Parliamo di… “La paura del saggio” di Patrick Rothfuss

«Una parte di te la capiva» insiste lui. «La tua mente dormiente. Una cosa davvero rara. Se avessi saputo quanto era difficile, non avresti avuto alcuna possibilità di farlo.»

Continua la storia di Kvothe in un secondo capitolo di ben 1141 pagine. Sono riuscita a procurarmi dalla biblioteca l’edizione fanucci, molto simile al mio dizionario di latino del liceo per quanto riguarda le dimensioni. In genere un grande numero di pagine non mi spaventa, però ho notato spesso che più un romanzo è lungo, più per uno scrittore è difficile gestirne il ritmo. Uno dei problemi più grossi in questo romanzo è proprio questo: la narrazione è talmente piena di avvenimenti e frammentata, da far sembrare questo romanzo una raccolta di racconti, e non una storia lineare.

ANTICIPAZIONI E STRUTTURA ATIPICA
Io apprezzo molto gli autori che vogliono sperimentare, però è anche vero che per determinate cose, se alcuni schemi vengono seguiti spesso è perché funzionano bene. In genere una storia inizia con una situazione di calma, che permette al lettore di immergersi ed entrare bene nella storia, poi accade qualcosa che sconvolge la situazione del protagonista e, se l’autore è bravo, noi ci sentiamo coinvolti al punto da voler sapere come andrà a finire. Qui non accade nulla di tutto ciò, è solo un elenco molto dettagliato del percorso di crescita di Kvothe. In questo romanzo, “grazie” alle massicce anticipazioni di Rothfuss, noi le cose importanti che succederanno le conosciamo già tutte, sappiamo anche come andrà a finire, visto che è Kvothe stesso a raccontare la sua storia. Ci resta solo da sapere il “come” queste cose avverranno, e a me personalmente, se vuoi convincermi a leggere volentieri 1141 pagine, serve qualcosa di nuovo che mi spinga ad andare avanti.

QUALCOSA DI NUOVO (?)
Il primo capitolo di questa trilogia, “Il nome del vento”, mi ha tenuto incollata dalla prima all’ultima pagina (anche nella parte dell’accademia che, soprattutto per gusto personale, mi ha sempre annoiato. Kvothe che si fa i dispetti con Ambrose è allucinante). Questo perché ogni cosa era nuova, e quindi ero curiosa di saperne di più. Volevo conoscere meglio il protagonista, i personaggi, i luoghi, il modo in cui funzionava la magia, la situazione attuale del protagonista mentre racconta e il sistema del “Detto ma non detto” costituito dall’inserimento di pulci nell’orecchio, a volte con una sottigliezza tale da sfiorare la follia. Inoltre, ero tremendamente affascinata dalla bravura di Rothfuss nella narrazione, nel suo riuscire a racchiudere un mondo intero in un paragrafo, con una bellezza quasi estetica nella scrittura (dalla regia mi dicono che nella versione inglese sia triplicata.)

«Brutta faccenda la scorsa notte» disse senza incontrare il suo sguardo, poi prendendo un altro sorso.
Kote annuì. Brutta faccenda la scorsa notte. Era probabile che fosse tutto ciò che Graham aveva da dire sulla morte di un uomo che conosceva da tutta la vita. Questa gente sapeva tutto sulla morte. Uccideva il proprio bestiame. Moriva di febbre, per una caduta o per ossa rotte andate in cancrena. La morte era come un vicino indesiderato. Non parlavi per paura che potesse sentirti e decidere di farti una visita.
Tranne per le storie, naturalmente.

In questo secondo capitolo, noi conosciamo già tutto. Ovviamente i personaggi vengono approfonditi, ma sempre su lati che già avevamo intravisto. Quindi, impostare un terzo del libro nell’accademia, di cui già conosciamo ogni cosa, giusto per fare un riassunto generale a me è sembrato un po’ esagerato. E in generale tutta la narrazione è un susseguirsi di dinamiche già presentate, sono davvero pochi i punti in cui sono rimasta sorpresa davvero.

CAPITOLI E PULCI
«Scrive come se temesse che qualcuno possa davvero comprenderlo.»

Rothfuss è di una bravura indiscussa nel far riflettere il lettore, nel seminare pulci nell’orecchio e nell’inserire fatti all’apparenza insignificanti, ma che poi troveranno una funzione in futuro. È giusto avere questa abilità ed usarla, ma non bisogna nemmeno esagerare. Molto spesso mi sono ritrovata a leggere interi capitoli, solo per poi tirare le somme e rendermi conto che i fatti davvero utili e interessanti erano due o tre. Il resto era solo un contorno, ben narrato e farcito di nozioni tecniche studiate dall’autore per l’occasione, tutto molto bello, ma è pur sempre un contorno.

«Qualunque uomo mezzo sveglio può notare una trappola disposta per lui. Ma finirci dentro con audacia, con un piano per farla ritorcere contro chi l’ha messa, quella sì che è una cosa meravigliosa.»

Spesso ho avuto la sensazione che gran parte di questo romanzo sia stato più uno sfoggio della bravura (indiscussa) di Rothfuss, e con questo non intendo che secondo me a lui non interessa raccontare bene una storia, ma più che altro il suo ego soffocante spesso ha avuto la meglio su scelte narrative più efficaci, che avrebbero alleggerito di molto la storia e quindi avrebbe permesso ai lettori di apprezzarla al meglio.
E sì, lo so che non ci sono cose inutili e che tutto è stato creato in modo che avesse senso più avanti, ma ci sono mille modi per mettere una pulce, senza per forza costruirci capitoli interi attorno.

LE STORIE
«Molte cose vide, e molte storie raccontò, e tutti alla fine furono più saggi per questo.»

Le storie in questo mondo hanno un’importanza immensa, lo so. Sono fonte inesauribile di pulci e suggerimenti e il fatto stesso del raccontare storie influenzerà gli eventi anche in futuro. A volte penso che la storia stessa raccontata da Kvothe per qualche motivo non corrisponda esattamente ai fatti accaduti, e al tempo stesso penso che leggere la sua storia, avrà per Kvothe la stessa funzione che ha per noi, cioè scovare pulci e segreti nascosti che potrebbero portarlo a sbloccare il suo destino.

«Tutta la verità del mondo è contenuta nelle storie, sai.»

Il problema qual è? Lo stesso per molte altre cose in questo romanzo: sono troppe.
Un lettore quando si immerge in un romanzo è come se stesse dormendo, cullato e trasportato dalle correnti della narrazione. Quando i personaggi all’improvviso si siedono e si mettono a raccontare una storia, spezzano completamente il ritmo, perché sotto gli occhi del lettore cambiano personaggi, tempo e luogo, quindi deve riadattarsi ogni volta. È come se il lettore dormiente, ad ogni storia, fosse costretto a girarsi in un’altra posizione. Qualche volta, a distanza di tempo ci sta, magari dormirà più comodo, ma se lo si fa in continuazione, alla fine il lettore rotolerà giù dal letto e si sveglierà. E una volta sveglio, si nota che le storie spesso sono inserite forzatamente per presentarci delle pulci. Mai in modo spudorato eh, perché non dirò mai abbastanza che Rothfuss sa quello che fa, tuttavia è uno strumento narrativo abusato, in questo caso, perché tante storie tutte insieme confondono parecchio, e quindi anche l’intento di mettere pulci e suggerimenti perde la sua efficacia. Questo tuttavia non toglie che alcune siano molto belle.

PERSONAGGI
“Ecco come può diventare pesante un segreto. Può far scorrere il sangue più facilmente dell’inchiostro.”

Scommetto stavate iniziando a chiedervi perché avessi messo tante stelline, visto tutti i difetti che ho trovato.
Nella narrazione di un romanzo ci sono vari parametri a cui fare riferimento, spesso è il gusto personale di chi valuta che porta a scegliere su quali parametri concentrarsi maggiormente, e quindi ogni parametro può avere un peso diverso. Una cosa totalmente negativa può pesare di meno di una cosa totalmente positiva, e viceversa. Fino ad ora ho farfugliato riguardo lo stile e la trama, ma ciò che amo di più in un romanzo e su cui mi concentro di più, sono i personaggi.

“«Ma a volte il miglior aiuto che una persona può trovare è aiutare qualcun altro.»”

Rothfuss ha un ego enorme, sa di essere bravo e tutta la sua opera è molto pretenziosa. Tuttavia, ha una fedeltà e devozione verso i suoi personaggi da rasentare quasi il religioso. È una cosa che ho percepito chiaramente. Lui pur di rendere i suoi personaggi veri, coerenti e sfaccettati al punto giusto sacrifica qualsiasi cosa. Anche a costo di riproporci spesso le stesse dinamiche, ma almeno saranno dinamiche coerenti. Sapete da cosa ho notato questa su devozione? Da una scelta narrativa scomoda.
Kvothe come personaggio è pieno di sé, sin da giovane ha coltivato con cura la sua reputazione, si crogiolava nelle storie che la gente creava su di lui e, come tutte le storie, passando di bocca in bocca e attraverso il tempo si sono modificate tantissimo. Uno dei motivi che spinge il Kvothe della locanda a permettere a Cronista di scrivere la sua storia, è quello di raccontare ciò che è successo davvero; la vera versione delle storie. Infatti, Kvothe nella narrazione racconta solo le cose già riprese nelle varie storie, e tralascia altri avvenimenti da cui non è stato tratto nulla. Il fatto è che, a livello narrativo, questi avvenimenti nell’ombra ad esempio il processo o i pirati che assaltano la nave dove viaggia hanno un impatto maggiore, che incuriosirebbe il lettore molto più di altri invece raccontati per filo e per segno da Kvothe perché parte di alcune storie. Rothfuss poteva scegliere di forzare un po’ la mano, raccontando ad esempio una scena piena di azione, ma ha preferito che il suo protagonista restasse coerente.

Kvothe per molti versi è il personaggio ideale per una romanzo fantasy: Passato doloroso che gli dà spessore, intelligenza fuori dal comune che gli permette di imparare tanto e in fretta, tendenza a cacciarsi in ogni genere di guai per far progredire la narrazione, capacità di innamorarsi perdutamente e di attirare le donne per dare in giusto apporto di inciuci e infine una grande abilità nel farsi nemici ovunque per dare al finale un po’ di sprint.
Che cosa distingue Kvothe dalla maggior parte dei protagonisti fantasy? La caratterizzazione e l’approfondimento psicologico. L’abilità dell’autore di andare oltre, e creare un personaggio a tutto tondo.
Kvothe è pieno di sé e ci tiene alla sua reputazione, ma perché per molto tempo per le strade di Tarbean è stato il nulla.
«Se fosse stato di stoffa più resistente, forse lui sarebbe ancora con noi qui stasera.»
Riconosco la mia battuta d’entrata quando la sento. Varcai la soglia e percepii tutti quanti voltarsi a guardarmi.

È tremendamente orgoglioso, ma perché cerca di compensare la sua povertà spesso evidente.
“Chiunque mi conosceva poteva capire che non avevo famiglia. Non avevo mai detto nulla, ma loro erano buoni amici. Sapevano.”

Si innamora perdutamente della prima ragazza che vede, ma perché la prima figura femminile della sua vita gli è stata strappata e si concede di pensare a lei solo in pochissime occasioni.
“Evitavo l’argomento allo stesso modo in cui uno zoppo impara a non appoggiare il peso sulla gamba storpia.”

Tende spesso a puntare i piedi con gli altri e per questo si fa molti nemici, ma dopo la sensazione di impotenza provata davanti ai Chandrian è comprensibile che non voglia più sentirsi così.
“Non c’è nulla che odi di più del fare male una cosa.”

Ama la musica anche perché, dopo aver perso tutto, il liuto era l’unica cosa che gli era rimasta della sua famiglia, e ogni volta che suona cerca anche di mantenere quel legame.
“Finché avevo la mia musica nessun fardello era troppo grande da portare.”

Ha un animo gentile, ma che spesso viene contrastato dal suo lato più oscuro, di cui ancora non abbiamo ben capito l’origine.
“Non ebbi più quegli incubi. A volte penso ad Alleg e sorrido.”

Ha un passato molto doloroso, ma questo non è solo fine a se stesso per renderlo tenebroso al punto giusto; ha contribuito ad alimentare una sensibilità tale, da permettergli di vedere cose che agli altri sfuggono, anche a livello di sentimenti.
“Stavolta, quando lo guardò, lo vide davvero.
Lasciate che vi dica questo. Solo assistere a quel momento valse tutto il tempo noioso e irritante passato a perlustrare gli Archivi. Valeva il sangue e la paura della morte vederla innamorarsi di lui. Solo un poco. Solo il primo lieve alito d’amore, così leggero che probabilmente lei stessa non lo notò. Non fu drammatico, come una saetta seguita da un rombo di tuono. Fu più come quando una pietra focaia colpisce l’acciaio e la scintilla scompare quasi troppo velocemente per essere vista. Però sai che è lì, dove non la puoi vedere, e accende qualcosa.”

La bellezza nella realizzazione di questo personaggio è forse ciò che più mi spinge a leggere questa trilogia. Più di una volta mi sono commossa, e con i libri per me non è facile, inoltre alcune scene mi sono rimaste impresse anche a distanza di tempo.
Ha anche dei difetti eh tutta quella parte de “Sono il dio del sesso, scopo pure l’aria” se la poteva risparmiare, ti fa solo alzare gli occhi al cielo. Poi molti elogiano la parte in cui fa sesso per la prima volta, perché molto sottile come paragrafo, senza termini espliciti, ma per me lo è stato al punto da non capire subito che avessero spupazzato, sarò torda io, non saprei.
Ma non è l’unico personaggio ad avermi colpito.

“Erano il miglior tipo di amici. Il tipo in cui ciascuno spera ma che nessuno merita, tanto meno io.”

Auri
«Perché Auri?» chiese Elodin.
«Perché non ha nessun altro» dissi. «E nemmeno io. Se non ci prendiamo cura l’uno dell’altro, chi lo farà?»

Io ho adorato Auri dal momento in cui è apparsa nel primo libro, c’è poco da fare. Adoro l’alone di mistero che la avvolge, il fatto che di lei si sappia pochissimo e che il suo essere instabile abbia costretto Kvothe a regole ben precise per approcciarsi a lei.

«Non mi piace raccontare» disse lei piano, la sua voce carica di lacrime. Di tutte le cose terribili di cui ero stato parte quest’ultimo paio di giorni, questa era senza dubbio la peggiore.
«Sono così spiacente, Auri» dissi. «Non lo chiederò di nuovo. Lo prometto.»

È davvero difficile creare un personaggio matto o instabile senza farlo sembrare, a lungo andare, una parodia di se stesso. Rothfuss con lei è stato bravo nel bilanciare i suoi lati instabili e quelli lucidi, con il risultato di renderla imprevedibile, esattamente come una persona instabile.
Adoro tutti i riti che ha inventato insieme a Kvothe e il loro rapporto è qualcosa di meraviglioso. Inoltre “Sono adorabile come la luna” ormai è entrato nel mio repertorio di frasi.

Auri fece un passo avanti. «Tu sei speciale per me» disse in tono serio, il suo volto grave. «Voglio che tu sappia che mi prenderò sempre cura di te.» Allungò una mano con esitazione e mi toccò le guance. «No. Non stanotte. Questo è il tuo terzo regalo. Se le cose vanno male, puoi venire e stare con me nella Sottovia. È bello lì, e sarai al sicuro.»
«Grazie, Auri» dissi non appena ne fui in grado. «Anche tu sei speciale per me.»
«Ma certo che lo sono» disse lei in tono schietto. «Sono adorabile come la luna.»

Su di lei le teorie si sprecano, e sicuramente molte cose di lei saranno chiarite definitivamente nel capitolo successivo. In questo romanzo si è potuto osservare quanto la presenza di Kvothe nella sua vita abbia aumentato i momenti di lucidità, rispetto al primo libro. Si può osservare il loro rapporto di amicizia che cresce e si trasforma, al punto che anche lei, in una scena che mi ha commosso profondamente, per una volta riesce a capovolgere i ruoli.

Denna
“Cercare Denna era un esercizio di futilità, come pregare per il bel tempo.”

Io con Denna ho sempre avuto un rapporto di amore-odio sin dall’inizio. Ma non tanto per il personaggio in sé, quanto per le sviolinate incessanti che Kvothe le fa di continuo. Io capisco che da giovane si sia preso una scuffia colossale, ma anche il Kvothe della locanda si perde di continuo a spiegarci quanto era bella, fantastica, intelligente, e la voce, e oh mio dio la musica, ed era unica, eh mannaggia a me quanto era bella ecc… Alla lunga questo contribuisce a mettere in cattiva luce il personaggio, e nei mostri senza cuore come me, ha contribuito a sperare in una sua celere dipartita.
«Per quanto certe cose possano essere attraenti, devi soppesare i tuoi rischi. Quanto lo desideri davvero? Quanto sei disposto a bruciarti?»

Tuttavia, in questo secondo romanzo, Kvothe si dà notevolmente una calmata nell’elogiare Denna, e lascia che siano più i fatti a parlare rispetto alle sviolinate. E anche quando parla di lei, ciò che dice riesce ad essere piacevole da leggere, perché alleggerito dai quintali di miele e zucchero iniziali.

Inoltre, il suo personaggio viene approfondito in un capitolo in particolare e qui e là nella narrazione, questo ci permette di vederla più come personaggio a sé, per quello che è davvero, senza tutta l’idealizzazione di Kvothe. In lei ho apprezzato soprattutto il “non detto” e “quello che si può lasciare solo intendere”. Inoltre, in questo secondo capitolo, si percepisce un’amarezza di fondo nel loro rapporto che mi ha colpito molto e che contribuisce a dargli più peso.
“Sapevo cosa succedeva agli uomini che si aggrappavano a lei troppo forte. Quella era la differenza tra me e gli altri.”

Elodin
“Elodin era l’unica altra persona che avessi incontrato che poteva guardarti così, come se fossi un libro che stava sfogliando distrattamente.”

Se creare un personaggio matto è complicato, lo è ancora di più creare una persona che sembra matta ma in realtà non lo è poi tanto.
“«Chi può dirlo con Elodin?» replicai. «Se non è pazzo, è il miglior attore che io abbia mai incontrato.»”

Elodin ha sempre incarnato il ruolo del vecchio saggio misterioso che ti getta un po’ di fumo negli occhi invece di spiegarti le cose chiaramente.
“Il volto di Elodin si illuminò. «Proprio così, esatto!» disse. «Traduzione. Tutta la conoscenza esplicita è conoscenza tradotta, e ogni traduzione è imperfetta.»”

Tuttavia, Rothfuss riesce ad andare più a fondo anche in questo caso, e se ci si discosta dai discorsi singoli ma si osserva nell’insieme, il suo intento diventa più chiaro, anche se lui non ce lo ha mai spiegato perché non può. Il personaggio di Elodin è molto complesso perché ha come compito di spiegarci quello che Rothfuss stesso ha difficoltà a rendere in scrittura. Questo suo essere complicato è bilanciato fortemente dal fatto che fa morire dal ridere.
“«Re’lar Kvothe» disse seriamente. «Io sto cercando di svegliare la tua mente dormiente al sottile linguaggio che il mondo sta sussurrando. Sto cercando di indurti a comprendere. Sto cercando di insegnarti.» Si sporse in avanti finché la sua faccia non fu quasi a contatto con la mia. «Smettila di afferrarmi le tette.»”

TEORIE
«Quanti anni hai, comunque?»
Il locandiere gli rivolse un sorriso stanco. «Abbastanza da sentirmi vecchio.»

Ho volutamente tralasciato ogni tipo di teoria fantasiosa o attendibile per evitare ogni tipo di spoiler, ma ovviamente fare supposizioni e teorie è parte integrante di questa trilogia, quindi per non rovinare i giochi a nessuno preferisco discuterne privatamente.

CONCLUSIONE
Un romanzo molto complesso e di lunga digestione. Tantissime pagine, tantissimi avvenimenti, tantissime pulci. Mi rendo conto che non è un romanzo per tutti, perché richiede molta pazienza.
I personaggi sono tra i migliori di cui abbia mai letto, e i sentimenti e la commozione si sprecano. La curiosità nel sapere come va a finire è tanta, e tutto sommato è valsa la pena passare quasi due mesi su questo romanzo, al punto che quasi mi dispiace riportarlo in biblioteca, mi sono affezionata. Mi unisco a quelli che aspettano con ansia il terzo capitolo ma, a quanto si dice sul perfezionismo di Rothfuss, credo che aspetteremo un bel po’.

Si lo so che volete il voto…fatemi pensare…
Voto: 7,50/10

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