Recensione – Hyperion di Dan Simmons

Da quando fui in grado di capire, seppi che sarei diventato… che sarei dovuto diventare… un poeta. Non come se non avessi scelta, ma come se la bellezza morente tutt’intorno soffiasse dentro di me il suo ultimo alito e mi condannasse per il resto dei miei giorni a giocare con le parole, quasi a espiare lo spensierato massacro del mondo natale effettuato dalla nostra razza. Così al diavolo!, diventai poeta.


Titolo: Hyperion
Serie: I Canti di Hyperion
Autore: Dan Simmons
Editore: Fanucci
Pagine: 455
Prezzo: Molto variabile, dipende dall’edizione
Reperibilità: Online

Dal web

Nel 2700 gli esseri umani, grazie allo sviluppo della tecnologia dei teleporter, si spostano istantaneamente nella galassia, ma un terribile esperimento, il Grande Errore, ha causato la distruzione della Terra e la diaspora dell’uomo nello spazio, dando vita così a una nuova federazione che unisce tutti i mondi abitati: l’Egemonia dell’Uomo. Alla vigilia dell’Armageddon, sette pellegrini affrontano un ultimo viaggio verso Hyperion, in cerca delle risposte agli enigmi della loro vita. Ognuno di loro deve raccontare agli altri la propria storia, per farsi conoscere e dimostrare di non essere una spia. I racconti dei sette ruotano intorno ai mondi e alle difficoltà che circondano lo spazio: dalla minaccia degli Ouster, discendenti dei primi coloni che fanno a meno della tecnologia, al ruolo della Chiesa Shrike, temuta da tutti. E in questi racconti, di una bellezza sfolgorante, sta la chiave che permetterebbe loro di salvare l’umanità.

Weintraub aprì la mano in un gesto che includeva tutti quelli seduti al tavolo. – Noi rappresentiamo isole di tempo, oltre che diversi oceani di prospettiva. O forse, per esprimere meglio il concetto, può darsi che ciascuno di noi abbia una tessera del puzzle che, da quando per la prima volta l’umanità è scesa su Hyperion, nessuno è riuscito a risolvere. – Weintraub si grattò il naso. – È un mistero – aggiunse. – E, a dire il vero, i misteri mi appassionano, anche se questa dovesse essere l’ultima settimana in cui potrò apprezzarli. Mi accontenterei volentieri anche di un semplice barlume di comprensione ma, in mancanza di questo, mi basterà cercare di ricomporre il puzzle.

Al mare con gli amici in pieno Agosto: Spiaggia super affollata, bambini che strillano, sabbia ovunque. Gufetto legge Hyperion poco distante, mentre io rotolo di continuo sull’asciugamano come un panda, cercando una posizione comoda per leggere.

Un filmato di quel giorno


*Alzando il becco dal romanzo letto a metà* Ma te l’hai letto Hyperion?

 

 

 

 

*Già pronta a rotolare via o a tapparmi le orecchie* Non ancora, ma voglio recensirlo quindi per favore non dirmi niente.

 

 

 

 

...Oh oh oh-ho! Quanto ti piacerà! *Si tuffa di nuovo nel romanzo.*

 

 

 

 

È così che è iniziata la mia relazione tormentata con Hyperion: per paura degli spoiler di Gufetto.

Prima di allora era solo un innamoramento platonico. La trama mi era piaciuta tantissimo, chiunque sentivo aveva pareri entusiastici, capolavoro qui, capolavoro lì, alla fine mi sono decisa e l’ho ordinato su Comprovendolibri. Avevo deciso di tenerlo da parte per l’autunno o l’inverno, quando il mio cervello rientra in funzione a pieno regime, e smetto di essere un mostro riccio e sciatto, vittima del caldo.

Io durante l’Estate

L’INIZIO

Nella loggia della sua astronave color ebano, il Console dell’Egemonia suonava, su uno Steinway antico ma ben conservato, il Preludio in Do diesis minore di Rachmaninoff; in basso, fra le paludi, enormi creature verdi simili a sauri si agitavano e mugghiavano. A nord s’addensava un temporale: nuvoloni d’un nero livido facevano da sfondo a una foresta di gimnosperme giganti; stratocumuli torreggiavano a nove chilometri d’altezza nel cielo violento. Più vicino alla nave, vaghe sagome a forma di rettile urtavano di tanto in tanto il campo d’interdizione, mandavano un grido e s’allontanavano rumorosamente nella nebbia color indaco. Il Console si concentrò su un difficile passaggio del Preludio, senza badare al temporale e alla notte in arrivo.

L’inizio per me è stato traumatico: termini sconosciuti e descrizioni confuse, che ti gettano dentro il mondo creato dall’autore senza alcuna spiegazione.


E dopo circa 30 pagine così, mentre scivolavo lentamente nel sonno, fissando il libro con occhi vacui, e iniziavo a chiedermi come avesse fatto Gufetto ad arrivare a metà libro, ma soprattutto cosa avesse fumato quel giorno per consigliarmelo, ecco che inizia la parte interessante.

WORLDBUILDING

Uno dei punti di forza, in questo romanzo, sono senza dubbio i vari mondi dell’Egemonia, la loro organizzazione, origine e le varie caratteristiche.

Tsingtao-Hsishuang Panna

Mi è piaciuta la visione dell’autore riguardo l’espansione delle nazioni terrestri: Ogni nazione che prima sulla Terra aveva un territorio limitato, in questo romanzo ha un intero mondo da modellare secondo usi, tradizioni, religioni ecc… Ho trovato molto interessante il fatto che, se prima sulla Terra si puntava all’integrazione e alla globalizzazione, una volta lasciato il pianeta natale si è presa, invece, una direzione di divisione e, a volte, di isolamento.

Hebron

TRAMA

Sembrava quasi che Hoyt suonasse un duetto con il gelido vento dei picchi sovrastanti. Per il Console, la chiarezza di quel suono era quasi dolorosa.

La trama è molto semplice e spesso viene messa in secondo piano per introdurre i personaggi e la loro storia. È una lunga premessa, dove il lettore viene istruito in ogni aspetto, per poter capire al meglio gli eventi futuri.

PERSONAGGI

Si può dire che l’intero romanzo sia un continuo spunto di riflessione. Il raggio di argomenti trattati è talmente ampio, che qualsiasi siano gli interessi del lettore, probabilmente troverà qualcosa su cui soffermarsi.
L’autore è stato molto abile nel dividere argomenti e spunti nelle varie storie, senza far sembrare tutto troppo forzato. In questo modo, oltre che a ricevere un gran numero di informazioni, il lettore ha modo di osservare i mondi dell’Egemonia attraverso molti punti di vista diversi.

Il racconto del prete: L’uomo che si lamentò di Dio

Lenar Hoyt era un giovanotto, dal punto di vista del Console. Aveva appena superato la trentina, ma sembrava che in tempi recenti qualcosa l’avesse invecchiato terribilmente: viso smagrito, zigomi sporgenti sotto la pelle giallastra, occhi grandi ma segnati da profonde occhiaie, labbra sottili perennemente piegate in una smorfia troppo accentuata per essere anche solo un sorriso cinico, incipiente calvizie dovuta alle radiazioni. Questi tratti davano l’impressione che l’uomo fosse stato ammalato per anni. Eppure, con stupore del Console, dietro quella maschera di dolore segreto restava l’eco fisica del ragazzo: deboli residui d’un viso rotondo, di pelle rosea, di labbra morbide, appartenuti a un Lenar Hoyt più giovane, più sano, meno cinico.

In questo racconto si osserva la situazione del pianeta Hyperion dal punto di vista della religione, attraverso il diario di Padre Durè, un prete esiliato a Hyperion. Lenar Hoyt completerà il racconto chiarendo il suo ruolo nella vicenda. Gli spunti e gli argomenti, in questo racconto, sono davvero interessanti.

La situazione della Chiesa nel 2700

Partiamo dal presupposto che la Chiesa ci fa una figura piuttosto becera in tutto il romanzo, ma non è la sola; l’autore si è sfogato parecchio e ha sparato a zero su un sacco di argomenti.

La perdita della fede

I Bikura

Non hanno nome. Sulle prime mi è sembrato incredibile, ma ora ne sono sicuro.
«Siamo tutto ciò che fu e che sarà» ha detto il Bikura più basso, che considero femmina e che chiamo Eppie. «Siamo i Tre Ventine e Dieci.»

Questa parte mi è piaciuta tantissimo. I Bikura sono un gruppo di 70 persone, di cui si sa pochissimo e si dice siano i discendenti dei passeggeri dispersi su Hyperion dopo un disastro aereo, molti anni prima. Ho adorato l’ironia involontaria del personaggio mentre studia il loro comportamento.

Davano sempre una risposta, ma non riuscivano mai a illuminarmi d’uno iota. Dopo un mucchio di domande, ho accertato che hanno ucciso Tuk per farlo morire e che è morto perché è stato ucciso.

Padre Dùre li ha cercati a lungo e, una volta con loro, cerca di capire il più possibile, ma fa molta fatica a comprenderli e un senso di inquietudine invade sempre di più sia lui che il lettore.

«Cosa fareste, se scendessi nel precipizio?» ho domandato, senza aspettarmi una risposta. Le domande ipotetiche quasi sempre hanno la stessa fortuna di quelle temporali.
Ma stavolta ha risposto. Ha ripreso il sorriso serafico e l’aria imperturbata, mentre diceva piano: «Se scendi nel precipizio, ti teniamo fermo sull’erba, prendiamo pietre affilate, ti tagliamo la gola e aspettiamo che il tuo sangue smetta di scorrere e il tuo cuore di battere».
Sono rimasto zitto. Mi sono chiesto se anche lui sentiva come mi batteva forte il cuore in quel momento. Bene, mi sono detto, almeno non devo più preoccuparmi che mi ritengano un dio.
Il silenzio si è protratto. Alla fine Al ha aggiunto una frase, sulla quale da allora non faccio che riflettere. «E se lo rifai» ha detto «dobbiamo ucciderti di nuovo.»
Ci siamo fissati a lungo; e, sono sicuro, ciascuno di noi era convinto che l’altro fosse un perfetto idiota.

Spoiler

IL RACCONTO DEL SOLDATO: Gli amanti di Guerra

Questo racconto illustra al lettore la situazione dell’Egemonia e di Hyperion dal punto di vista militare. Il Colonnello Fedmahn Kassad ha un passato di miseria e delinquenza, che lo ha indurito a tal punto da essere spietato nel suo lavoro e diventare una figura molto controversa, ma efficiente.

Il Console si chiese se la durata dell’attenzione collettiva, nella Rete dei Mondi, fosse ancora così breve come nel periodo in cui lui era vissuto lì. Più breve, probabilmente; quindi il colonnello Fedmahn Kassad, il cosiddetto Macellaio di Bressia Sud, ormai non era più né famigerato né famoso. Ma per la generazione del Console, e per tutti coloro che vivevano nella lenta frangia di tempo degli esuli, Kassad non era uno che fosse facile dimenticare.

Questo racconto non mi ha colpito più di tanto, c’è un problema piuttosto evidente per quanto riguarda lo stile, ma lo vedremo nel dettaglio più avanti. Qui l’autore si dà alla pazza gioia, riempiendo il racconto di scene di sesso inutili e diventando esagerato, nel senso più negativo del termine. C’è una scena balorda, infatti, che dovrebbe essere importante e piena di pathos, ma che a me ha fatto scuotere la testa e ridere un sacco.

È uno spoiler solo per quanto riguarda il racconto singolo, nel romanzo in generale non vi rovinerà nulla, quindi secondo me potete leggerlo, ma per sicurezza lo nascondo.

Scena balorda

IL RACCONTO DEL POETA: Canti di Hyperion

– Come si fa a sapere cosa faranno gli Ouster? – rispose. – Ormai sembra che non seguano più nessuna logica umana.
Martin Sileno rise forte, con un gesto che lasciò cadere qualche goccia di vino. – Come se noi merdosi esseri umani avessimo mai seguito la logica umana! –
[…] – Potremmo nominare un capo – suggerì Kassad.
– Ci piscio sopra – annunciò vivacemente il poeta.

Dal momento in cui è comparso Martin Sileno, per me è iniziato l’innamoramento per questo libro. È secondo me il personaggio più riuscito, quello che rimane impresso anche a distanza di tempo. Ha una forte sensibilità che, unita ad una vita difficile, lo ha reso pazzo, cattivo e visionario.
Ho adorato ogni parola detta da lui, infatti l’ho nominato mio animale spirituale, subito dopo Nick Miller di New Girl.

In principio era il Verbo. Poi venne il verb-processor del cazzo. Poi il pensiero-processor. Poi la morte della letteratura. Va così.
Francesco Bacone disse una volta: «Deriva da una brutta e inetta formazione di parole una prodigiosa ostruzione della mente». Tutti noi abbiamo contribuito alla nostra prodigiosa ostruzione della mente, non è vero? Io più di tanti. Uno dei migliori, dimenticati scrittori del XX secolo… proprio così, migliori-virgola-dimenticati… una volta se ne uscì con questo bon mot: «Fare lo scrittore mi piace: quello che non sopporto è mettere le parole sulla carta». Capito? Bene, amigos e piccola amiga, mi piace essere un poeta: quel che non sopporto sono le stramaledette parole.

Il suo racconto è forse quello più importante, quello che nasconde più chiavi di risoluzione e pulci nell’orecchio. Ci illustra la vita sui pianeti dell’Egemonia e Hyperion dal punto di vista di un artista.

Cosa significa essere poeta

È un racconto dove serietà e umorismo si alternano di continuo, e la poesia impregna ogni parola.

Essere un poeta senza usare le parole

E anche dove l’umorismo sembra da quattro soldi, in realtà nasconde più chiavi di lettura.
Dopo un po’ inizi a chiederti come può, una persona del genere, fare pensieri così profondi, e lì ti rendi conto che l’autore ha costruito un personaggio vero.

L’emisfero destro non era del tutto privo di un certo linguaggio… ma questa semisfera affettiva poteva alloggiare solo le unità di comunicazione emotivamente più caricate: il mio vocabolario adesso era limitato a nove parole. (Fatto di per sé eccezionale, appresi in seguito: molte vittime ne conservano solo due o tre.) Per la cronaca, il mio intero vocabolario comprendeva queste parole: chiavata, cacata, pisciata, fica, maledetto, bastardo, fottuto, pipì e pupù.
[…] Presto scoprii che fra i miei amici intimi (Vecchia Fogna, il caposquadra pala e badile; Unk, il bullo dei bassifondi al quale pagavo la tangente per avere protezione; Kiki, la pidocchiosa puttana-letto con cui dormivo quando potevo permettermelo) il mio vocabolario limitato mi serviva bene. «Chiavata cacata» grugnivo, gesticolando. «Fottuto fica pipì chiavata.»
«Ah» sogghignava Vecchia Fogna, mostrando l’unico dente. «Vai al negozio della compagnia a procurarti un boccone di alghe, eh?»
«Maledetto pupù» rispondevo, con lo stesso sogghigno.
[…] Essere un poeta, mi resi conto, un poeta vero, significava diventare l’Avatar incarnato dell’umanità; accettare il manto di poeta equivaleva a portare la croce del Figlio dell’Uomo, a sopportare le doglie del parto dell’Anima Madre dell’Umanità.
Essere un poeta vero è diventare Dio.
Su Porta del Paradiso cercai di spiegare ai miei amici questo concetto. «Pisciata, cacata» dissi. «Fottuto bastardo, maledetto cacata maledetto. Fica. Pipì fica. Maledetto!»
Scossero la testa, sorrisero e si allontanarono. Raramente i grandi poeti sono capiti, nel loro tempo.

Sistema Editoriale e Mc Donald

IL RACCONTO DELLO STUDIOSO: Il fiume Lete sa d’amaro

Quando Sol Weintraub fu presentato e alzò gli occhi, il Console notò la barbetta sale e pepe, la fronte piena di rughe, gli occhi tristi e luminosi del celebre studioso. Aveva sentito parecchie storie sull’Ebreo Errante e la sua ricerca disperata, ma fu sconvolto nell’accorgersi che il vecchio teneva in braccio la bambina… sua figlia Rachel, di qualche settimana appena. Il Console distolse lo sguardo.

Se nel racconto di Lenar Hoyt e Padre Durè il punto di vista è quello di un uomo interno alle istituzioni religiose, in questo, ogni cosa viene vista attraverso gli occhi di un esterno, uno studioso che passa la vita a cercare una risposta e, non trovandola, prova a tornare indietro alle sue origini ebraiche, mettendo tutto in discussione.

«Hanno trovato una cura?».
«No. Ma ho trovato un motivo di speranza.»
«La speranza è bene» disse Robert, in tono prudente.
Sol sorrise, i denti bianchi contro il grigio della barba. «Meglio che lo sia» disse. «A volte è tutto ciò che abbiamo.»

Questo è l’altro racconto che mi è davvero piaciuto, se quello di Sileno faceva per lo più ridere, questo è davvero straziante. L’autore costringe il lettore a mettersi nei panni di Sol Weintraub, e non è per niente facile.

Il Morbo di Merlino

Sol la fissò negli occhi. «Dottoressa, vuol dire che su Hyperion Rachel ha contratto una malattia che la fa invecchiare?» S’interruppe un attimo, frugando nella memoria. «Qualcosa di simile alla sindrome di Matusalemme o all’antico morbo di Alzheimer?»
«No» disse Singh. «In realtà la malattia di vostra figlia non ha nome. Qui i dottori la chiamano morbo di Merlino. Vede… sua figlia invecchia a ritmo normale… ma, da quanto ci risulta, invecchia a ritroso.»

L’autore con questo racconto ci mostra l’effettiva pericolosità delle Tombe del Tempo, su Hyperion; ci introduce all’effettiva funzione dei campi anti-entropici e, al tempo stesso, ci pone davanti una prova umana davvero difficile: Una ragazza di 25 anni che, ogni volta che va a dormire, perde un giorno di memoria a ritroso, e invece di invecchiare, ringiovanisce. E la decisione che lei prende, ad un certo punto, mi ha commosso profondamente.

Spoiler

Dopo averle letto una favola, dopo la ninnananna e il bacio della buonanotte, certo che Rachel ormai dormisse, usciva in punta di piedi dalla cameretta e udiva il soffocato: «Ciao ciao, maramao» provenire dalla figurina sotto le coperte; allora doveva rispondere: «A fra poco, bel topo»
[…] Qualche tempo dopo il secondo compleanno di Rachel, Sol rimboccò la coperta alla piccina, si fermò sulla soglia e le disse. «Ciao ciao, maramao».
«Eh?»
«Ciao ciao, maramao.»
Rachel ridacchiò.
«E tu rispondi: A fra poco, bel topo» disse Sol. Le spiegò il significato di maramao e di topo.
«A fla poco be’ topo» ridacchiò Rachel.
Il mattino dopo aveva dimenticato.

Ogni cosa viene messa in discussione, anche Dio

IL RACCONTO DELL’INVESTIGATRICE: Il lungo addio

Ci vollero dieci minuti per tirargli fuori la storia. Al termine, non pensavo più che fosse pazzo. La pazza ero io. O lo sarei stata se avessi accettato l’incarico.

Il personaggio di Brawne Lamia e il suo racconto non mi hanno colpito particolarmente, aveva un enorme potenziale, ma l’autore ha fatto delle scelte stilistiche che secondo me lo hanno rovinato molto. Vengono introdotte e spiegate le Intelligenze Artificiali e il loro ruolo, inoltre mi è piaciuta l’idea del Cìbrido: un essere metà umano e metà intelligenza artificiale.

Spoiler

IL RACCONTO DEL CONSOLE: Ricordando Siri

Il giorno è perfetto e io odio la perfezione.

In questo romanzo il punto chiave sono i dettagli, i personaggi e il worldbuilding. Nello sviluppo della trama e nei colpi di scena lascia un po’ a desiderare, infatti questo racconto porta molti chiarimenti che vengono considerati dei colpi di scena, ma che in realtà erano già abbastanza chiari dall’inizio del romanzo.
Vengono spiegate molte cose sugli Ouster, sulla guerra, sull’organizzazione politica, viene svelato il segreto su cui si basa l’espansione spaziale del genere umano.

Guardammo in alto con aria colpevole, quando il grido dell’uccello squarciò la notte e Siri disse: «Fu l’usignolo e non la lodola, a ferire il tuo orecchio timoroso».
«Eh?» risposi. Siri aveva quasi sedici anni. Io, diciannove. Ma Siri conosceva il lento ritmo dei libri e le cadenze del teatro sotto le stelle. Io conoscevo solo le stelle.

Si racconta anche la vicenda di un uomo che ha passato gran parte della sua vita in ibernazione, tra una missione e l’altra, lasciando che la vita intorno a lui passasse, che la donna che amava invecchiasse, senza che lui potesse essere con lei e vivere davvero. Parla di quanto il tempo sia facile da perdere, quasi quanto le persone.

Per la prima volta dall’atterraggio per la nostra Sesta Riunione, questa, sono addolorato. No, non sento dolore, non ancora, ma una tristezza acuta che presto diventerà rimpianto. Per anni ho portato avanti mute conversazioni con Siri formulando a me stesso domande per future discussioni con lei, e all’improvviso mi rendo conto con fredda chiarezza che mai più ci siederemo insieme a parlare. Dentro di me comincia a crescere un vuoto.

STILE

Lo stile è davvero il punto dolente di questo romanzo. Se fosse stata solo una questione di scrittura, avrei lasciato perdere, ma questo stile ballerino e balordo compromette l’immersione, la comprensione e l’immedesimazione, tre processi fondamentali quando si legge un romanzo.

Il punto di vista balordo

I più attenti sicuramente si sono già accorti del problema leggendo le citazioni. L’autore ha creato dei personaggi ben definiti, alcuni più loquaci e socievoli di altri, e quando arriva il momento in cui TUTTI devono raccontare la loro storia, si è trovato in difficoltà.

Una persona come il colonnello Kassad, che spiccica cinque parole in tutto il romanzo, non si sarebbe mai messo a raccontare la sua storia nei così minimi dettagli, non si sarebbe messo a raccontare tutte le spupazzate che si è fatto con Moneta; sarebbe stato sommario, reticente. Ma l’autore non poteva permetterlo, perché serviva che raccontasse dei dettagli e degli avvenimenti precisi.

Quindi cosa ha fatto? Ha fatto sedere il protagonista, gli ha fatto aprire bocca per iniziare a raccontare, e poi ha fatto subentrare il narratore, raccontando la storia in terza persona.

È una cosa che dà molto fastidio, e si ripete anche per Sol Weintraub, dove ad un tratto viene inserito addirittura il punto di vista della figlia, uscendo completamente dalla forma di Racconto personale.

Il raccontato

Nel racconto di Brawne Lamia il punto di vista è quello giusto, ma è presente una scena raccontata che mi ha dato molto sui nervi, perché se fosse stata mostrata secondo me sarebbe stata bellissima, intensa, forse una delle migliori.

Anche qui, lo nascondo per sicurezza, ma è uno spoiler che non intacca la trama del romanzo.

Raccontato balordo

Questa scena occupa una pagina intera, eppure non ha detto nulla. Non c’è anima in un raccontato così. Penso che l’autore abbia fatto questa scelta perché voleva stringere, risparmiare caratteri, (quello che non sto facendo io adesso) però secondo me ha perso davvero una bella occasione.

Descrizioni che confondono invece di chiarire

La spin-nave dell’Egemonia era assurdamente seguita dalla scia dei quattro bracci ritratti nella preparazione alla battaglia, aveva una sonda di comando di sessanta metri acuminata come una punta Clovis, e il motore Hawking e i bruciatori di fusione collocati molto indietro lungo il pozzo di lancio, come piume in fondo a una freccia.

Voi avete capito come è fatta questa spin-nave?
Nemmeno io.

Rammentò la prima occhiata alla nave-albero lunga un chilometro quando aveva accostato. I particolari erano confusi dalla macchina di ridondanza e dai campi di contenimento generati dagli erg che la circondavano come una nebbia sferica, ma la massa frondosa era chiaramente illuminata da migliaia di luci che risplendevano pallide tra le foglie e nei reparti ambientali dalle pareti sottili, o lungo le innumerevoli piattaforme, le passerelle, i ponti di comando, le scalette e i pergolati. Attorno alla base della nave-albero, sfere di manovra e di deposito simili a vesciche gonfie formavano un grappolo; in coda, i pennoni di propulsione azzurri e viola formavano una scia, come radici lunghe dieci chilometri.

Finale

Inutile dire che non esiste un vero finale, e che tutto si interrompe sul più bello. Mi ha incuriosito molto, e voglio leggere cosa succederà a questo branco di disgraziati, a cui è impossibile non affezionarsi.
La saga continua con La caduta di Hyperion, che cercherò sicuramente.

Conclusione

Hyperion è un romanzo dove la fantascienza incontra la poesia, quindi non poteva non piacermi.
Nonostante tutte le difficoltà amorose stilistiche, per quello che racchiude è sicuramente uno dei libri più belli letti quest’anno.
Se cercate un romanzo di fantascienza diverso dal solito, informale, che vi faccia ridere e piangere, questo fa per voi.

Voto: 8,5/10

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