generazioni addietro per non aver fatto ciò che urgeva venisse fatto… qualsiasi cosa fosse, e tutti sanno cosa sia. «Cos’è che esige dalla vita?» Volevo prenderla e spremere da lei la risposta. Non aveva la minima idea di quel che volesse. Farfugliò di impieghi, di film, di andare da sua nonna durante l’estate, del desiderio di recarsi a New York a vedere il Roxy, di che specie di completo avrebbe indossato: qualcosa di simile a quello che portava la Pasqua scorsa, cappellino bianco, rose, scarpine pure rosa, e un soprabito di gabardine color lavanda. «Cosa fa la domenica pomeriggio?» domandai. Stava seduta sotto il portico. I suoi amici passavano in bicicletta e si fermavano a chiacchierare. Leggeva giornaletti umoristici, si sdraiava nell’amaca. «Cosa fa in una calda notte d’estate?» Sedeva sotto il portico guardava le macchine sulla strada. Lei e sua madre facevano il popcorn. «Cosa fa suo padre in una notte d’estate?» Lavora, fa il turno di notte in una fabbrica di caldaie, ha passato la sua vita intera a mantenere una donna e i suoi rampolli e senza credito né adorazione. «Cosa fa suo fratello in una notte d’estate?» Va in giro in bicicletta e passeggia davanti al chiosco delle bibite. «Cos’è che egli muore dalla voglia di fare? Cos’è che tutti noi moriamo dalla voglia di fare? Cosa vogliamo?» Non lo sapeva. Sbadigliò. Aveva sonno. Era troppo. Nessuno poteva dirlo. Nessuno avrebbe potuto dirlo mai. Tutto era finito. Aveva diciott’anni ed era estremamente adorabile, e mancata.”

“Dean tirò fuori altre fotografie. Mi resi conto che queste erano tutte le istantanee che i nostri bambini avrebbero guardato un giorno con stupore, convinti che i loro genitori avessero vissuto una vita liscia, ben ordinato, delimitata nella cornice di quelle fotografie e si fossero alzati al mattino per incamminarsi orgogliosi sui marciapiedi della vita, senza mai sognare la stracciata pazzia e la ribellione della nostra vita reale, della nostra notte reale, l’inferno di essa, l’insensata strada piena di incubi. Tutto questo dentro un vuoto senza principio e senza fine. Compassionevoli forme di ignoranza.”

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