Alla fine anche i ricordi si esauriscono, anche i ricordi hanno una fine. Non c’è ricordo che possa durare in eterno. Per farlo dovrebbe essere associato al presente. E nessuno può ricordare il presente. Il presente uccide i ricordi.
Titolo: Observatory Mansions
Autore: Edward Carey
Traduttore: S. C. Perroni
Editore: Bompiani
Pagine: 338
Reperibilità: Online e in libreria
Prezzo: ebook 6,99€ – brossura 11,00€
Dal web
Francis Orme è un ragazzo timidissimo che vive insieme ai suoi strani genitori in un condominio abitato da personaggi altrettanto stravaganti: un portiere sibilante, una donna cane, un vecchio professore dai mille odori. Ma se il condominio lo accoglie come un figlio, Francis si scontra con un mondo esterno che lo rifiuta, e da cui si difende indossando guanti bianchi; fino al giorno in cui nel condominio compare Anna, una nuova inquilina, che con la sua grazia riesce a scuotere tutti i condomini e a risolvere i problemi delle loro vite complicate.
Che facciamo oggi?
Ci siamo. Ecco di cosa non vedevo l’ora.
Una storia, una storia, urlai. Ecco cosa volevo sempre e per sempre.
Sì, leggendo la trama, anche a me è sembrata una storia sdolcinata alla Disney. Con questa tipa che arriva e risolve tutto. Per fortuna mi sono sbagliata in pieno.
Ho preso questo libro in prestito dalla biblioteca. Già, a Milano c’è una biblioteca, con un archivio di libri enorme. Io l’ho scoperta solo adesso come opzione, sono tipo caduta dalle nuvole.
Ho anche scoperto che, se nel motore di ricerca scrivi il titolo nella sezione Titolo e non in quella Autore, la biblioteca ha molti più libri.
Sto facendo proprio una bella figura oggi
Sarò sincera: scrivendo il nome “Edward Carey” nel posto giusto del motore di ricerca, speravo di trovare Foulsham, il seguito de I segreti di Heap House (Recensione: QUI) che mi era piaciuto tantissimo. Ma non c’era, quindi ho preso questo. Lo ammetto, questo romanzo all’inizio era un ripiego, ma non gli ho mai detto nulla, per non ferire i suoi sentimenti, ed è tornato a casa sua felice e contento.
TRAMA
“Benché insieme non fossimo felici, e benché fossimo reciprocamente affabili solo a sprazzi, e benché molti di noi vivessero in condizione di solitudine praticamente assoluta, c’era un certo sollievo da ricavare nella consapevolezza che la nostra individuale infelicità non facesse caso a sé.”
I temi principali di questo romanzo sono la solitudine e i ricordi. Declinati in modi diversi e portati all’estremo attraverso ogni personaggio. Se per noi sono concetti astratti, nel mondo di Edward Carey hanno una loro forma, si possono toccare, vedere e sentire.
La solitudine
La solitudine ha senso solo se si sviluppa in seno a una collettività; e io, essendo il più giovane, avevo da temere più di tutti gli altri. Si può supporre che sarei stato contento di avere un altro inquilino nella nostra dimora, ma non era affatto così. Non era affatto così per nessuno di noi, ed è questa la grande contraddizione di chi è solo. Pur desiderando non essere soli, noi sette temevamo il dolore che avremmo patito nell’essere strappati dalle nostre solitudini. E dopo quel timore, cosa ci garantiva che non saremmo mai più tornati in condizioni di solitudine? Nulla, non ce lo garantiva nulla.
L’autore sembra riuscire a scavare nell’animo umano senza fatica, tirando fuori immagini e concetti nuovi, inaspettati e scomodi, che fanno riflettere e vedere tutto da un’angolazione diversa, anche a testa in giù.
Adoro il modo in cui l’autore mi costringe a riflettere leggendo i suoi romanzi.
Il tempo dei ricordi
Entrammo dunque nel Tempo dei ricordi, strano tempo nel quale noi inquilini di Observatory Mansions fummo costretti ad assimilare rimembranze che venivano estirpate da ciascuno di noi affinché bussassero alle altrui porte, svolazzassero per le stanze, si insinuassero nelle nostre narici mentre dormivamo. Fu un tempo in cui i ricordi erano dappertutto, si muovevano furtivi e lacrimosi, pieni di energie frustrate dal poco uso; e, dalle maniglie delle porte, dai davanzali delle finestre, dalle spalliere del letto, imploravano un po’ di attenzione.
I ricordi come un fenomeno atmosferico è forse l’elemento che più mi ha colpito, l’ho trovato geniale o, meglio ancora, più geniale del solito.
L’aria si era fatta densa di ricordi, noi faticavamo a respirare e a ogni respiro inalavamo altri ricordi ancora. Eravamo in preda ai ricordi. Infanzie correvano su per le scale di Observatory Mansions, decessi giacevano sui nostri letti. Nella polvere degli appartamenti fluttuavano microscopiche scaglie di pelle che ci avevano lasciato talvolta da anni e talvolta da giorni. Quelle particelle finirono per aggregarsi, finché ciascuno di noi cominciò a vedere la pelle del proprio trascorso io assumerne la forma, la sua trascorsa forma, e girargli attorno, spettro di una pelle estinta.
PERSONAGGI
Edward Carey è una garanzia. Lo pensavo già subito dopo Heap House, e questo romanzo lo ha confermato. La sua abilità nel creare personaggi surreali, ma al tempo stesso talmente umani da far immedesimare a pieno il lettore, è qualcosa che mi lascia sempre sconcertata, e penso che possa essere di ispirazione per tutti gli aspiranti scrittori che cercano qualcosa di originale e fuori dagli schemi.
Ma io quelle persone amavo vederle come essenza di persone, come persone concentrate, o, per dirla con altre parole, persone come sarebbero le persone se si potessero defalcarle dal lavoro, dagli amici, dalla famiglia e da tutti i gesti di vita cui ci viene chiesto e spesso imposto di partecipare. Si tratta di persone ossessive; talvolta è facile riconoscerle, talvolta no. Talvolta, vedendole in giro per la città, le loro stramberie suscitano riso, ma più spesso mettono tristezza. Sono un raro gruppo di individui, creature bizzarre che sembrano sprigionate da fiabe strane e lugubri e che invece sono sufficientemente reali.
I personaggi sono il vero punto chiave di questo romanzo, la trama è semplice ed è costituita soprattutto dal loro percorso. Sono davvero tanti, quindi vi illustrerò solo i principali e quelli che più mi sono piaciuti.
(Le parti nascoste sono approfondimenti che potete leggere senza rovinarvi nulla, se sono Spoiler lo scriverò in modo esplicito.)
Francis Orme
Indossavo guanti bianchi. Vivevo con mio padre e mia madre. Non ero un bambino. Avevo trentasette anni. Il mio labbro inferiore era gonfio. Indossavo guanti bianchi anche se non ero un domestico. Non suonavo in una banda. Non facevo il cameriere. Non ero un mago. Ero il custode di un museo. Un museo di oggetti significativi. Indossavo guanti bianchi per evitare danni ai novecentottantasei oggetti contenuti in quel museo. Indossavo guanti bianchi per evitarmi la vista delle mie mani nude.
Lui è il protagonista e il personaggio più complesso del romanzo. È un uomo talmente scottato dal passato e dai ricordi, da decidere di portare sempre dei guanti bianchi come una seconda pelle, in modo da avere sempre una barriera, un distacco dal mondo esterno e dalle persone.
No, io ero una persona da guanti, altroché. Le persone da guanti sono persone magiche, portare i guanti e poter verificare grazie ad essi ogni contatto col mondo significava volare sopra il mondo, significava potervi guardare dentro, guardarvi ogni sofferenza, significava poter sempre osservare senza dover mai toccare.
Essendo un personaggio molto complesso, il suo rapporto con i ricordi viene declinato in tanti comportamenti portati all’estremo, che colpiscono e ti fanno inevitabilmente affezionare, nonostante sia spesso cattivo e non proprio un simpaticone.
Il suo voler indossare a guanti bianchi a tutti i costi mi ha colpito molto, soprattutto sul finale, quando mostra un altro lato estremo, ma molto reale.
Il Portiere
Il portiere apriva bocca soltanto per sibilare. Se ci avvicinavamo troppo, il Portiere sibilava. Quel sibilo significava: Andate via. E noi acconsentivamo volentieri. Non era piacevole avvicinarsi troppo al Portiere.
Filmato del Portiere
È un personaggio ambiguo, ma non misterioso. È il risultato, portato all’estremo, di una persona che ha vissuto una vita intera e, voltandosi indietro, si rende conto di non aver niente di degno da ricordare; di non avere esperienze positive o negative che lo definiscano come persona. È un uomo senza identità.
Peter bugg
Un giorno quell’uomo inflessibile si era sorpreso a piangere. Senza una ragione apparente. Aveva dunque supposto di essere affetto da congiuntivite. Ma, a dispetto di qualunque farmaco egli andasse somministrandosi per via oculare, Peter Bugg non cessava di piangere. I medici non riuscivano a spiegare quel pianto. Peter Bugg andò avanti a piangere. […] Dopo uno o forse due anni, Peter Bugg si sorprese a sudare. Quasi incessantemente. Con tutto il corpo, sia che si muovesse sia che rimanesse fermo. Si definì affetto da iperidrosi. Ma, a dispetto di qualunque farmaco andasse somministrandosi, per via interna o esterna che fosse, Peter Bugg continuava a sudare.
I ricordi possono trasformarsi in rimorsi e, per quanto noi possiamo seppellirli nel profondo, essi troveranno sempre un modo per uscire. Questo è ciò che rappresenta Peter Bugg.
Ho adorato l’idea di rendere esterno ed evidente ciò che, nel nostro mondo, avviene solo dentro di noi.
Peter Bugg sapeva cosa gli stava capitando, e ne era atterrito.
Il suo intero corpo stava piangendo.
Il sui intero corpo stava singhiozzando.
Questo lo sapeva. Quello che voleva sapere era: perché?
Claire Higg
Claire Higg esisteva di rado a presente, di rado al passato, e certamente mai al futuro. Aveva creato per sé una cornice temporale alternativa chiamata fiction. La signorina Higg viveva per la fiction e aveva vissuto per la fiction così assolutamente e per tanto di quel tempo che per lei la fiction era divenuta realtà. Nonostante i colori che sgorgavano dal televisore della signorina Higg, in lei c’era qualcosa in bianco e nero, qualcosa di quasi lepidotteresco nella sua pallida e secca pelle prematuramente decrepita, nonché nei suoi indumenti bui e polverosi: era una donna priva di umori, priva di umidità. Inoltre Claire Higg era riuscita a fare in modo di dimenticare del tutto l’aspetto di Claire Higg. Nell’appartamento dove viveva, l’appartamento 16, non esistevamo specchi.
I ricordi spesso sono qualcosa da cui scappare, e Claire Higg ha deciso di crearsi una vita alternativa per non dover fare i conti con la sua.
Il padre
Così, seduto in poltrona, mio padre s’era fatto dimenticare dalla morte. Fermatasi un istante davanti al mio immobile padre, la morte aveva poi tirato dritto pensando che la missione fosse stata già portata a termine.
Cosa possiamo fare, se il mondo diventa troppo grande per noi? La nostra vita troppo difficile? Il padre di Francis ha deciso di spegnersi, come un oggetto. Si è seduto sulla sua poltrona e da lì non si è più mosso. Ha raggiunto l’immobilità interiore che permette alla vita e alla morte di passargli davanti, senza esserne mai sfiorato.
La madre
Gli oggetti nella stanza da letto di mia madre erano ausili per la memoria. Ciascun oggetto le apriva un corridoio temporale. Quando non riusciva a ricordare autonomamente i propri giorni felici, mia madre apriva gli occhi e passava in rassegna gli oggetti che popolavano la sua stanza da letto. Dopo averli sfiorati con lo sguardo, mia madre richiudeva gli occhi e, serrando fra le palpebre l’immagine di uno in particolare di essi, lo portava con sé nel passato. Mia madre non apriva mai gli occhi davanti alle persone, solo davanti agli oggetti, a quegli specifici oggetti che popolavano la sua stanza da letto. Era da alcuni anni che non vedevo gli occhi di mia madre, che sapevo essere di color blu.
I ricordi spesso sono talmente belli, e rappresentano un periodo talmente diverso dalla nostra vita attuale, da non volerli lasciare andare. La madre di Francis ha deciso di vivere solo di ricordi, si è chiusa in una stanza insieme a tutti gli oggetti del suo passato felice e con essi nutre il suo cervello di continuo. Si è bloccata nel passato.
Venti – La donna cane
Nel parco agiva la Donna Cane. La Donna Cane puzzava di cani, un puzzo che ricordava l’ammoniaca con aggiunta di vomito e urina e feci. La Donna Cane portava intorno al collo un collare da cane, e indumenti (vecchi, bisunti) che parevano fatti di peli di cane. Aveva molti amici, tutti canini. I suoi indumenti erano laceri, e lacera era la pelle delle sue mani e cosce e caviglie e poppe, per via delle artigliate dei cani – ricordi di altri tempi. Alcuni erano ricordi recenti, ancora color sangue, altri erano ricordi vecchi, quasi color pelle. Bei tempi, momenti felici.
Venti è la dimostrazione, portata all’estremo, di come ci si può ridurre se si dimentica troppo, se ci lasciamo alle spalle troppe cose, e iniziamo a fare affidamento solo sul poco che ci è rimasto.
L’uomo con la bilancia
Qual era il suo lavoro, quali erano gli attrezzi del suo mestiere? Più che attrezzi, per procacciarsi il suo magro guadagno quell’uomo si serviva di uno strumento. Lo teneva davanti a sé con grande orgoglio. Penso che in città ci fosse solo lui a fare quel lavoro. Era un originale. Il suo strumento era una bilancia da bagno. Per due monetine ci si poteva concedere il lusso di conoscere il proprio peso in chili e grammi. […] L’uomo, di cui non avevo mai saputo il nome, si dedicava a quell’occupazione da molti anni. Era un’impresa straordinaria cui devolvere le proprie giornate, era straordinario mettere la propria bilancia da bagno a disposizione del pubblico […] L’uomo annotava su un taccuino il peso di ciascun cliente. Non sapevo perché. Non gli avevo mai chiesto perché. Registrava il peso degli abitanti del mondo, era il suo lavoro.
Anche il senso dell’arte e dell’essere un artista è un tema molto sentito in questo romanzo. Il fare qualcosa perché ci fa stare bene e non perché ci fa sentire utili. La follia contro la ragione.
Questo personaggio mi è piaciuto davvero tanto.
Emma
Difficile descrivere la pelle di Emma. Ingredienti per una descrizione della pelle di Emma:
Prendete un’arancia, sbucciatela.
Lasciatela al sole per diversi giorni.L’arancia lasciata al sole perde colore, diventa bianca e si riempie di rughe spesse e profonde. Si contrae, diventa più piccola. Aprite l’arancia e, staccatone uno degli spicchi ormai vizzi e grinzosi, tagliatelo in due. Dentro, proprio al centro, troverete una minuscola porzione di ciò che l’arancia è stata – ancora carnosa, ancora aggrappata a una stilla di succo. Se avessi sbucciato Emma, credo che da qualche parte dentro di lei, sotto lo spesso involucro di roba apparentemente morta, avrei potuto trovare un po’ di vita, un po’ di sangue.
L’amore di Francis per le storie doveva avere un’origine, perciò l’autore ha creato questo personaggio.
Una presenza breve ma fondamentale nell’infanzia del protagonista, perché è da lei che tutto ebbe inizio.
Fra tutti, è il personaggio che più mi è rimasto impresso.
Come spiegare le storie di Emma? Erano vibranti. Si muovevano. Erano vive! Erano una vorticante massa di colori e odori impossibili da acchiappare. Mutavano forma, si rimangiavano, si contraddicevano, i finali inseguivano gli attacchi, schizzavano via per la tangente o saltavano su altre storie come chi salti da un treno all’altro, si lanciavano in direzioni impossibili, si dimenticavano, si ricordavano, si tramutavano da sentimentali in tragiche e ritorno passando per la farsa. Seppi di prìncipi e principesse, di matrigne, di asini che cacavano oro, di draghi, regni incantati, belve, orchi, streghe, folletti, gnomi e mille altre strane creature.
Anna Tap
In quel viso non c’era nulla di immediato rilievo, eccetto i due oggetti che ne facevano parte senza esserne parte. Il primo era una sigaretta; il secondo un paio di occhiali tondi, le cui spesse lenti cinte di metallo ingigantivano i sottostanti occhi. Gli occhi, ed era difficile non accorgersene, erano verdi e sembrano gravemente infiammati, come malati di qualcosa. Combinando quegli elementi fisici (pur forse individualmente attraenti) si otteneva un ritratto vagamente sgradevole e malsano. La nuova inquilina non era bella.
È l’altro personaggio principale insieme a Francis. Lei vive pensando al futuro, perché il suo presente è incerto e non ha ricordi felici a cui aggrapparsi.
È la persona che scatena involontariamente tutti eventi, ma non lo fa con scopi altruistici, è semplicemente un elemento inserito in un contesto chiuso che va in una direzione contraria a quella degli altri, e questo crea degli squilibri, scontri e sconvolgimenti.
Anna Tap se li è conquistati tutti, tutti quanti:
IL PORTIERE (lui non mi interessava, si lasciasse pur conquistare)
L’UOMO CON LA BILANCIA (le cui tasche potevano ormai contare su un bilancio settimanale di due monetine in meno)
LA RAGAZZA CHE FRANCIS CONOSCEVA DA DUE ANNI MA CON CUI NON AVEVA MAI PARLATO (cancellata dalla mia lista)
VENTI, DONNA CANE (soltanto a un cane ho voluto bene, morto per tutti questi anni)
LA HIGG (voglio vederla la prossima volta che manca la luce)
BUGG (a chi gliene frega qualcosa di Peter Bugg?)
A me. A Francis Orme gliene fregava. Alzai la mano nella classe mentale di Peter Bugg. Signore! Guardi qua, per favore! Signore!
Silenzio.
Non preoccuparti, pensai, torneranno.
Mi è piaciuto tantissimo questo “esperimento sociale” dell’autore. È riuscito a far riflettere senza dirci esplicitamente nulla, e ha lasciato qualcosa nel lettore senza scendere nello scontato o sdolcinato. Anzi.
Ho apprezzato anche il suo rapporto con Francis, per nulla scontato, con i dispetti che spesso sfociano in vere e proprie cattiverie.
Sapete cosa mi ha fatto più impressione, leggendo degli inquilini di Observatory Mansions?
Il fatto che tutti noi potremmo essere come loro; sicuramente in modo diverso, ma ognuno di loro rappresenta ciò che si rischia di diventare. Chi non ha pensato, almeno una volta, di spegnersi per non provare più nulla? O desiderare un mondo fatto solo di ricordi felici? Di stare tutto il giorno a guardare una serie tv per evadere, o di “indossare dei guanti bianchi” per proteggerci dalla vita?
È inquietante a pensarci.
WORLDBUILDING
Il mondo in cui si svolge la trama è un mondo senza tempo, senza nomi. La maggior parte delle scene sono corte e si svolgono al chiuso, sembra quasi di trovarsi a teatro. L’immobilità nonostante il movimento è una caratteristica molto presente sia in questo romanzo che in Heap House.
È un mondo portato all’assurdo, dove le statue umane vengono sostituite con statue elettroniche, perché superano l’uomo in immobilità e al pubblico piacciono di più, ed ogni cosa è ricoperta da uno strano perenne di polvere.
Anche ad Observatory Mansions accadono cose strane..
OBSERVATORY MANSIONS COME HEAP HOUSE
Questo romanzo è stato pubblicato nel 2000, I segreti di Heap House nel 2013. Ci sono molti anni di distanza tra i due romanzi, ma molti concetti sono gli stessi. Sembra che l’autore, con questo romanzo, abbia fatto delle prove e deciso che cosa sviluppare meglio in una saga e cosa no.
Il mio parere è che l’autore, con gli anni, abbia fatto un salto da un estremo all’altro. Questo è un romanzo molto statico, quasi claustrofobico; i concetti sviluppati sono pochi, ma originali ed interessanti; c’è ancora un filo ben evidente collegato al nostro mondo, ma lo stile è davvero molto complesso e personale, col rischio che ad alcuni possa non piacere. Con I segreti di Heap House, invece, lo stile (almeno a livello di punteggiature e dialoghi) è più semplice; è una realtà del tutto nuova, che turba e sconvolge; le informazioni sono tantissime e i concetti approfonditi anche a livello visivo. (Mi sto riferendo allo stile di scrittura e alla sua evoluzione, ovviamente, non alla trama o ai personaggi) È come se l’autore da un disegno a matita fosse passato al pennarello. Questo però non vuol dire che un romanzo sia inferiore all’altro.
STILE
Per i giorni numero due e tre con Emma leggetevi il numero uno. Moltiplicato due.
Come ho già scritto, lo stile di questo romanzo è davvero molto particolare. Ci sono vari elementi che contribuiscono a renderlo personale e a riconoscere subito l’autore, ed è un romanzo in cui lo stile spicca molto più della trama. Come sempre vi porterò degli esempi per ogni cosa, ma lo stile è talmente evidente anche leggendo a caso le citazioni precedenti si può notare tutto.
Stile filastrocca
Dal momento che ormai mi sono compromessa dandovi materiale per prendermi in giro, partiamo da ciò che più mi ha messo in difficoltà non tanto nella lettura, quanto nel ricopiare le citazioni per la recensione.
Vi riporto giusto un esempio di quello che ho combinato:
Frase giusta
Impiegare persone che si fingessero statue di cera faceva parte delle consuetudini di quell’istituzione che ospitava statue di cera che si fingevano persone.
Sbagliando a copiare
Impiegare persone che si fingessero statue di quell’istituzione di cera faceva parte delle consuetudini di quell’istituzione che ospitava statue di cera faceva parte delle consuetudini che ospitava statue di cera che si fingevano persone.
La narrazione è tutta così: con frasi che si incastrano, si modificano, si ripetono e si allungano senza un vero motivo. Questo rende tutta la narrazione come una filastrocca o una canzone. Non pesa leggerlo, ma finendo il libro l’incantesimo si spezza, e se magari torni indietro per rileggere una frase, diciamo che un colpo ti viene.
In alcuni punti l’autore si è proprio divertito:
Ripetizioni
All’inizio pensavo che fosse una cosa non voluta o una leggerezza del traduttore, invece poi ho capito che l’autore ha di proposito ripetuto certi termini. E tanto di cappello al traduttore, io al posto suo sarei impazzita cercando di capire cosa fosse da cambiare e cosa no.
Li guardavo e riflettevo su come potesse essere essere un oggetto.
Io rimasi seduto dall’altra parte del tavolino in attesa che ciò che doveva succedere succedesse.
Prova provata, disse. Prova provata dei suoi ricordi.
Eravamo rimasti in silenzio per troppo tempo, e adesso, improvvisamente, non riuscivamo più a sopportare il silenzio.
Elenchi
La stanza da letto di mia madre conteneva una madre, un letto, libri, quadri, fotografie, cappelli, scarpe, specchi, pantofole, reggiseni, rotocalchi, dischi a microsolco, bottiglie vuote, ombrelli, fiori secchi, tazze da tè, bicchieri di sherry, un orologio da uomo, un bastone da passeggio, un pallottoliere, e molte altre cose ancora.
Gli elenchi sono l’elemento caratteristico dello stile di Edward Carey.
Puliva a restaurava abiti, arazzi, fodere di sedie, kimono, coperte, lenzuola, passamanerie, giacche, cravatte, fazzoletti, velette di pizzo, bandiere, vestiti di marionetta, camicie, calze, giubbe, farsetti polpe, mitre da vescovo, pantaloni, gonne, cappelli, guanti e altri oggetti ancora. Lavorava su crine di cavallo, capelli umani, pellicce, piume, pizzo, lama, cotone, nylon, velluto, feltro, seta, iuta, e altri materiali ancora.
E alla fine del romanzo ho trovato una cosa che mi ha lasciato di stucco, e ho avuto la conferma di quanto lui tenga ai suoi elenchi.
Dialoghi senza caporali o virgolette
Il tizio mi venne vicino. Disse: Grazie Francis, basta così, adesso non strafare.
Questa è forse la caratteristica più evidente e che può mettere in difficoltà un lettore. L’intera narrazione è intesa come un flusso ininterrotto di parole, un misto tra mostrato e raccontato.
Peter Bugg parlò. Il nuovo inquilino dell’appartamento 18, spiegò Peter Bugg, non era:
1.Vecchio.
2.Moribondo.
3.Maschio.Riesco a vederla. Ma non riesco a vedere quello che dovrei vedere, quello che potrei descrivere.
Cosa vede, signor Bugg?
Vedo… Vedo… una chiazza indistinta. Sfocata. La chiazza fumava una sigaretta. Mi arrivava del fumo negli occhi. Stavo piangendo. Aspetta! C’erano due leggeri riverberi nella regione del volto. Sì! Aveva gli occhiali.
Nient’altro, signor Bugg? Dev’esserci per forza qualcos’altro.
Qui il parere è molto soggettivo; per me, una volta immersa nella lettura, il romanzo è diventato una canzone che mi ha trascinata in un ritmo tutto suo, e non ho avuto difficoltà a seguire i discorsi. Ma per alcuni mi rendo conto che potrebbe essere un problema.
Descrivere/Trasmettere sensazioni
Aveva una testa enorme, che sembrava appartenere a un’altra persona – fenomeno da me attribuito alla combinazione fra eccessivo esercizio mentale e scarso esercizio fisico.
Questa è forse la caratteristica che amo di più in Edward Carey: Ha la capacità di trasformare un paragrafo in ciò che vuole descrivere. E leggerli è sempre un’esperienza incredibile.
FINALE
Il finale ce lo suggerisce la trama stessa, ma è riuscito lo stesso a sorprendermi. L’ho trovato di una dolcezza del tutto inaspettata, senza però essere stucchevole, al punto che mi sono ritrovata con gli occhi lucidi senza nemmeno rendermene conto.
CONCLUSIONE
Se volete leggere qualcosa di Edward Carey, penso che questo sia un buon punto di partenza per farvi prendere confidenza con il suo stile. È un romanzo estremamente intelligente, surreale e ricco di spunti per riflettere e rispecchiarsi nell’assurdo. Lo consiglio, soprattutto a chi è in cerca di qualcosa di nuovo.
Voto: 8,5/10