Parliamo di… “Le notti bianche” di Fëdor Dostoevskij

Io non so tacere quando in me è il cuore a parlare.

Dostoevskij è sempre consolante. Leggere come se la passano i suoi personaggi ti rassicura che per te forse ancora c’è speranza, che ancora a certi livelli non sei arrivata.
L’introspezione e le elucubrazioni mentali dei protagonisti sono uno dei punti forti dell’autore, e qui ne fa pieno sfoggio. In alcuni punti si raggiungono dei picchi talmente tragici nei pensieri, che quasi ti sembrano comici. In particolare questa frase mi ha quasi fatto ridere per la disperazione che ne traspare:

Oggi è stata una giornata triste, piovosa, senza luce, proprio come la mia vecchiaia futura.

I personaggi sono molto teatrali, gridano, gesticolano e piangono come se dovessero intrattenere un pubblico.
È un romanzo che difficilmente rimane indifferente a chi è stato solo per gran parte della sua vita, o comunque ha sentito di esserlo.
Finale triste, ovviamente, ma coerente. E quella frase penso entrerà nel mio repertorio, per i giorni più deprimenti.

 

“Per due sere di seguito cercai di darmi una risposta: cosa mi mancava nel mio angoletto? Perché avvertivo un simile disagio a restarvi?”

 

“[…] Oh, se voi sapeste quante volte sono stato innamorato in questo modo!…”.
“Ma come, di chi?…”.
“Di nessuno, di un ideale, che mi appare in sogno. Sognando creo interi romanzi. […]”

 

“Io sono un sognatore; ho vissuto così poco la vita reale che attimi come questi non posso non ripeterli nei sogni.”

 

“Allora come siete vissuto, se non avete una storia?”, mi interruppe ridendo.
“Sono completamente senza una storia. Come si dice da noi, ho vissuto per me stesso, cioè completamente solo… Solo, completamente solo, sapete che vuol dire solo?”.
“Come solo? Vuol dire che non avete mai visto nessuno?”.
“Oh, no, in quanto a vedere le persone, ne vedo, e tuttavia sono solo”.

 

“Sentirete, Nasten’ka (credo che non smetterò mai di chiamarvi Nasten’ka), sentirete che in questi angolini vivono degli uomini strani, dei sognatori. Il sognatore, se serve una definizione precisa, non è un uomo ma, sapete, una specie di essere neutro. Si stabilisce prevalentemente in un angolino inaccessibile, come se volesse nascondersi perfino dalla luce del giorno, e ogni volta che si addentra nel suo angolino, vi aderisce come la chiocciola al guscio, e diventa simile a quell’animale divertente chiamato tartaruga, che è nello stesso tempo un animale e una casa. Perché pensate che egli ami tanto le sue quattro pareti, dipinte immancabilmente di verde, affumicate, tetre, annerite all’inverosimile?”

 

“E ti chiedi: ‘Dove sono i tuoi sogni?’, e scuotendo la testa dici: ‘Come volano in fretta gli anni!’. E di nuovo ti chiedi: ‘Che cosa hai fatto con i tuoi anni? Dove hai sepolto il tuo tempo migliore? Hai vissuto o no?’. Diciamo a noi stessi: ‘Guarda come nel mondo si gela. Passeranno ancora altri anni, a loro seguirà una triste solitudine, arriverà la vecchiaia barcollante sulle grucce e poi l’angoscia e la tristezza.
Impallidirà il tuo mondo fantastico, svaniranno, appassiranno i tuoi sogni, e cadranno come le foglie gialle dagli alberi…”

 

“Quanto più siamo infelici, tanto più profondamente sentiamo l’infelicità degli altri; il sentimento non si frantuma, ma si concentra…”

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