Sputando sul mucchietto di terra sotto una pioggia torrenziale, i fratelli Grossbart giurarono a loro stessi che avrebbero riposato nelle magnifiche tombe degli infedeli, o che non avrebbero riposato affatto.
Titolo: La banda del cimitero
Titolo originale: The Sad Tale of the Brothers Grossbart
Autore: Jesse Bullington
Editore: Castelvecchi
Pagine: 504
Prezzo: Brossura 9,75€
Reperibilità: Più online che in libreria
Dal web
Nell’anno del Signore 1364, stritolata dal terribile morbo della Peste Nera, l’intera Europa appare come una landa desolata: una terra senza speranza in cui, simili agli spettri, si aggirano i corpi scheletrici di chi è sopravvissuto alla catastrofe. In questo regno di fame e paura, dove il prossimo non è altro che un nemico da tenere a bada con la forza delle armi, il terrore è alimentato da storie che parlano di streghe e di demoni, creature malvagie sempre pronte a gettarsi sui vivi per consegnare nuove anime al mondo dei dannati. Hegel e Manfried Grossbart, però, non temono nessuna maledizione. E, convinti di godere della protezione della Vergine Maria a cui sono devoti, sbarcano il lunario svaligiando cimiteri. Guai a chi, per troppo coraggio o semplice ignavia, dovesse incrociare la strada dei due ladri di tombe. Fedeli a un solo desiderio – raggiungere l’Egitto per depredare le necropoli dei faraoni – Manfried ed Hegel, oltre che ladri, sono anche assassini senza scrupoli. I protagonisti di un viaggio che, in un romanzo in bilico tra il folklore dei fratelli Grimm e la vena dissacrante di Quentin Tarantino, saprà parlare di fattucchiere passionali e di morti viventi, di crociate e di eresie, di mostri assetati di sangue e di preti reietti. Un medioevo spaventoso ma vivo, in grado di trascinare il lettore in una storia dove i colpi di scena rappresentano la regola e i lati oscuri delle antiche leggende escono dai libri per impossessarsi della realtà.
«Mangia i bambini», sibilò la megera riconquistandosi all’istante l’attenzione di Nicolette. «Fino all’ultimo brandello. Dai denti alle unghie dei piedi, dalle ossa al grasso, dalle labbra al buco del culo. Se li mangia tutti con voracità. Ma lo fa piano piano, e così loro gridano mentre lui li divora e chissà che altro gli fa. Li sento gemere da qui, certe notti, là in mezzo al bosco.»
Molto natalizio eh?
Sono venuta a conoscenza di questo romanzo in un modo piuttosto insolito: giocando a The Witcher 3, il gioco tratto dalla saga di Andrzej Sapkowski, sulle avventure di Geralt di Rivia.
Tipico passatempo in The witcher 3
La missione secondaria si chiamava “La triste storia dei Fratelli Grossbart” e consisteva nell’uccidere questi due criminali cattivoni. L’epilogo è stato abbastanza deludente: ho attivato la missione per sbaglio finendo nel loro nascondiglio, i fratelli hanno corcato di botte il mio povero Geralt e, fuggendo, la missione è fallita. Ma almeno ho scoperto questa storia.
TRAMA
Una simile irragionevole baggianata dimostra che l’unica cosa più stupida di un bambino troppo stupido è un bambino troppo intelligente. Un bambino sveglio potrebbe davvero arrivare a inventarsi certe fallaci fantasie, mettendo in dubbio i presupposti di una minaccia letale, mentre quello ottuso se vede una bestia con il gozzo seghettato che spalanca le fauci la riconosce esattamente per quello che è: un pericolo.
Questo romanzo è di 504 pagine scritte in piccolo, tutte dense di avvenimenti. Quindi, sia per i temi trattati che per la lunghezza, non si può definire una lettura facile; eppure, è stata forse la lettura che più mi ha incuriosito quest’anno. E non parlo dell’essere o no interessante, mi riferisco proprio al saper attirare il lettore a leggere, a voler sapere cosa succederà o in che modo, nonostante magari abbia altro da fare.
Non è per nulla da sottovalutare una cosa del genere, perché quando si leggono tanti libri, è sempre più difficile sentirsi davvero incuriositi verso una storia.
ORIGINALITÀ
E questa è la storia che conosce ogni bambino, […] Solo il più ignorante o il più ottimista dei bambini potrebbe credere che questa storia finisca davvero così. Ciò che realmente accadde quella notte nel bosco deve invece essere attentamente riesaminato.
In questa storia non c’è niente di scontato, e anche quando pensiamo che qualcosa lo sia, più avanti ci rendiamo conto di esserci sbagliati. Vengono inseriti molti elementi delle leggende o delle fiabe classiche, che però vengono stravolti, dissacrati e rivisti in chiave molto insolita, seguendo sempre lo stile cupo e sinistro dell’autore.
TANTE PREMESSE
Vi avviso, questo romanzo non è per tutti. Contiene delle scene e degli argomenti molto forti, che potrebbero urtare la sensibilità di qualcuno. Inoltre, se vi rendete conto di non saper discernere un romanzo dai fatti di per sé, dalle vostre idee, credenze e convinzioni, allora lasciate perdere l’acquisto; potete al massimo leggere la recensione, giusto per farvi un’idea, ma non aprite gli approfondimenti.
Qui di seguito vi riporterò i quattro punti chiave che costituiscono questo romanzo.
(Le parti nascoste se sono spoiler lo scriverò in modo esplicito, altrimenti sono da considerarsi approfondimenti che potete leggere senza problemi. Per sicurezza, comunque, sostituirò i nomi di alcuni personaggi con —)
VIOLENZA
Con il braccio che teneva la spada bloccato sotto lo stivale di Hegel, — implorava pietà. Hegel gliela accordò per mezzo del piccone, trapassando per tre velocissime volte il gomito del bandito. Alla terza volta gli lasciò l’arma nel braccio maciullato e gli afferrò il polso, strattonandolo con violenza fino a che l’avambraccio del Papa non si staccò definitivamente e il sangue velò il viso a entrambi. — impazzì dal dolore mentre Hegel impazzì e basta.
La violenza esagerata è la caratteristica più evidente di questo romanzo, e la scena qui sopra è la più leggera. A me la violenza gratuita non piace, non ho problemi a leggerla, ma deve esserci per dei motivi precisi e non messa a caso. In questo romanzo, benché le scene violente fossero tante e avessero qualche problema di stile, che vedremo più avanti, non le ho trovate troppe oppure senza senso, c’erano solo quando dovevano esserci. È ben evidente il fatto che l’autore sia un fan di Tarantino, e infatti io mi sono ritrovata spesso a ridere per l’esagerazione intenzionale di alcune scene.
SCENE NON PER I DEBOLI DI STOMACO
Ghermendo una ciocca argentata, Hegel tirò la testa del fratello fuori dall’acqua. Per un attimo Manfried lottò per divincolarsi e poi sbatté gli occhi stupidamente, fissando il suo soccorritore e vomitando acqua su tutti e due. Con lo stomaco sottosopra e traboccante d’acido, Hegel gli restituì la scarica con un cavallone di vomito caldo.
Anche qui, la scena è la più leggera che ho trovato. Io ho uno stomaco abbastanza forte, ma in alcune scene ammetto di aver avuto un po’ di difficoltà.
BLASFEMIA COME SE PIOVESSE
Ingollando la cena, da sotto la tunica trasse la collanina della defunta Gertie e la sollevò alla luce. Solo un vero devoto avrebbe potuto riconoscere ciò che la grossolana incisione pretendeva di raffigurare, tanto grezzi e indistinti erano i lineamenti della Vergine. Col pollice sfregò i due bozzi messi al posto dei Suoi seni e meditò sul significato della pietà.
Studiando attentamente il fratello, Manfried fu colto da un attacco di gelosia. Si considerava di gran lunga più devoto del fratello, che aveva preso a lodare il nome Suo solo dopo che lui gliene aveva spiegato la Parola. Eppure dovette ammettere che la vera pietà stava proprio nel lasciare che il fratello si tenesse il suo trofeo, invece di rivendicarlo per sé. Anche se era stato lui a freddare l’eretica che l’indossava, era evidente che il fratello vi trovava conforto. L’ispirazione sopraggiunse come il pizzico di un moscerino, cosicché Manfried ghermì una delle lance inutilizzate dal carro, ne spezzò l’asta e di buona lena si accinse a intarsiare la sua Vergine. Ne avrebbe resa una rappresentazione molto più fedele, con seno e pancia assai più accentuati.
I protagonisti sono dei fanatici, con delle idee e teorie sulla religione molto distorte, inoltre sono completamente fuori di testa, al punto da arrivare anche ad autonominarsi confessori o santi.
Unendo questi fattori, si hanno delle scene che io ho trovato spassose e interessanti, ma che ammetto possano turbare.
UMORISMO
«Salute a voi», urlò l’uomo.
«Sì, certo», disse Manfried. «Che vuoi?».
«Voglio solo sapere», disse quello bonariamente, «chi siete e per quale motivo vi siete intrufolati qui nel cuore della notte e avete aperto la cripta».
«Siamo i Grossbrat», disse Manfried. «Secondo te cosa vogliamo? E che ci fai tu su quel maiale?».
«Perché non ha niente addosso?», chiese Hegel al fratello.
«Suppongo vogliate derubare i defunti», disse l’uomo. «Sono affari miei perché vado a cavallo di questa bestia, e poi un uomo di buon senso deve sempre tenersi stretto qualcosa, quando si trova nella melma. Per finire, sono nudo perché è una notte tranquilla e quest’arietta fresca mi giova alla pelle».
«Questo dà i numeri», sibilò Hegel, e Manfried annuì.
«Be’, dunque, dato che ora sei al corrente della situazione, devi anche sapere che gradiremmo un po’ di privacy. E poi ti prenderai un accidenti se ti ostini a startene qua fuori senza uno straccio addosso». Manfried sapeva come prenderli, i balordi.
Sì, avete letto bene. In un libro dai toni così cupi, sembra strano parlare di risate, eppure lo stile dissacrante e umoristico, che sembra sempre sfidare o prendere in giro i personaggi e il lettore, secondo me è ciò che davvero lo fa funzionare.
Questo romanzo è tempestato di scene che dovrebbero essere serie, disgustose o violente, ma il modo in cui vengono raccontate a me ha fatto morire dal ridere.
…E MANI AVANTI
Gli studiosi saranno interessati a sapere se questo umile autore si schieri dalla parte degli apologisti come Dunn e Ardanuy o dei revisionisti come Rahimi e Tanzer rimarranno delusi: questa storia è destinata a quel pubblico che ancora non conosce i Grossbart, ed è pertanto scevra di sfoggio accademico, Per questo motivo, e per evitare di distogliere invano l’attenzione del lettore medio, le pagine che seguono non contengono note esplicative e, in caso di varianti, offrono di ciascun evento l’interpretazione più comune.
L’autore ha impostato ogni cosa come se i fratelli Grossbart fossero realmente esistiti. Ha creato un ampio comparto storico inventando nomi di studiosi, correnti di pensiero e tantissimi libri sull’argomento: I fratelli Grossbart, sono due personaggi realmente esistiti, le cui avventure sono state tramandate dai bardi fino a diventare delle vere e proprie leggende e oggetto di studio ancora oggi. L’autore, essendo un grande esperto su di loro, ha deciso di unire tutte le loro storie in un romanzo, al fine di farli conoscere al resto del mondo.
Per come la vedo io, dare un’impronta storica e rendere i propri personaggi addirittura oggetto di studi, alza le aspettative di parecchio già da subito. È una mossa molto rischiosa, ma in questo caso ben riuscita.
In questo lavoro, la distinzione tra storie e Storia non ha, forse, precedenti […] Un vantaggio di questo adattamento a racconto unitario è l’inclusione di storie prima scollegate: incongruenze, queste, in grado di chiarire alcuni aspetti della narrazione centrale, per quanto a prima vista contraddittorie salvo per l’epoca e l’ambientazione geografica. Una seconda conseguenza dell’approccio qui adottato sono gli occasionali balzi che ricorrono all’interno del viaggio, dovuti all’eliminazione di quelle avventure oltremodo ripetitive.
Essendo storie molto vecchie e romanzate, l’autore mette le mani avanti dicendo che qualsiasi incongruenza noi dovessimo trovare, è stata fatta di proposito per farci entrare ancora di più nel mood: racconto-leggenda-personaggi veri.
E fin qui ci sta, ha messo al guinzaglio il mio animo rompiballe. Tuttavia, io di incongruenze troppo eclatanti non ne ho trovate, quindi penso anche questo faccia parte del contorno da lui creato.
Le tragedie e le atrocità sembreranno anche intrinsecamente peggiori quando le si analizza a grande distanza di tempo dal loro verificarsi; eppure, nonostante tutte le nostre conquiste, oggi infuriano guerre e si reprimono legittime insurrezioni nel sangue; la persecuzione religiosa divampa, e la carestia e la pestilenza mietono vittime innocenti.
We we aspetta un attimo…
Qui io ho iniziato a storcere il naso. Una cosa che davvero non sopporto, sono gli autori che prima osano, e poi fanno un passo indietro. Uno scrittore non è quello che scrive, non è i personaggi che crea e non è detto che approvi quello che fanno. A maggior ragione in questo romanzo, dove l’autore ha voluto dare un’impronta storica ai suoi personaggi. Non mi è mai capitato di leggere delle precisazioni di questo tipo nei libri di storia.
Lui non è come i suoi personaggi (almeno spero)
Tuttavia, ci sono molte persone che non riescono a fare questa distinzione, e spesso si ritrovano anche a giudicare i personaggi come persone (!) e non se sono fatti bene o no. Perciò, visto che spesso ho a che fare con persone di questo tipo, faccio una premessa ovvia anch’io, in vista di ciò che andremo ad affrontare a breve:
Se io dico di aver apprezzato una scena in cui si mangiano dei bambini, non vuol dire che ho un pupetto a cuocere nel forno, ma che di solito li ordino al take-away.
Quindi, capisco che l’autore abbia sentito il bisogno di risparmiarsi qualcuna di queste critiche mettendo le mani avanti nella nota introduttiva… ma non anche nel romanzo stesso.
Definire i fratelli Grossbart briganti crudeli ed egoisti screditerebbe persino il ladrone più abietto, e dire che erano dei porci assassini offenderebbe anche il più lurido dei cinghiali.
Questa è la prima frase del romanzo ed io già mi sono messa a ridere. Il narratore che dà giudizi fa qualcosa che in realtà spetterebbe al lettore, dicendogli cosa pensare e che idea farsi; come se noi fossimo scemi e non ci accorgessimo da soli delle atrocità che fanno quei due. Addirittura arriva sfiorare l’assurdo con frasi di questo tipo:
Il fango tratteneva le loro scarpe, nel vano tentativo di rallentare lo scellerato incedere.
Ma dubito che al fango interessi qualcosa.
E non riesce a trattenersi dall’insultarli nemmeno nei titoli di capitolo, ad esempio chiamandone uno “Bastardi come pochi.”
Inoltre, se vuoi raccontare in chiave romanzata un “personaggio storico”, non puoi metterti a giudicare, (Vi immaginate una frase del tipo “Quel cretino di Giulio Cesare…”?). Questo suo insultare i personaggi, per far capire che lui è totalmente contrario a tutto, va avanti per un po’ di pagine, poi per fortuna si dà una calmata.
PERSONAGGI
Se è vero che esistono cose scure che attraversano gli abissi oceanici come se fossero terra asciutta, vi sono altresì esseri malvagi che passeggiano nei cieli come fossero mari.
I personaggi di questo romanzo sono davvero tantissimi, ma l’autore è riuscito a caratterizzarli tutti, prendendosi più tempo per quelli principali, ma senza tralasciare nessuno, nemmeno chi compare per pochissimo. Bullington ha l’abilità di saper far capire al lettore come è fatto un personaggio utilizzando poche righe.
— conosceva bene il nome dei Grossbart, e si maledisse per non aver fiutato guai quando la sera prima si erano presentati alla casa padronale. Si confortò dicendosi che nessun uomo onesto può prevedere tanta abiezione.
Questo è ciò che è importante farci sapere di questo personaggio, non ci serve altro. Ed è bastato per darci un’idea.
Non potendo elencarli tutti, vi parlerò solo di quelli che mi hanno colpito maggiormente.
I FRATELLI GROSSBART
Erano Grossbart fin nelle midolla, e in molte regioni il nome ha ancora oggi un triste significato. Pur non essendo ripugnati quanto il padre o scaltri come il nonno, uomini orribili entrambi, i fratelli si dimostrarono anche peggiori. Il sangue può guastarsi in una generazione sola o stillare nei secoli qualcosa di veramente malvagio, com’è appunto il caso di quei due abominevoli gemelli, Hegel e Manfried.
Come c’era da aspettarsi, il lavoro migliore dell’autore è stato la creazione dei fratelli Grossbart.
È molto difficile costruire un’intera storia con dei cattivi come protagonisti. No, non parlo di anti-eroi o di persone tormentate che però sotto sotto si rivelano eroi, parlo proprio di cattivi. Gli scivoloni da evitare sono innumerevoli: da un lato c’è il rischio di andarci troppo leggero, che il lettore si affezioni e non li consideri più come cattivi; dall’altro si rischia di calcare troppo la dose presentando al lettore dei “cattivi perché sì” senza nessuna sfumatura, e cadendo quindi nella banalità.
Con i fratelli Grossbart, Bullington è riuscito a creare un equilibro per nulla scontato. Il lettore non si affeziona a loro, non prende le loro parti; tuttavia sono credibili e interessanti, al punto da catturarlo e spingerlo a leggere le cose più orribili, pur di sapere cosa accadrà loro.
Ecco qui di seguito le sfumature che più caratterizzano i protagonisti. (Sì, sono tante, lo so. Le ho riportate tutte per mostrarvi quanto impegno ci ha messo l’autore per fare un buon lavoro)
HEINRICH
Da ragazzi, i fratelli depredavano gli ortaggi non ancora maturi, fino a quando Heinrich non li attese al varco. Non contento di usare la verga o le mani, il contadino giustamente infuriato li pestò con il badile. Il naso fracassato di Manfried non riprese mai più la forma normale, e la natica sinistra di Hegel, ammaccata, portò per sempre l’onta della vanga.
Da quando i ragazzi erano svaniti nel nulla, Heinrich aveva avuto una vita baciata dalla fertilità, sia nei campi che nel letto, in cui dormiva con moglie e figli.
Lui è l’altro personaggio chiave della storia e, anche se i protagonisti si possono definire come “i cattivi”, lui non si può definire solo come “il buono”. Anche in questo l’autore non è stato scontato. Ho adorato il percorso di Heinrich e i suoi tormenti personali, e la frase che segue mi è rimasta impressa, anche a distanza di tempo. Penso che racchiuda bene l’essenza del romanzo.
PADRE MARTYN
I corpi sventurati e miserevoli erano già in un avanzato stato di decomposizione perché si potesse distinguere uomo da donna o padre da figlia, e allora abbracciai il più ammuffito di tutti, gridando il suo nome tra le lacrime e il voltastomaco.
Lui è il mezzo di cui l’autore si serve per introdurre le tante tematiche religiose presenti nel romanzo. Un prete dal passato tormentato, che si aggrappa ancora alla religione più per disperazione che per fede.
La storia che lui racconta, mi è piaciuta soprattutto per le pulci nell’orecchio che l’autore ha abilmente disseminato, che mi ha fatto capire da subito una cosa importante:
Inoltre, la sua presenza permette una scena con i due fratelli che mi ha fatto ridere un sacco.
AL – GASSUR
«Dì qualcosa di semplice, come “la tomba è piena d’oro per coloro che oseranno sfidare la muffa”»
«Immediatamente, illustre padrone». Al-Gassur fece l’inchino, e articolò una lunga sequela di parole senza senso, ma senza senso davvero, invece che la lingua di coloro che abitano nelle lande sabbiose al sud. Al-Gassur non udiva né pronunciava una sola parola d’arabo dai tempi dell’infanzia, avendo impiegato gran parte degli anni che da allora erano intercorsi per apprendere le lingue di quelli che cercava di gabbare. Ad ogni modo, i suoni che la sua bocca aveva prodotto a casaccio incantarono i Grossbart, che sogghignarono e annuirono a tutte le sue sciocchezze.
Qui l’abilità dell’autore si nota ancora. In questo paragrafo è racchiuso tutto ciò che dobbiamo sapere su di lui. È un personaggio secondario, non ha un vero scopo se non forse fare numero e creare qualche scenetta divertente, ma comunque l’autore si è preso la briga dargli caratteristiche precise.
IL LOUP GAROU
A giudicare dai radi ciuffetti di capelli, quella faccia rugosa doveva avere più di cinquant’anni, ma i denti e gli occhi sembravano forti e affilati. Non era il volto, tuttavia, a calamitare la loro attenzione.
Niente, dal mento in giù, aveva la minima sembianza umana, dato che il corpo somigliava in tutto e per tutto a quello delle pantere e dei leopardi che errano nelle regioni deserte. La pelliccia maculata era ispida e svariate gradazioni di colore contrastavano con qualche chiazza di pelle nuda. Quel sibilo era prodotto dalla coda spelacchiata che gli si agitava dietro la schiena, come se obbedisse a una volontà propria. Le zampe anteriori gli ciondolavano al di qua del ramo con gli artigli ricurvi che ritmicamente si ritraevano e si allungavano.
Le creature soprannaturali in questo romanzo hanno tutte un’entrata in scena significativa, ma essendo questa la prima che i protagonisti incontrano, l’autore ha avuto un occhio di riguardo. E il fatto che i fratelli siano ignoranti e facciano grande confusione con nomi e definizioni, fa sì che il lettore capisca di che creatura si tratti anche dopo molto tempo. Questo contribuisce a renderli parte integrante della storia senza stonare.
HOMUNCULUS
«Ma sono…» — deglutì quando vide che le facce dei neonati non erano nulla più che teschi color terra d’ombra, con solchi impenetrabili là dove avrebbero dovuto avere gli occhi. «Che cosa sono?»
«Homunculi da far invidia a tutti quelli come loro, il mio personale tocco di classe a un’antica ricetta». Indicò con la mano una pila di pergamene cucite assieme, che il contadino analfabeta non seppe riconoscere come un unico volume. «Il dono di un viaggiatore, tanto, tanto tempo fa.
La presenza delle creature soprannaturali è stata ben ponderata, al punto che l’autore ha seminato indizi e collegamenti già molto prima che apparissero. Ho adorato il loro aspetto terrificante e soprattutto la loro creazione, ma per illustrarvela devo prima parlarvi della strega.
LA STREGA
A ricambiargli lo sguardo, trovò la persona più vecchia che avesse mai visto, una donna di sessant’anni o forse più. Che fosse una donna lo si evinceva soltanto dall’assenza di barba, giacché il volto, teso e crepato al tempo stesso, non forniva altri indizi. Era calva – salvo l’ombra di qualche capello bianco – avviluppata in stracci, il corpo bulboso che contrastava con il viso emaciato.
Questo è il personaggio che ho preferito di più, insieme ad Heinrich. È talmente ben costruito, talmente radicato nella storia attraverso mille collegamenti, da dare l’impressione che lei esistesse nella mente dell’autore prima di tutti gli altri, forse anche dei fratelli Grossbart.
Anche lei come padre Martyn racconta la sua storia, ma essa presenta lo stesso problema affrontato in alcuni racconti di Hyperion: è in terza persona. Il motivo della scelta è legato al colpo di scena, ma questo non toglie che la scelta stessa, lo renda un po’ scontato. Tuttavia, questo non riesce ad affossare l’originalità e la vena dissacrante del suo racconto.
La creazione degli Homunculus, le sue rivelazioni e quello che le succede più avanti, poi, è forse ciò che più ho amato in questo romanzo.
Inoltre, a questo personaggio è legata la scena di sesso più balorda, disgustosa e divertente che io abbia mai letto. L’autore qui si è proprio divertito nel voler mettere alla prova il lettore. Infatti, quando sono arrivata a questa scena, ero in biblioteca, e ad ogni paragrafo non sapevo se prima disgustarmi o ridere, quindi facevo entrambe le cose insieme, sembrando una matta. Probabilmente gli studenti che erano lì si chiedevano che facoltà frequentassi per ridere (o impazzire) così.
STILE
«Quegli ignobili Grossbart?», l’uomo lo guardò minaccioso e lo tirò per un lobo.
«Presenti», disse Hegel.
«E garanti», aggiunse Manfried.
Il punto forte di questo romanzo sono la trama e i personaggi. Lo stile non ha brillato particolarmente, ma non ci sono difetti talmente gravi da affossare l’intero romanzo; tuttavia, sono una Rompiballe e qualcosa trovo sempre.
TERMINI SPLATTER TROPPO GENERICI
L’autore tende spesso a raccontare ciò che invece renderebbe meglio mostrandolo. Nelle scene splatter sembra voglia impressionare il lettore senza però sforzarsi di andare troppo nello specifico.
Il cavallo, mentre si rotolava e scalciava sconvolto dal dolore, lo intrappolò maciullandogli le gambe.
[…] senza più fiato com’era, con le gambe spezzate e un cavallo che gli schiacciava la parte inferiore del corpo sul sentiero, riducendola in poltiglia.
Continuò a fracassare la testa di — fino a quando il cranio non gli sì spaccò, e un diluvio di ossa e succhi gli si rovesciò addosso.
BEI DIALOGHI
«Encomiabile Hegel. Magnificente Manfried», Al-Gassur si chinò goffamente, infilandosi il piccione nella tunica. «Vi ho intravisti dai cespugli allorché vi appropinquavate, e mi sono interrogato sulla cagione per la quale dei maestri della vostra fatta si aggirassero in luoghi sì meschini quali quelli in cui mi trovo a risiedere».
«Che? Chiudi il becco.»
Gran parte della caratterizzazione dei personaggi l’hanno fatta i dialoghi. È una bel modo di mostrare come sono, invece di darci la pappa pronta raccontarcelo. Adoro i dialoghi ben studiati, e qui ho avuto molte soddisfazioni.
«Se cadi da un carrozzone, ti rialzi e cammini». Hegel ondeggiava sulla banchina fissando il mare. «Da una nave, non puoi fare altro che morire».
«Sapete nuotare?» chiese Rodrigo.
«Ci stai dando degli stregoni?» Manfried gli sbatté la barba in faccia.
Io quando leggo dialoghi che mi piacciono
RACCONTATO NECESSARIO
La carneficina che ne seguì è ben documentata altrove, e neanche le donne e i bambini riuscirono a scampare al massacro. Gli ignari cittadini fuggirono come meglio poterono, ma non prima che le onde che si infrangevano sulla banchine si tingessero di cremisi e i canali di scolo fossero inondati di sangue.
Il raccontato si usa spesso per risparmiare spazio, utilizzandolo magari in scene di poca importanza. Per questioni di lunghezza, però, nella seconda parte l’autore ha iniziato ad usarlo sempre più spesso per risparmiare pagine e, nonostante sia riuscito a creare comunque dei paragrafi efficaci, la narrazione sbilanciata si sente parecchio. Si percepisce l’esigenza di concludere tutto al più presto.
«Ne ho abbastanza per una vita intera, di questa merda», disse Manfried tirando con la balestra al primo Mamelucco che aveva toccato la sponda, e insieme si lanciarono a capofitto nella più feroce e grandiosa battaglia della loro vita.
Ma come, proprio sul più bello?
ANTICIPAZIONI
Si disse che alla fine di tutta quella faccenda si sarebbe recato in chiesa, e dagli occhi gli sfuggì una lacrima solitaria. Se avesse saputo del putiferio che si preparava all’orizzonte, ne avrebbe versate molte di più.
Io non sopporto le anticipazioni, non posso farci niente. So che spesso gli autori in generale le usano per invogliare il lettore a continuare, ma in questo caso secondo me sono totalmente superflue. La storia è interessante di per sé, non c’è bisogno che il l’autore ci convinca ulteriormente.
Manfried non poteva sapere quanto quella sua affermazione si sarebbe rivelata erronea.
I quattro si imbarcarono in un breve e acceso dibattito sull’opportunità di correre il rischio di legargli le mani prima di tirarli su. Decretarono infine che avrebbero sempre potuto colpirli con la balestra o pugnalarli, se mai fossero riusciti a liberarsi, e fu così che decisero anche il proprio destino.
DESCRIZIONI EFFICACI
Erano tutti e due di media statura ma scheletrici di costituzione. Manfried possedeva enormi orecchie sproporzionate, e in confronto al naso di Hegel, parecchie rape sarebbero parse banali per dimensioni e bitorzoli. I capelli rossicci e le sopracciglia cespugliose di Hegel contrastavano con l’argento arruffato della zucca del fratello, ed entrambi avevano visi butterati e scarni.
Avevano appena venticinque primavere ma portavano una barba di tale lunghezza che anche da vicino li si prendeva spesso per vecchi. Chi tra i due l’avesse più lunga, poi, era frequente motivo d’alterco.
Le descrizioni sono prive di dettagli inutili o banali, e con un ritmo narrativo che non annoia.
IL NARRATORE ONNISCENTE
I fratelli erano convinti che il padre avesse seguito il nonno nel Gitto, lasciandoli a marcire con la madre violenta e alcolizzata. Se avessero saputo che, in realtà, era finito come becchime per corvi e senza un soldo in tasca, chissà se avrebbero alterato il corso delle loro vite e maledetto meno il suo nome, o forse ancor più.
Il narratore onnisciente è spesso odiato dagli altri della mia razza (i Rompiballe), tuttavia in questo caso, essendo una narrazione con impronta storica ci sta bene, e l’autore è stato comunque molto attento a ridurre al minimo informazioni inutili.
La mia razza quando vede un libro decente
FINALE
Le perle del deserto sarebbero rimaste sottoterra in eterno e soltanto la sua barba avrebbe prosperato nella tomba.
Come dicevo, il leitmotiv di questo romanzo è che tutti, nessuno escluso, alla fine hanno esattamente quello che si meritano. Questo rende il finale e vari epiloghi davvero entusiasmanti e originali. È un finale completo, che non lascia dubbi e tuttavia cerca di crearne. Davvero molto bello.
CONCLUSIONE
Un romanzo davvero insolito e originale, dai temi e argomenti molto forti. Non è per tutti, ma per chi vorrà provarci di sicuro sarà un’esperienza interessante. Se cercate qualcosa di totalmente diverso e fuori dagli schemi, leggetelo, ma ricordate di tenere la mente aperta.
Voto: 8,5/10