Quando ti guardavo, la mia vita aveva senso. Anche le cose brutte avevano senso, perché erano necessarie a renderti possibile.
Sono davvero pochi i libri che mi hanno preso a calci come questo. Penso di aver pianto ogni sera che mi sono messa a leggerlo. Se dovessi descriverlo, penso che lo definirei come un “Viaggio surreale attraverso il dolore”, quello più intimo, meno didascalico e che non segue regole o logica. Il dolore spesso rende più forti; ma molto più spesso rompe e devia per sempre, è una verità più scomoda da affrontare, ma questo romanzo ci riesce benissimo.
“Sono sicuro che è superfluo dirti che la grande maggioranza dell’universo è formata da materia scura. Il suo fragile equilibrio dipende da cose che non saremo mai in grado di vedere, sentire, odorare, gustare o toccare. La vita stessa si fonda su di esse. Cosa è reale? Cosa non lo è? Ma forse non sono queste le domande giuste. Su che cosa si fonda la vita?
Mi piacerebbe aver fatto delle cose su cui si possa fondare la vita.”
TRAMA
“Spero che un giorno vivrai l’esperienza di far qualcosa che non capisci per qualcuno a cui vuoi bene.”
Osserviamo da vicino la storia di vari personaggi colpiti da una perdita, che affrontano il dolore (oppure cercano di sfuggirgli) a modo loro. Oskar ha perso il padre, il nonno non riesce a sfuggire ai fantasmi del passato e la nonna ha perso la sua famiglia da giovane ed è stata abbandonata dal marito. Il romanzo è costituito dalla narrazione di Oscar, alternata di continuo dalle lettere dei nonni.
Le immagini
Una caratteristica davvero bella sono le foto fra le pagine, che seguono di pari passo la narrazione e permettono al lettore di vedere insieme al personaggio. La sequenza finale poi, penso mi rimarrà impressa per molto tempo.
PERSONAGGI
“Quando il dolore è sottratto alla gioia, cosa resta? Qual è, mi sono chiesto, la somma della mia vita?”
Non esiste un solo modo di creare dei bei personaggi, più passa il tempo e più ne sono convinta. I personaggi in questo romanzo hanno una patinatura surreale, un po’ come tutta la trama, ma questo non li rende meno credibili, anzi, questo dà loro delle particolarità che permettono di rimanere impressi e il lettore non può fare a meno di affezionarsi ed incuriosirsi.
OSKAR
“Le stavo bagnando la spalla e ho pensato: Forse è vero che puoi piangere tutte le tue lacrime. Forse la nonna ha ragione. Era un pensiero carino, perché quello che volevo era essere vuoto.”
Oskar ha un intelligenza straordinaria, che diventa un’arma a doppio taglio quando si ritrova a dover affrontare la scomparsa del padre nell’attentato dell’11 settembre. Mi è piaciuto molto il contrasto della sua intelligenza con l’impaccio di essere solo un bambino, la sensazione che tutto sia troppo grande per lui, il senso di oppressione e il continuo rifiutarsi di guardare al futuro.
“Quella sera sul palco, sotto quel teschio, mi sono sentito incredibilmente vicino a ogni cosa nell’universo, ma anche straordinariamente solo. Per la prima volta in vita mia mi sono chiesto se la vita valeva tutta la fatica che serve per vivere. Perché, esattamente, valeva la pena di vivere? Che c’è di così orrendo nell’essere morti per sempre e non provare niente, non sognare nemmeno? Che c’è di così fantastico nel provare sensazioni e far sogni?”
Le invenzioni
“Ho cominciato a fare invenzioni e dopo non riuscivo più a fermarmi, come i castori, che conosco. La gente crede che abbattano gli alberi per costruire le dighe, ma in realtà è perché non smettono mai di crescergli i denti, e se non se li limano continuamente tagliando il legno di tutti quegli alberi, i denti comincerebbero a crescergli dentro il muso e morirebbero. Il mio cervello era uguale.”
Oskar soffre tantissimo, senza mai alcun sollievo. Cerca di tenersi occupato creando nella mente nuove invenzioni, ma anche lì il dolore riesce ad infiltrarsi; infatti, anche se non lo dice mai chiaramente, molte delle sue invenzioni riguardano la morte del padre.
“E poi: tante volte succede che uno ha bisogno di scappare via subito, ma gli uomini non hanno le ali, o comunque non ancora. Quindi: inventare una camicia di becchime?”
“A volte penso che sarebbe pazzesco se ci fosse un grattacielo che va su e giù mentre il suo ascensore resta fermo. Per esempio, se vuoi andare al novantacinquesimo piano, basta che schiacci il tasto 95 e il novantacinquesimo viene da te. Sarebbe anche utile al massimo, perché se sei al novantacinquesimo piano e un aereo si schianta sotto di te, il palazzo ti può portare a terra, e tutti si salverebbero anche se quel giorno avessero lasciato a casa la camicia di becchime.”
“A noi servono tasche molto più grandi, ho pensato a letto, mentre contavo i sette minuti che ci vogliono in media a una persona per addormentarsi. Servono tasche enormi, tasche abbastanza grandi per le nostre famiglie, e per i nostri amici, e anche per le persone che non sono nelle nostre liste, gente che non abbiamo mai conosciuto ma vogliamo proteggere. Servono tasche per i distretti e per le città, una tasca che possa contenere l’universo.
Otto minuti e trentadue secondi…
Però sapevo che non possono esistere tasche così grandi, e che alla fine tutti perdiamo tutti. Non c’era un’invenzione che potesse risolvere questo problema e così, quella notte, mi sono sentito come la tartaruga che sostiene tutte le cose dell’universo.
Ventuno minuti e undici secondi…
Quanto alla chiave, l’ho messa su uno spago, insieme con la mia chiave di casa, e l’ho portata al collo come un pendaglio.
Quanto a me, sono rimasto sveglio tutta la notte. Buckminster era raggomitolato lì vicino, e ho fatto un po’ di coniugazioni, per non pensare a niente.
Je suis
Tu es
Il/elle est
Nous sommes
Vous êtes
Ils/elles sont
Je suis
Tu es
Il/elle est
NousMi sono svegliato una volta nel cuore della notte, e avevo sulle palpebre le zampe di Buckminster. Doveva essersi accorto dei miei incubi.”
Ironia
“«Ora che ci penso» ho detto a Gerald, «potrebbero fare anche una limousine di una lunghezzaincredibile, con il sedile dietro vicino all’utero di tua mamma, e quello davanti vicino al tuo monumento funebre, così sarebbe lunga come la tua vita.» Gerald ha detto: «Ma se tutti vivessero così, nessuno incontrerebbe mai nessuno, giusto?» E io ho risposto: «E allora?»”
Tutto questo dolore e senso di oppressione viene bilanciato con l’ironia implicita di Oskar. Perché l’autore è riuscito a rendere anche divertente un personaggio devastato da una perdita. Sono tante le volte in cui il lettore può commuoversi, ma lo sono anche quelle in cui può ridere o sorridere.
“Comunque, la cosa affascinante è che su «National Geographic» ho letto che ci sono più persone vive oggi di quante ne sono morte in tutta la storia dell’uomo. Per dire, se tutti tutti volessero recitare Amleto contemporaneamente, non ci sarebbero abbastanza teschi.”
Ateismo
“Anche se adesso non sono più ateo, allora lo ero, e questo significa che non credevo nelle cose che non si possono vedere. Credevo che una volta che sei morto lo sei per sempre, e non senti niente, non sogni nemmeno. Non è che adesso creda nelle cose che non si possono vedere, dato che non ci credo. Credo soltanto che le cose siano complicate al massimo.”
Un altro aspetto del personaggio che ho apprezzato è quello dell’ateismo visto attraverso gli occhi di un bambino. Le riflessioni che fa sono semplici, ma tutt’altro che stupide, e osservare un concetto complesso da un punto di vista semplice, può portare a delle belle riflessioni.
“«Sì, ma quello che non capisco è perché noi esistiamo. Non mi interessa come, ma perché.»
Osservavo le lucciole dei suoi pensieri orbitargli nella testa. Papà ha risposto: «Esistiamo perché esistiamo.»
«Ma che…?»
«Potremmo immaginare qualunque altro genere di universo, ma questo è quello che è capitato.»
Ho afferrato cosa voleva dire, e non ero in disaccordo con lui, ma nemmeno d’accordo. Solo perché sei ateo, non significa che non saresti felice se le cose avessero delle ragioni di esistere.”
IL PADRE
“«Il bambino chiese alla bambina di dire nel barattolo: ’Ti amo’, senza fornirle altre spiegazioni.
«E lei non gliene chiese, né disse ’che sciocchezza’, o ’siamo troppo giovani per l’amore’; e non suggerì neanche alla lontana che diceva ’ti amo’ perché glielo aveva chiesto lui. Invece, gli rispose: ’Ti amo’. Il messaggio viaggiò per lo yo-yo, la bambola, il diario, la collana, la trapunta, il filo da bucato, il regalo di compleanno, l’arpa, la bustina da tè, la racchetta da tennis, l’orlo della gonna che un giorno lui avrebbe dovuto toglierle…» «Che schifo!» «Il bambino coprì il suo barattolo con un coperchio, lo staccò dalla corda e collocò l’amore della bambina per lui su un ripiano nel proprio armadio. Ovviamente, non poté mai aprire il barattolo perché altrimenti avrebbe perso il contenuto. Gli bastava sapere che era lì.”
Il padre viene raccontato come una persona straordinaria, forse anche troppo. Perché il lettore spesso tende a dispiacersi della sua morte più per questo motivo, che per il fatto che fosse una persona. Per uno scrittore è difficilissimo rendere unica e speciale una persona comune, e l’autore sapeva bene che la chiave per apprezzare davvero il romanzo era soffrire insieme ad Oskar, quindi secondo me ha voluto facilitarsi il compito creando un padre unico e diverso dagli altri.
“«Quale problema?» «Il problema che siamo relativamente insignificanti.» Lui mi ha detto: «Mah… cosa succederebbe se un aereo ti lasciasse al centro del deserto del Sahara, e tu raccogliessi un singolo granello di sabbia con le pinzette e lo spostassi di un millimetro?» Ho risposto: «Probabilmente, morirei disidratato». E lui: «No, intendo solo in quel momento, quando sposti il granello. Cosa vorrebbe dire?» «Non lo so. Cosa?» Lui mi ha detto: «Pensaci». Ci ho pensato. «Credo che avrei spostato un granello di sabbia.» «E questo significherebbe che…?» «Il fatto che ho spostato un granello di sabbia?» «Significherebbe che hai cambiato il Sahara.» «E allora?» «Allora? Allora, il Sahara è un grande deserto. Ed esiste da milioni di anni. E tu lo avresti cambiato!» «È vero!» ho detto, alzandomi a sedere. «Avrei cambiato il Sahara!» «E significherebbe che…?» mi ha chiesto ancora lui. «Cosa? Dimmelo tu.» «Be’, non sto parlando di dipingere la Gioconda o sconfiggere il cancro, ma solo di spostare di un millimetro quell’unico granello di sabbia.» «E allora?» «Se non l’avessi fatto, la storia dell’uomo sarebbe andata in un modo…» «Sì?» «Ma tu lo hai fatto, e dunque…?» Mi sono alzato in piedi sul letto, ho puntato le dita verso le finte stelle e ho gridato: «Ho cambiato il corso della storia dell’uomo!» «Proprio così.» «Ho cambiato l’universo!» «Esatto.» «Sono Dio!» «Sei ateo.» «Non esisto!»”
IL NONNO
“E il cuore mi va in pezzi, certo, in ogni momento di ogni giorno, in più pezzi di quanti compongano il mio cuore, non mi ero mai considerato di poche parole, tanto meno taciturno, anzi non avevo proprio mai pensato a tante cose, ed è cambiato tutto, la distanza che si è incuneata fra me e la mia felicità non era il mondo, non erano le bombe e le case in fiamme, ero io, il mio pensiero, il cancro di non lasciare mai la presa, l’ignoranza è forse una benedizione, non lo so, ma a pensare si soffre tanto, e ditemi, a cosa mi è servito pensare, in che grandioso luogo mi ha condotto il pensiero? Io penso, penso, penso, pensando sono uscito dalla felicità un milione di volte, e mai una volta che vi sia entrato.”
Il nonno è un personaggio rotto, spezzato dal dolore. Non funziona più come una persona, ma ha un binario tutto suo. Non parla, per comunicare scrive su dei quaderni; vive costantemente nel passato, a punto che insegue ed osserva la vita altrui per captare un minimo sollievo nelle sensazioni che non riesce più a provare.
“Qualche volta sono schiacciato sotto il peso di tutte le vite che non sto vivendo.”
È un personaggio molto difficile da comprendere, è più facile provare rabbia per le sue scelte che compassione. Ma appunto penso che questo renda il personaggio ben riuscito, in quanto essendo distaccato per sempre dal resto delle persone, penso che non riuscire a comprenderlo del tutto sia parte della sua buona riuscita.
“Se avessi detto: «Ho tanta paura di perdere qualunque altra cosa amata, che non voglio amare niente», forse questo avrebbe reso possibile l’impossibile. Forse, ma non ne sono stato capace, avevo sepolto dentro di me troppe cose, e troppo a fondo.”
LA NONNA
“Mi mancavi già quando ero con te. È sempre stato questo il mio problema. Mi manca quello che ho già, e mi circondo di cose mancanti.”
La nonna di Oskar è un personaggio reso fragile dai tanti dolori, che col tempo riesce a rafforzarsi e a costruire un mappa mentale per evitarli tutti.
“Ho passato la vita imparando a sentire di meno.
Sento di meno ogni giorno.
È la vecchiaia? O qualcosa di peggio?
Non ci si può difendere dalla tristezza senza difendersi dalla felicità.”
È una donna che ha vissuto gran parte della vita accontentandosi del poco amore che gli altri erano disposti ad darle, anche se non era sufficiente; ha messo tante volte la sua dignità al secondo posto, per non perdere quel poco che aveva; e il risultato è stata una vita piena di rimpianti.
“Che rimpianto, pensare che serve una vita per imparare a vivere una vita, Oskar.”
Quando si trova a dover affrontare la morte del figlio, tutti dolori irrisolti e mai affrontati sono venuti alla luce, facendola crollare, ma dandole anche la possibilità finalmente di affrontarli. È il personaggio che più mi ha commosso.
“Non le avevo mai detto quanto le volevo bene.
Era mia sorella.
Dormivamo nello stesso letto.
Non era mai il momento giusto per dirlo.
Non era mai necessario.
I libri nel capanno di mio padre sibilavano.
Le lenzuola si alzavano e ricadevano attorno a me per il respiro di Anna.
Pensai di svegliarla.
Ma non era necessario.
Ci sarebbero state altre notti.
E come si fa a dire ti voglio bene a una persona a cui vuoi bene?
Mi voltai su un fianco e mi addormentai vicino a lei.
Ecco il senso di tutto quello che ho cercato di dirti, Oskar.
È sempre necessario.
Ti voglio bene,
La nonna”
MR BLACK
All’autore non piacciono i personaggi comuni, tutti devono avere delle particolarità rare e strane. È una cosa che personalmente adoro e condivido, però mi rendo conto che chi invece apprezza di più i personaggi veri e crudi potrebbe trovare tutto un po’ troppo rarefatto. Insieme al padre, Mr. Black è un personaggio unico nel suo genere, bizzarro ed intrappolato nel suo dolore a modo suo. Mi è piaciuto davvero tanto.
“«Una volta sono andato a fare un reportage su un villaggio della Russia, dove c’era una comunità di artisti costretti a fuggire dalle grandi città! Avevo sentito dire che c’erano quadri appesi dappertutto! Dicevano che non si vedevano neanche i muri, con tutti quei dipinti! Avevano dipinto i soffitti, i piatti, le finestre, i paralumi! Quello sì che era un atto di rivolta! Un atto di espressione! Ma poi… erano belli i dipinti, o questo non contava! Dovevo vederlo di persona, e poi raccontarlo al mondo! Una volta vivevo per fare dei reportage come quello! Ma Stalin ha scoperto la comunità e ci ha mandato i suoi scherani, soltanto pochi giorni prima che arrivassi io, per spezzare le braccia a tutti. È stato peggio che se li avesse uccisi! Era uno spettacolo tremendo, Oskar: le loro braccia steccate alla bell’e meglio che gli pendevano davanti, sembravano tanti zombie! Neanche potevano mangiare, perché non riuscivano a portarsi le mani alla bocca! E allora lo sai cosa hanno fatto!» «Sono morti di fame?» «Si davano da mangiare a vicenda! Ecco la differenza fra paradiso e inferno! All’inferno moriamo di fame! In paradiso ci diamo da mangiare a vicenda!» «Io non credo nell’aldilà.» «Neppure io, ma credo in questa storia!»”
LA MADRE
“Io non credo in Dio, ma credo che le cose siano complicate al massimo, e lei che mi osservava era la cosa più complicata del mondo. Ma era anche incredibilmente semplice. Nella mia sola vita, lei era la mia mamma e io suo figlio.”
Lei è il personaggio che rimane spesso sullo sfondo, eppure è al tempo stesso la chiave di tutto. È forse il personaggio più “normale”, che affronta il dolore come può, in modo discreto, senza far troppo rumore.
STILE
Come avete visto dalle citazioni, lo stile del dialoghi è molto disordinato. Non si va a capo quando cambia la persona che sta parlando, è tutto un flusso di coscienza continuo. Penso che l’autore abbia fatto questa scelta per rendere ancora più particolare il personaggio di Oskar, volendo dare al lettore la sensazione di uno sfogo continuo e di ricordi veloci. Personalmente ho trovato spesso la lettura difficile con questo stile, spesso mi sono ritrovata a rileggere per capire chi stava parlando, e siccome penso che uno dei compiti fondamentali di uno scrittore sia farsi capire, penso che forse era meglio affidarsi allo stile classico.
Lo stile dell’autore nel formulare frasi e concetti è molto commerciale, che non è per forza una nota negativa. Considero un pregio il riuscire a racchiudere un concetto in un’unica bella frase o in un paragrafo, e dare al lettore la possibilità di prenderli con sé e farli suoi. E infatti penso sia il libro di cui mi sia appuntata più frasi.
Ho apprezzato invece molto la tecnica dell’autore, molto vecchio stile, di voler dare ad alcuni personaggi delle frasi “tormentone” in modo da associarle sempre a loro e viceversa. Vi faccio alcuni esempi: Senza nemmeno andare a rileggermi le citazioni io so che Oskar quando parla di un argomento su cui ha fatto ricerche dice “…Che è qualcosa che conosco.” e che quando parla di qualcosa che gli piace lo definisce “una delle mie raisons d’être”; la nonna e Oskar quando apprezzano qualcosa dicono che sia “Da un milione di dollari”, e ce ne sono molte altre.
CONCLUSIONI
È sicuramente entrato tra i pochi romanzi che più mi hanno colpito e quasi affondato. È talmente immenso nei suoi contenuti, che penso che molti leggendolo potrebbero, se non apprezzarlo, almeno trarne qualcosa di buono. L’ho preso in biblioteca, e adesso mi dispiace riportarlo indietro e separarmene, che è una cosa che non succede spesso.
“Aveva saltato sul letto per tanti anni che un pomeriggio, mentre la guardavo saltare, il materasso si sfasciò. La cameretta si riempì di piume. Le nostre risate le tenevano in aria. Pensai agli uccelli. Avrebbero volato se, da qualche parte, non ci fosse stato qualcuno che rideva?”
“È meglio perdere che non avere mai avuto.
Io ho perso qualcosa che non ho mai avuto.
Tu avevi tutto.”