Parliamo di… “Lo scrittore e l’altro” di Carlos Liscano

“È stato allora che ho capito, come a volte uno capisce, in un colpo solo, che ciò che io sarei voluto essere dipendeva unicamente da me stesso e da nessun altro. È stato il più importante atto di libertà che ho avuto in tutta la vita e non credo che ripeterò mai qualcosa di simile. È stata l’ironia di poter accedere alla libertà dello spirito in un luogo in cui per definizione non esiste nessuna libertà.”

Riflessioni libere e continue sul significato dell’essere scrittore. L’autore prende questa parola e la scompone in ogni aspetto, analizzandolo minuziosamente. Parla del motivo che lo ha spinto a scrivere, quando era in carcere ed aspirava ad un minimo di resistenza e libertà; al perché ha deciso di continuare, una volta libero; a cosa comporta effettivamente essere uno scrittore, alla solitudine fisica e mentale che questo comporta, a come essa sia necessaria e imprescindibile. Alla necessità di sdoppiarsi, di creare un personaggio che scriva, e che l’altro si occupi di rendere questo possibile; al continuo sforzo mentale, al continuo riflettere su ogni cosa, al sentirsi sempre un estraneo anche in casa propria, al continuo altalenare di stati d’animo. Parla anche del suo periodo in carcere, di come questo abbia formato la sua mente e al tempo stesso lo abbia reso della creta da poter rimodellare. Questo romanzo parla del lato oscuro di essere uno scrittore, ti dice più volte quanto sia inutile e fallimentare, eppure trova sempre dei buoni motivi per continuare. Ti spinge a crederci, nonostante tutto. C’è un pezzo in particolare che mi è rimasto impresso, quando dice che lui riesce a sentirsi al sicuro e a scrivere solo nell’angolino della sua scrivania, in quei due metri per tre, perché è la stessa metratura in cui ha vissuto e scritto per tredici anni, quando era in carcere.

Altre citazioni

 

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