“L’anima è fatta delle sue stesse difese.”
“Tema di questo libro è la base poetica della mente. Esso si muove infatti nello spazio intermedio fra psicoterapia e letteratura, fra l’arte di curare e l’arte di narrare. Sebbene a prima vista sembri diretto al terapeuta, è in modo più nascosto indirizzato allo scrittore”
Questo libro ha due facce ben distinte, una indirizzata al terapeuta e una allo scrittore. Da quella di appartenenza si può imparare molto, dall’altra si può avere un buon arricchimento personale.
Io l’ho letto dal punto di vista della scrittura, quindi è più su quell’ambito che mi soffermerò.
“Il modo in cui raccontiamo la nostra storia è anche il modo in cui diamo forma alla nostra terapia. Il modo in cui immaginiamo la nostra vita è anche il modo in cui ci apprestiamo a viverla, perché la maniera in cui diciamo cosa sta accadendo è il genere per il cui tramite gli avvenimenti diventano esperienza.”
L’autore vuole dimostrare quanto gli scritti di Freud, Jung e Adler siano in realtà anche materiale narrativo, e che la stessa capacità di immaginare e creare storie, possa essere parte della cura.
“Mentre Freud è uno che scrive storie nel senso che abbiamo visto, Jung è uno che scrive sulle storie; e per Jung, quanto più la storia era fittizia e distante, tanto meglio era (da qui l’alchimia, il Tibet, Zarathustra, gli eoni astrologici, la schizofrenia, la parapsicologia), perché tali “materiali” lo obbligavano ad affrontarli a un livello altrettanto immaginativo. […] La differenza tra Freud e Jung è la differenza tra allegoria e metafora.”
Hillman si prende tutto il tempo che serve e forse anche di più per spiegare i concetti, e anche se sembra raccontare da zero tutti e tre gli esperti, in realtà bisogna sapere almeno chi erano questi tre individui, perché l’autore in realtà lo dà per scontato e più che presentarli tende a “ri-raccontarli” in un’altra veste.
“La storia del movimento psicoanalitico è di per sé come un romanzo continuo, in cui ogni nuovo capitolo si apre con rivelazioni sui personaggi principali – le loro lettere, le loro battaglie, i loro incesti. Il romanzo della psicoanalisi ne anticipa le “teorie”. Lo sviluppo del pensiero di Freud e la scoperta di Jung della psiche autonoma così come viene narrata nelle sue memorie si dispiegano come trame romanzesche, popolate di straordinari personaggi fiabeschi: Dora, Anna e l’uomo dei topi, Filemone, Miss Miller e la Personalità Numero Due, e anche Sabina, Minna e Toni; per non parlare di loro, poderosi protagonisti essi stessi della gigantomachia dei primi anni: Freud, Jung, Adler. Tutto sta nella mente, diceva la psicoanalisi, compresi i casi e i loro fatti, compresa la stessa psicoanalisi. Perché la mente è poiesis. Che “fa” finzioni letterarie per guarirsi dai suoi poeti letteralizzati.”
Hillman prende come esempio molti scritti di questi tre esperti, ma non è necessario leggerli prima, perché l’autore più che presentarli ci fornisce un nuovo modo di vederli, e se il lettore li conosce già magari sentirà il bisogno di rileggerli con questa nuova chiave di lettura.
“Ci impegniamo nell’arte per amore dell’impegno. Questo “fare”, fine a se stesso, i greci lo chiamavano poiesis. La psicoterapia è allora una sorta di poesia? È forse questo il modo migliore di immaginarla?
Nei capitoli che seguono si fa proprio questo tentativo: si cerca di vedere l’arte narrativa nella psicoterapia e la psicoterapia come un’attività narrativa.”
Mi è piaciuta molto la parte in cui terapia e scrittura si fondono, dando ad entrambe un nuovo significato. Chiunque si sia sentito salvato da un romanzo, riesce a comprendere perfettamente cosa intende l’autore quando parla del suo potere terapeutico, e al tempo stesso chiunque non abbia trovato nell’analisi l’aiuto che cercava, l’autore suggerisce la mancanza della parte immaginativa, il bisogno di “ri-riscrivere”.
Possiamo allora concepire la storia dal punto di vista dell’anima; collezionando accuratamente quel che è accaduto, la storia digerisce gli avvenimenti trasformandoli da materiale del caso in materia sottile.
Nascosto in questa fantasia c’è un caposaldo del mio credo: l’anima rallenta la parata della storia, la digestione doma l’appetito; l’esperienza coagula gli avvenimenti.
Ho apprezzato il concetto di “soffermarsi” sugli eventi, reali o inventati che siano, l’osservarli e rielaborarli più volte, il “revisionarli con l’anima” in modo che non finiscano nel nostro profondo interi e creino ‘indigestione’. E ho adorato il paragone di questo processo con quello di revisionare un capitolo:
“La regressione appartiene al modo digestivo di fare anima, per cui una buona dose di rimembranza, la sua pena e la sua vergogna, sono ricapitolazioni, sono ulteriori revisioni del capitolo prima di poterlo chiudere.”
L’autore ha uno stile molto prolisso, con frasi lunghe e complesse. Spesso in un paragrafo di 10 pagine il concetto che vuole esprimere è solo uno, al massimo due; bisogna farci l’abitudine. Oltre alla parte scientifico-narrativa, c’è anche una terza parte che riguarda argomenti più spirituali. La parte della demonologia che non mi ha entusiasmato molto, più che altro perché ha infilato nel capitolo il parere di mezzo mondo, quasi non volesse offendere nessuno, creando più confusione che altro; invece mi è piaciuta la parte riguardante l’anima e il dialogo con essa.
Voce dal petto: Non preoccuparti. Non c’è fretta. Mi piacciono i tuoi errori.
Lui: Anche quelli nei tuoi confronti?
Voce dal petto: Ogni volta che fai un errore, ti avvicini un po’ di più a me, e diventiamo più chiari l’uno all’altra. […] Tutto questo ti preoccupa, ti rende inquieto, come un sassolino nella scarpa: ad ogni passo sei un pochino ferito.
Gli argomenti prettamente spirituali non mi entusiasmano mai molto, mi piace che tutto vada sempre a braccetto con la scienza o un minimo di dimostrabile, tuttavia, dal punto di vista della scrittura, è un capitolo che offre molti spunti e arricchisce l’animo “artistico” del lettore.
‘Conosci te stesso’ alla maniera di Jung significa divenire familiari con i demoni, dischiudersi ad essi e ascoltarli, cioè conoscerli e distinguerli. Entrare nella propria storia interiore richiede un coraggio simile a quello necessario per cominciare un romanzo. Si tratta di avere a che fare con persone, la cui autonomia può modificare radicalmente e perfino dominare i nostri pensieri e i nostri sentimenti, senza dar ordini a queste persone né concedere loro pieno potere. Fittizi e reali allo stesso tempo, loro e noi, come fili siamo tessuti insieme in un mythos, in una trama, finché morte non ci separi. Ed è un coraggio raro quello che ci assoggetta a questa regione intermedia della realtà psichica, dove la presunta sicurezza dei fatti e l’illusione della finzione si scambiano gli abiti.
È un romanzo che dà un nuovo punto di vista e tante chiavi di lettura, quindi come parte di un percorso di scrittura, secondo me è un libro che potrebbe essere utile leggere. Inoltre la passione dell’autore per l’argomento è talmente profonda che traspare in ogni pagina, e penso che leggere di passioni così grandi sia fondamentale per chiunque voglia imparare a scrivere.