«Ho bisogno del tuo cervello, Locke. Ho bisogno della Spina di Camorr.»
«Quando la trovi fammelo sapere. È una fottuta favola.»
«Sta su questa barca con me. Se non sei lei adesso, dovrai diventarlo.»
Titolo: Gli inganni di Locke Lamora
Titolo originale: The Lies of Locke Lamora
Serie: I Bastardi Galantuomini #1
Autore: Scott Lynch
Editore: Nord
Pagine: 605
Prezzo: Variabile
Reperibilità: Fuori catalogo, reperibile usato.
«Se desideri misurare il vero pentimento di un uomo, osservalo quando crede di pranzare da solo»
DAL WEB
Dicono che Locke Lamora non abbia rivali nei duelli. Dicono che sia alto, prestante e fascinoso. Dicono che la sua missione sia di rubare ai ricchi per dare ai poveri. Bè, si sbagliano. Piccolo di statura, deboluccio e un po’ imbranato con la spada, Locke ha un unico punto di forza: nessuno lo può battere quanto ad astuzia e abilità truffaldina. E benché sia vero che ruba ai ricchi (e a chi, di grazia, dovrebbe rubare?) nessun povero ha mai visto un soldo bucato dei suoi furti. Tutto ciò su cui mette le mani lo tiene per sé e per i Bastardi Galantuomini, la sua banda, che ha come motto: “Vogliamo essere più furbi e più ricchi di tutti gli altri”. A suo modo, Locke è il re di Camorr, una città che sembra nata dall’acqua, ornata di migliaia di ponti e di sontuosi palazzi barocchi e popolata da mercanti, soldati, accattoni e, ovviamente, ladri. In realtà, Camorr è il dominio di Capa Barsavi, perversa mente criminale, che da qualche tempo è impegnato in una lotta senza quartiere con il Re Grigio, altro personaggio decisamente poco raccomandabile. Impiccione per natura, Locke si ritrova suo malgrado in mezzo a questo scontro di titani e rischia di lasciarci le penne. Anche perché il suo misterioso passato nasconde un segreto che può mettere in pericolo l’intera nazione camorrana…
Sì, lo so, ci sarebbe da fare una recensione anche su questi paragrafi (“altro personaggio decisamente poco raccomandabile”? Seriamente?), ma posso assicurarvi che non rendono minimamente giustizia al romanzo.
Cominciamo bene
Questo libro è stato una sfida, su molteplici livelli. La prima, è stata decidere se prenderlo o meno.
Dovete sapere che io con i libri ho parecchie manie. Se inizio una saga in un certo formato, tutti gli altri dovranno essere uguali, meglio se in copertina rigida (io lo chiamo “smoking”); non devono sporgere e non devono essere di altezze diverse sullo stesso scaffale (sono perfettamente capace di mettere dei rialzi o di far avanzare e indietreggiare tutti i libri fino a pareggiarli); altrimenti iniziano i tic nervosi.
Immaginate la mia faccia quando, in una bancarella di libri ad 1€, ho trovato questo libro, che volevo leggere da un vita, ma in queste condizioni:
Questo romanzo disastrato era lì, a guardarmi con aria di sfida. Era senza sovraccoperta, rotto proprio sulla costa. E se lo strappo in qualche modo avrei potuto medicarlo, la mancanza di sovraccoperta era difficile da sopperire. E, ovviamente, non avrei potuto prendere un’altra edizione ridotta meglio in futuro, perché altrimenti quella messa peggio non si sarebbe sentita abbastanza per me e ci sarebbe rimasta male. Sono tutte cose di cui tenere conto.
Io capisco che esistono problemi più seri, ma il mio cervello non funziona sempre come una persona perfettamente sana, quindi spero vi rendiate conto che, nel mio modo di vedere le cose, prendere un libro del genere avrebbe potuto mettere a rischio tutte le mie regole rigide nel mio regno-libreria ikea, e gli altri libri avrebbero potuto scatenare una rivolta per questo, i fantasy avrebbero iniziato a gettare via lo smoking e a mischiarsi con i tamarri del piano inferiore, o peggio ancora sarebbero andati a far venire un infarto ai classiconi, e avrebbero buttato giù dalla torre libreria le graphic novel…
Comunque, grazie alla foto l’epilogo è di facile intuizione. Il mio amore per i libri disastrati che nessuno vuole ha vinto, e adesso il libro sta molto meglio, è stato medicato e adesso se ne va in giro tutto fiero con le mille linguette che gli ho appiccicato tra le pagine. (Quelle che il mio gatto non è riuscito a mangiare).
…Tuttavia, non l’ho ancora presentato alla libreria.
La seconda sfida è avvenuta qualche giorno fa. Per vari impedimenti non mi sono organizzata bene con la lettura, e mi sono ritrovata il sabato con metà libro ancora da leggere e l’impossibilità di farlo per tutto il giorno, per via di un’escursione in montagna (suona figo, lo so, ma era la prima volta e un bradipo sarebbe stato più atletico). La consegna era entro martedì, e contando il tempo che ci metto di solito a scrivere anche la recensione, era quasi impossibile fare in tempo.
Anche qui, il romanzo mi guardava di nuovo con aria di sfida, con quel segnalibro/carta di magic che gli spuntava, tipo pennacchio, da metà testa. (Adoro anche la parola pennacchio)
Di nuovo, l’epilogo è di facile intuizione. Il mio animo di secchiona ha avuto la meglio e ho letto più di 300 pagine in un giorno. Ma adesso penso non leggerò mai più.
WORLDBUILDING
«Sembra quasi… un sacrilegio!» Malgrado tale convinzione, il Don inghiottì un bel sorso dell’intruglio, con soddisfazione evidente su ogni tratto del viso. In lontananza, dietro di lui, qualcosa che poteva essere un busto troncato volò in aria e ridiscese con un tonfo; la folla approvò schiamazzando.
Per capire bene la trama e i personaggi di questo romanzo, penso sia utile spiegarvi per prima cosa il mondo in cui ci troviamo.
TRE LUNE
Locke guardava le lune in cielo, sforzandosi di vedere le macchioline blu e verdi che, a quanto gli aveva detto una volta Catena, erano le foreste degli dei.
Ho usato la parola “mondo” non a caso. Nulla su questo argomento è stato spiegato in modo esplicito, tutto sta nella capacità del lettore per capire determinate cose. Io ho supposto che la storia fosse ambientata su un altro pianeta, dopo aver letto più volte l’utilizzo del plurale per indicare la luna, ipotesi poi confermata da un numero preciso.
Al suo centro splendeva un globo alchemico con la luce bianco-bronzea del sole; lo circondavano anelli di vetro concentrici che segnavano le orbite e le rotazioni del mondo e di tutti i suoi cugini celesti, comprese le tre lune; ai margini più esterni vi era un centinaio di stelle sospese che parevano schizzi di vetro fuso, in qualche modo congelato nell’istante stesso della loro esplosione verso l’esterno.
So che a voi potrebbe sembrare facile da capire, e forse alcuni dettagli mi sono sfuggiti, ma l’autore è molto bravo a far sembrare cose per noi insolite come se fossero la norma, aiutandosi anche con nomi per ogni ora difficili da ricordare. Ma in base ad alcuni dettagli, sembra che anche la distribuzione giorno/notte subisca variazioni diverse dal nostro mondo.
Non posso richiamarli su due piedi. Ma datemi tempo fino al buio del mattino, e potrò avere tutti gli altri, equipaggiati e pronti alla baruffa. Abbiamo i Cannocchiali della Notte a spalleggiarci, non c’è nemmeno bisogno di coinvolgere le giacche gialle. Sappiamo che potrebbero essere d’accordo con loro, comunque.»
CAMOR
Nessuna guardia degnò di una seconda occhiata quel vecchio mendicante secco, barbuto e sporco; ce n’erano mille come lui a Camorr, mille derelitti intercambiabili, disperati e senza un soldo, proprio sul fondo dei tanti livelli di miseria che il mondo della malavita aveva da offrire.
Camorr è una città molto simile alla nostra Venezia, con l’aggiunta di tantissimi squali e creature marine pericolose di ogni genere. Molte scene si svolgono tra i canali, sulle barche o sui ponti; sono un elemento costante. È governata da un Duca, ma la criminalità in questa città è così ben diffusa e organizzata, che Capa Barsavi, l’uomo che controlla ogni attività illegale, è considerato a livello di importanza al pari del Duca, al punto da essere giunti ad un accordo segreto che permette la coesistenza e i reciproci interessi senza ostacolarsi.
«Dei, quanto mi piace questo posto», disse Locke, tamburellando le dita sulle cosce. «A volte penso che tutta quanta la città è stata messa qui soltanto perché gli dei devono adorare il crimine. I borsaioli rapinano la gente comune, i mercanti rapinano chiunque riescano a infinocchiare, Capa Barsavi rapina i rapinatori e la gente comune, la piccola nobiltà rapina quasi tutti e il Duca Nicovante ogni tanto se ne scappa col suo esercito e rapina Tal Verrar o Jerem fino alle mutande, per non parlare di quello che fa ai suoi nobili e alla sua gente comune.»
I CAMORRANI
La gente di Tal Verrar, di Karthain e di Lashain annuisce, con l’aria di chi la sa lunga, nel sentire questa storia. La considerano apocrifa, ma essa conferma qualcosa che in cuor loro credono di sapere: che i camorrani sono tutti pluridannati pazzi.
I camorrani, d’altro canto, la vedono come un valido avvertimento contro il procrastinare, in questioni di vendetta; o, se non si può ottenere soddisfazione immediatamente, sui vantaggi dell’avere una memoria lunga.
Camorr è una città dura e crudele, sotto moltissimi aspetti. La gente è abituata alla violenza, spesso ne è anche divertita; la sofferenza altrui non fa battere ciglio a nessuno, e ogni gesto è dettato dal tornaconto personale e non dall’altruismo.
LA BALDORIA MOBILE
I primi a entrare in scena a ogni Baldoria erano i Penitenti: delinquenti colpevoli di reati minori, ospiti del Palazzo della Pazienza, potevano offrirsi volontari per incontri di lotta male assortiti, in cambio di una riduzione della pena o di un trattamento un po’ migliore.
[…] Avvicinandosi al nichavezzo uno per volta o in piccoli gruppetti, venivano atterrati, l’uno dopo l’altro, con colpi da squassare il cranio. Piccole barche passavano a ripescare i prigionieri svenuti prima che svanissero sott’acqua per sempre. Il Duca, nella sua misericordia, non permetteva che le lotte dei Penitenti fossero deliberatamente letali.
Per i Camorrani la violenza è un intrattenimento da aspettare con ansia, vengono organizzate delle vere e proprie feste, come la Baldoria Mobile, dove le persone muoiono combattendo tra loro o con creature marine, davanti alle esultanze del pubblico.
[…] Mezzogiorno era passato da un pezzo; le lotte dei Penitenti erano finite, e i maestri di Baldoria erano passati alle Penali Giudiziarie. Era un modo elegante di dire che gli uomini in acqua erano assassini, stupratori, schiavisti, incendiari e così via, scelti per essere giustiziati in modo pittoresco, per il divertimento della folla alla Baldoria. Tecnicamente, erano armati e la loro condanna sarebbe stata ridotta se fossero riusciti in qualche modo ad ammazzare la bestia con cui venivano messi a combattere, ma in genere si trattava di bestie tanto orribili quanto le loro armi erano risibili, perciò, per lo più, venivano giustiziati e basta.
LA DENTOMACHIA
Ingabbiati con cura, affamati e resi furibondi dal sangue, gli squali lupo sono l’elemento principale dell’evento culminante della Baldoria Mobile.
Questo amore per la violenza è sfociato, naturalmente, in un vero e proprio sport, che consiste nel combattere con degli squali enormi in mare, saltano da una piattaforma all’altra.
Alcune città hanno spettacoli di gladiatori, altre fanno combattere nell’arena uomini contro animali. Ma soltanto a Camorr si può vedere un gladiatore con armi speciali – un contrarequialla – combattere contro uno squalo vivo e balzante, e a Camorr, per tradizione, è permesso soltanto alle donne essere contrarequialla.
È la Dentomachia.
Io ho paura anche degli squali dei documentari…
GLI ORFANI
In un mondo come questo, è facile intuire quanto sia difficile la vita per un orfano, e l’autore riesce a spiegarcela perfettamente in qualche paragrafo.
PERSONAGGI
«Consiglio.» Donna Vorcenza ridacchiò. «Consiglio. Gli anni giocano una sorta di scherzo alchemico, tramutando i brontolii di una persona in una condizione di rispettabilità. Se dai consigli a quarant’anni sei una scocciatrice; se ne dai a settanta, sei saggia.»
La caratterizzazione dei personaggi in questo romanzo è concentrata soprattutto sul protagonista, come spesso accade, ma questo non significa che gli altri personaggi siano stati trascurati. Sono perfettamente a fuoco con la storia e l’ambiente che li circonda, non stonano mai e non sono mai fuori posto e riescono sempre a sorprendere e ad essere originali. Al punto che, nonostante la caratterizzazione massiccia di Locke, ho preferito soprattutto alcuni personaggi secondari.
IL FORGIALADRI
In rari momenti di vanesia riflessione, il Forgialadri pensava a se stesso come a un artista. Uno scultore, per la precisione, con gli orfani come argilla e il vecchio cimitero di Colle Ombre come suo studio.
Partiamo subito con un personaggio secondario che mi è piaciuto tantissimo sin da subito, soprattutto per la sua storia, che si incastra perfettamente con la situazione socio-economica che vi ho appena illustrato e tuttavia riesce ad essere originale, cupa, e potrebbe essere considerata come un soggetto a sé, poiché solo da essa potrebbero partire mille romanzi e storie.
CATENA
«Sorprendente.» Catena si grattò la barba. «Lo sai che balbetti e borbotti molto meno, quando spieghi come hai fottuto qualcuno?»
Catena è il personaggio che più ho preferito. È il classico saggio che compra la vita di Locke e lo addestra nel campo del furto e delle truffe, ma ad un livello diverso da quello che ci si potrebbe aspettare.
«Qui siamo un tipo diverso di ladri, Lamora. Menzogna e raggiro sono i nostri strumenti; non crediamo nel duro lavoro quando un volto falso e una stronzata ben detta possono fare tanto di più.»
Benché sia molto cinico, è capace di tirarti fuori delle frasi che rimangono impresse anche a distanza di tempo, magari tra una fumata e l’altra. Il suo essere un sacerdote, gli garantisce rispettabilità agli occhi degli altri ed un intero tempio da usare come covo e casa, per crescere i Bastardi Galantuomini, che considereranno sempre le sue parole come un punto di riferimento.
Tuttavia, ciò che ho apprezzato di più è il suo modo di fare sempre improntato al sarcasmo divertito, la sua parlata scurrile e la tendenza a prendere in giro chiunque gli rivolga la parola. Le risate che mi sono fatta leggendolo sono tantissime.
I BASTARDI GALATUOMINI
«Catena sosteneva che non c’è libertà come la libertà di essere sempre sottovalutati»
Loro sono la banda che, grazie agli insegnamenti di Catena nel corso degli anni, potrebbe governare l’intera Camorr, se volessero, ma il loro unico scopo è rubare e truffare per il gusto di farlo, inscenando inganni estremante articolati che spesso richiedono travestimenti e preparazione di molti mesi.
Ho trovato questo video fatto da una fan, davvero bellissimo.
CIMICE
No, la prudenza era fuori discussione. Cimice doveva vincere. La presenza di quel mucchio di immondizia rendeva alquanto possibile una grande e magnifica stupidaggine.
Lui è il più piccolo della banda, ha circa 12 anni e proprio per questo è impulsivo, avventato, non gli piace stare in disparte e non pensa bene alle conseguenze delle sue azioni. Il classico adolescente. Non mi colpito particolarmente, anche se è divertente il modo in cui i fratelli maggiori ci scherzano.
Cimice si dimenava nel canale, visibile solo dalle braccia in su. Il globo luminoso di Jean aveva toccato l’acqua a poco meno di un metro a destra della sua testa; Cimice era saltato nell’acqua per conto proprio.
Accidenti, quel ragazzo sembrava costituzionalmente incapace di restare a lungo in alto.
I FRATELLI SANZA
«I fratelli non avevano mai incontrato qualcuno che stesse al loro pari quanto a malizie», confidò Catena mentre lui e Locke stavano seduti sui gradini, in una giornata particolarmente fiacca. «Adesso ti tengono d’occhio. Quando cominceranno a venire a chiederti consiglio, be’… Allora saprai di averli domati.»
Locke aveva sorriso senza dir nulla; proprio quella mattina Calo aveva offerto a Locke di aiutarlo con le addizioni se il più piccolo dei Bastardi Galantuomini si fosse deciso a spiegare ai gemelli come faceva a individuare tutte le piccole trappole che piazzavano sulle porte e a renderle inoffensive.
Loro sono i classici tontoloni dal cuore tenero, se Locke è la mente, loro sono il braccio che esegue. Anche loro rimangono ben saldi al loro ruolo, senza mai strabordare ma nemmeno spiccare.
JEAN TANNEN
«Cazzo, dammi un po’ di credito, ho quattro volte la tua età, Jean. Tu non bruci sotto la cenere e non fai minacce; semplicemente ti raffreddi, e poi fai succedere le cose. Certa gente è fatta per le situazioni dure.»
Lui è il personaggio più completo tra i Bastardi Galantuomini, non solo a livello di capacità ma anche di caratterizzazione e spessore. Essendo di corporatura robusta sin da bambino e con un carattere calmo ma facilmente infiammabile, Catena fa in modo che impari a combattere e a difendere, inoltre, provenendo da una famiglia di mercanti, è abituato a studiare e a documentarsi. Ma l’autore non si è limitato solo a dargli funzioni utili.
LOCKE LAMORA
«Quando uno come te dà una spinta al mondo, il mondo reagisce spingendo. È probabile che altre persone si facciano male.»
Ed ecco qui il nostro protagonista, quello su cui Lynch ha concentrato tutte le sue capacità. Locke è un personaggio che incuriosisce sin da subito, soprattutto perché all’inizio del romanzo sono gli altri a parlare di lui, e contribuiscono a creare un’immagine molto esagerata, da cui anche il lettore stesso viene influenzato.
«[…] Se avesse uno squarcio sanguinante in gola e un doktore stesse cercando di ricucirlo, Lamora ruberebbe ago e filo e morirebbe ridendo. Ruba… troppo.»
Già solo un ladro che non ruba per necessità ma quasi per una vera e propria dipendenza, già da piccolino, basterebbe ad incuriosire un lettore, ma c’è ben altro.
E anche qui, esattamente come per Jean, oltre a fornirgli abilità che lo caratterizzano, l’autore si occupa anche di ciò che c’è dietro, di ciò che ha permesso a certe abilità di svilupparsi così tanto. Ma Scott Lynch non si sofferma molto sull’approfondimento psicologico dei personaggi, non vuole spiegarci il perché, ma il come.
LIMITI
Spesso siamo abituati ad eroi a tutto tondo, capaci di cavarsela in ogni situazioni perché in qualche modo speciali. Quindi, vedere un personaggio con dei veri e proprio limiti, a cui non basta allenamento o miracoli dal cielo per superarli, è stata una ventata di aria fresca.
«Sappiamo entrambi che hai molteplici talenti, Locke, veri e propri doni per moltissime cose. Perciò devo dirtelo chiaro e tondo: quando si passa ai fatti con un nemico reale, di te non resta altro che un paio di brache zuppe di piscio e una macchia di sangue. Puoi uccidere, certo, questa è verità degli dei, ma non sei proprio fatto per gli scontri diretti, faccia a faccia. E lo sai, giusto?»
Locke è geniale, tuttavia non sa combattere. Non ha né il fisico adatto né le capacità per vincere uno scontro diretto. Non ha prestanza fisica o capacità che intimidiscono gli avversari e non ha un’arma speciale trovata chissà dove che lo protegge. Adoro questa cosa. Anche perché rende la presenza di Jean e di altre persone necessaria, in quanto le abilità di più persone si compensano e vengono utilizzate per raggiungere i vari scopi.
TRAMA
«[…] Ma non è quello che vedo io. E io vedo un gatto con la zampa sopra la coda di un topo. E, se il gatto non ha ancora estratto gli artigli, non è a causa di qualcosa che ha fatto il topo. Non capisci?»
Con una situazione socio-economica e personaggi di questo genere, la trama si può già intravedere, ma vi assicuro che, qualunque cosa stiate immaginando, nel romanzo sarà molto più complesso. Perché Scott Lynch ha l’abilità di raggirare il lettore allo stesso modo in cui Locke fa con le sue vittime. Ci fa convincere di qualcosa e proprio nel momento in cui siamo sicuri di aver capito, le carte sul tavolo cambiano, rivelando un quadro più ampio e complesso.
Nelle recensioni vi dico spesso che, per alcuni romanzi, se ci sedessimo ad un tavolino (io sicuramente starei mangiando) e vi raccontassi la trama, ci metterei poco, anche con le mie scarse abilità riassuntive. In questo caso, la trama è talmente complessa che non basterebbero colazione, seconda colazione, pranzo, merenda, cena, spuntino di mezzanotte e partita a scacchi bendati.
Pennacchio.
GLI INGANNI
«Il mio nome è Lukas Fehrwight», dichiarò Locke Lamora. La voce era netta e precisa, ripulita delle inflessioni naturali di Locke; aveva sovrapposto una traccia di aspro accento Vadran a una lieve rifinitura del suo dialetto camorrano nativo, come un oste che miscela liquori. «La roba che ho addosso sarà zuppa di sudore tra pochi minuti. Sono tanto stupido da girare per Camorr senza lame di sorta. E inoltre sono totalmente fittizio», aggiunse con una traccia di ponderato rammarico.
«Mi dispiace molto apprenderlo, Mastro Fehrwight, ma almeno abbiamo la barca e il cavallo pronti per la vostra splendida passeggiata», replicò Calo.
Locke scese cautamente verso il bordo della chiatta, ondeggiando sui fianchi come chi sia appena sceso da una nave, non ancora avvezzo a superfici che non si inclinano sotto i suoi piedi. La schiena era dritta come una freccia, i movimenti quasi schifiltosi. Indossava i vezzi di Lukas Fehrwight come abiti invisibili.
«Il mio accompagnatore arriverà da un momento all’altro», disse Locke/Fehrwight salendo a bordo della chiatta. «Si chiama Graumann, e soffre anch’egli di una lieve forma di inesistenza.»
«Benedetti dei, dev’essere contagioso», commentò Calo.
A parte le dinamiche scherzose tra i Bastardi Galantuomini, che ho apprezzato in più di un’occasione, l’elemento fondamentale del romanzo, come suggerisce anche il titolo, sono gli inganni.
Ci vuole una grande abilità per far sembrare credibile qualcosa che noi non saremmo capaci di fare in nessun caso, e l’autore ci è riuscito pienamente. Che molti elementi siano esagerati è evidente, ma l’autore ci ha informati sin da subito della tendenza di Locke a voler strafare, a mostrare le sue acrobazie mentali andando oltre la pura e semplice funzionalità, quindi rientra perfettamente nel contesto.
INGANNO NELL’INGANNO
«Certo, certo.» Erano cerchi scuri quelli che aveva sotto gli occhi? C’era una seppur minima traccia di cautela nel suo atteggiamento verso di lui? Di sicuro, la signora non si sentiva a suo agio. Locke si annotò mentalmente di non spingerla troppo in là e troppo in fretta. Era una danza delicata, recitare le battute e i sorrisi giusti con qualcuno che sapeva che lui era un commediante, ma non sapeva che lui sapeva che lei sapeva.
Qui si sfiora la follia, o la genialità, a seconda dei punti di vista. Non scherzavo quando dicevo che l’autore cerca di convincerci di aver capito, poi ci toglie la sedia da sotto il posteriore e ci dice quanto siamo stati poco intelligenti a non esserci arrivati, più o meno la sensazione che dà è questa, soprattutto nella prima parte, nella seconda la situazione diventa di più umana intuizione ed io da brava secchiona ho anticipato varie cose, ma immagino che mantenere lo stesso tenore a strati per tutto il romanzo alla lunga avrebbe stancato il lettore e mandato in psichiatria l’autore.
“ALCHEMICO” IS THE NEW “PERCHÉ SÌ”
Era illuminato soltanto dal bagliore pastello di Falsaluce e dai blandi tentativi di un globo alchemico bianco smerigliato, piazzato in equilibrio instabile proprio sopra la piastra d’acciaio che teneva il sacerdote Senzocchi incatenato al muro del santuario.
E qui entriamo nei punti dolenti di questo romanzo.
Per quanto io possa apparire rompiballe, non pretendo che ogni cosa mi venga spiegata nei minimi dettagli e in modo assolutamente realistico o scientifico, specialmente se non rientra nei fini della trama. Mi basta che l’autore sia convincente, ed io mi lascio prendere in giro senza troppi problemi, mi adatto; ma dall’essere convincenti, ad appiccicare la parola “alchemico” accanto ad ogni cosa tecnologica fuori dal tempo che non sai spiegarmi, ce ne vuole.
Calo e Galdo lavoravano intorno a un piano di cottura in mattoni, maneggiando tegami e battendo coltelli su un’enorme lastra alchemica bianca sul focolare. Locke aveva visto blocchi più piccoli di quella pietra, che emanava un calore privo di fumo quando vi si gettava sopra dell’acqua, ma quella doveva pesare quanto padre Catena.
Ci sta che in questo mondo l’alchimia possa aver fatto passi da gigante rispetto alla tecnologia, e posso anche non soffermarmi troppo sulla reale definizione di alchimia o sulla credibilità di applicazione. Ma in questo romanzo l’alchimia viene usata nell’illuminazione, nella cucina, si possono creare ibridi di piante e animali o anche solo per un fattore estetico. Ha inserito la parola anche in posti in cui non centrava nulla:
Tali pacchi contenevano dolciumi di zucchero filato di insuperabile qualità e delicatezza, leccornie che neppure i vostri rinomati cuochi camorrani hanno mai concepito: canditi cavi con cuore di crema alchemica… Pasticcini alla cannella con glassa al brandy Austershalin di Emberlain… Meraviglie.
Il problema qual è?
L’autore, usando questo pretesto per non doverci spiegare nulla, ci ha preso un po’ troppo la mano e ha esteso questo metodo in tutti i campi, senza distinzione alcuna. Addirittura si può ritardare la decomposizione di un corpo.
Il fatto era che il corpo giaceva ancora nelle sue vecchie stanze […], rinchiuso tra le lenzuola di seta alchemicamente trattate per impedire che la decomposizione iniziasse troppo presto.
Avete idea di cosa comporterebbe una reale applicazione dell’alchimia in modo così massiccio? Se si può ritardare la decomposizione di un corpo, automaticamente il settore medico potrebbe subire un’impennata nello sviluppo, cosa che nel romanzo non si è vista.
L’albero – un ibrido alchemico che dava sia limoni, sia lime – era curato da una donna di mezza età e tre bambini piccoli, che sgambettavano tra i rami gettando giù frutti in risposta alle richieste delle barche di passaggio.
Visto che è così semplice creare ibridi da cucinare, cosa impedirebbe qualcuno di creare ibridi pericolosi? O di elevare “alchemicamente” un essere umano? Capite che un concetto usato così alla leggera, senza restrizione alcuna, permette a molti dubbi di insinuarsi.
Quello è un gatto alchemico
Aprì le mani e lasciò cadere a terra un oggetto; era un pezzo di corda annodata, grigia come il carbone, con filamenti bianchi sporgenti da un’estremità. Torcimiccia alchemica: quando i fili bianchi venivano esposti all’aria per alcuni secondi, producevano scintille e accendevano la corda grigia più pesante, a combustione più lenta, nella quale erano avvolti.
Qui ha provato a spiegarci qualcosa, ma solo perché altrimenti non avremmo capito la scena successiva. Ma ci pensate a quali armi si potrebbero creare, con questi presupposti? E invece questi combattono ancora spadino-spadino.
I tronchi erano di un nero fondo e uniforme, e le fruscianti cascate di foglie erano di un color smeraldo innaturale, lucente come lacca: testimonianza apparente della fine scienza botanica alchemica.
Certo, finissima proprio.
MAGIA LALLERULALLÀ
«Sembri un insetto buttato nel fuoco. E questo è il più elementare esercizio della mia Arte. Quello che potrei farti, se dovessi cucire il tuo vero nome nella stoffa o fissarlo sulla pergamena… ‘Lamora’ non è il tuo nome di nascita, ovviamente; vuol dire ‘ombra’ in Therin del Trono. Ma il tuo primo nome, be’… Quello basterebbe, se io desiderassi farne uso.»
E qui c’è il secondo problema derivante dalle scelte forse un po’ troppo superficiali dell’autore. Io lo so che non sono tutti Rothfuss, chi ci tiene a spiegare la sua magia con rigore scientifico, perché capirne il meccanismo influenza la comprensione della trama, io non pretendo che tutti siano così precisi; però una cosa fondamentale, quando crei la magia, sono i suoi limiti. E anche qui non ce ne sono, addirittura basta sapere il nome di nascita di qualcuno per fargli fare delle cose terribili, ma quindi cosa impedisce il primo mago di turno a raggiungere una persona che conta e fargli fare quello che lui desidera? Tutto lo sbattimento della trama non avrebbe senso.
STILE
Secondo un antico proverbio camorrano, l’unica costante nell’animo umano è l’incostanza: tutto può passare di moda, perfino una cosa funzionale come una collina piena zeppa di cadaveri.
Lo stile di questo romanzo non è di difficile comprensione, ma richiede molta attenzione. Non è certo un romanzo che si può leggere in spiaggia o quando si è stanchi. Data l’alta densità di dialoghi e i continui rimandi sensoriali, soprattutto l’olfatto, il mostrato è molto più presente rispetto al raccontato, questo rende tutto più vivido ma al tempo stesso richiede un lavoro non indifferente da parte dell’immaginazione del lettore.
IL MOSTRATO
Ho apprezzato molto alcuni elementi mostrati che l’autore ci ha presentato, che sarebbero stati molti più semplici da presentare in raccontato ma che, come spesso accade, tramite il mostrato sono più a fuoco e rimangono più impressi.
SALTI TEMPORALI
Senza dubbio il lato più complesso del romanzo sta nel fatto che è completamente costituito da salti temporali.
Un capitolo è ambientato in una fascia di tempo ben precisa, dentro la quale l’autore spazia ulteriormente con paragrafi che si distanziano tra loro avanti e indietro anche di anni. Sono tutti ben studiati, l’ordine e i fatti non sono certo lasciati al caso, però è innegabile che gestirli e riordinare temporalmente ogni fatto richiede un minimo di impegno e attenzione.
BEI DIALOGHI
«È stato un incidente», disse Locke infine. «Sono stati entrambi incidenti.»
«Scusa? Devo averti sentito male.» Gli occhi di padre Catena si strinsero nel debole bagliore rosso della minuscola lampada di ceramica di Locke. «Giurerei che hai appena detto: ‘Buttami dal parapetto, sono un piccolo casinista inutile e sono pronto a morire in questo stesso istante’.»
I dialoghi sono forse l’elemento di stile che in generale apprezzo molto nei romanzi, e in questo in particolare ho apprezzato tantissimo. Adoro i dialoghi accattivanti, che mostrano e vanno oltre la frase di per sé. In questo romanzo rappresentano alla perfezione le dinamiche e i rapporti tra i vari personaggi. Mai sbavatura o una frase poco incline al personaggio, ogni parola e parolaccia è studiata nei minimi dettagli.
«Cazzarola», esclamò Conté, del tutto incapace di trattenersi quando le cifre in gioco svanirono sul suo orizzonte mentale. «Vi chiedo perdono, Donna Sofia.»
«E fai bene.» La signora prosciugò il bicchiere in un solo rapido, poco femminile sorso. «Hai sbagliato i calcoli. Questo merita un cazzarola triplo, come minimo.»
«Diavolo, sì», gridò Cimice. «Lo sapevo che c’era un motivo, se ti lascio comandare questa banda!»
«Be’, non posso discutere con la manifesta saggezza del ragazzo che salta giù dai tetti dei templi», disse Jean. «Ma mi auguro che tu abbia preso nota della mia opinione.»
«Alquanto», replicò Locke. «Preso nota, ricevuto, apprezzato e debitamente considerato con estrema serietà. Sigillato, autenticato e saldamente impresso sulla mia essenza razionale.»
«Dei, questa faccenda ti mette proprio allegria, vero? Usi un frasario del genere solo quando ti senti davvero raggiante nei confronti del mondo.»
Io quando mi piacciono i dialoghi
FINE DI CAPITOLI E PARAGRAFI BEN COSTRUITA
«Ci vediamo tra un bel po’. Jean, riposa bene. Mastro Ibelius, somministrate a Jean le vostre materne attenzioni; spero di tornare con ottime notizie.»
«Mi accontenterò che torniate»
Un’altra cosa che adoro, come abbiamo già visto nella recensione de Il libro senza nome, sono i finali di capitoli e paragrafi ben costruiti.
Penso che più la frase finale sia accattivante, più il lettore sia spinto a leggere il capitolo successivo. E non serve per forza un colpone di scena ogni volta, come se fosse un romanzo a puntate, basta anche solo una frase che dia il ritmo giusto, da cui il lettore faccia fatica staccarsi. E in questo caso frasi del genere abbondano.
«Il ragazzo ha fatto qualcosa di cui non puoi nemmeno parlare di fronte agli altri?» Catena si massaggiò la fronte sopra la benda e sospirò. «Merda. Sembra che questa storia possa interessarmi, in effetti.»
«[…] Fra tutte le lagnanze, non avrei mai pensato di sentir questa da uno che vive addestrando piccoli ladri.»
«Aspetta a ridere, adesso viene il bello.»
IL NARRATORE
Locke non disse nulla, denti serrati e labbro inferiore proteso. Stizza, il linguaggio naturale non verbale dei giovanissimi.
Chi ha letto le mie precedenti recensioni sa che nelle mie lotte vengono coinvolti non solo i protagonisti senza cervello, ma anche i narratori seccanti. E per me che mi secco facilmente e vedo ogni direttiva come un tentativo di indirizzarmi è davvero difficile che un narratore onnisciente mi vada a genio. Ma questo è proprio uno di quei casi. Adesso vi illustro le sue caratteristiche:
SCURRILE
Penitenzadì era tradizionalmente il giorno delle impiccagioni a Camorr; ogni settimana un tetro gruppo di prigionieri veniva portato fuori dal Palazzo della Pazienza, circondato da sacerdoti e guardie. L’ora del salto era mezzogiorno.
All’ottava ora del mattino, quando i funzionari nel cortile del palazzo spalancarono le loro imposte di legno e si prepararono a ripetere per una lunga giornata «Vaffanculo in nome del Duca» a tutti i convenuti, tre iniziati di Perelandro in tunica spinsero nel cortile uno stretto carrettino di legno.
Non sono una fan delle parolacce, nella vita di tutti i giorni raggiungo livelli di sboccatezza anche piuttosto alti, ma nella scrittura non ne sento l’esigenza. A meno che non sia “utile”, come in questo caso. Visti gli argomenti trattati, un narratore sarcastico e un po’ scurrile alleggerisce di molto l’atmosfera altrimenti molto oppressiva e soffocante. Inoltre a me ha fatto ridere spesso.
Don Lorenzo e «Mastro Eccari» si scambiarono ancora un po’ di convenevoli; infine Galdo si lasciò infilzare dalla versione più educata possibile di un «Grazie, ma togliti dai coglioni».
INTERVIENE E SI FONDE SENZA PESARE
Per lo stesso motivo, un suo intervento sarcastico e/o sboccato tra i dialoghi aiuta anche a farli rimanere più impressi.
«Ho amici potenti, miei cari. Ciò che offro è sicurezza per virtù di tali amici. Dovesse qualcuno, un mercante di schiavi, per esempio, osar toccare uno dei miei ragazzi o ragazze di Colle Ombre, be’, le conseguenze sarebbero immediate e piacevolmente… inesorabili.»
Nessuno dei nuovi arrivati pareva adeguatamente entusiasta, sicché il Forgialadri si schiarì la gola. «Farei ammazzare quel miserabile bastardo del cazzo. Mi spiego?»
In effetti si era spiegato.
DESCRIZIONI ORIGINALI MA NON MOLTO CHIARE
Le descrizioni lunghe e troppo esaustive tendono a mettere sonno al lettore, perché alla sua immaginazione non è chiesto di fare nulla, quindi, quando l’autore invece di imboccare il lettore lascia solo delle direttive o frasi evocative, il lettore è diretto partecipe nella narrazione. Trovare un equilibro tra funzionalità e originalità è molto difficile, e in questo caso l’originalità ha spesso spiccato di più rispetto alla vera effettiva funzione, cioè far capire al lettore come è fatto il soggetto descritto.
Jean sogghignò, mostrando due file di denti storti da habitué delle risse su una faccia che aveva l’aria di essere stata piazzata sopra un’incudine da qualcuno, nel tentativo di darle un aspetto più piacevole a martellate.
Locke era un uomo medio sotto ogni aspetto: altezza media, corporatura media, capelli mediamente scuri tagliati corti su una faccia che non era né bella né memorabile.
Ogni grinza e ruga sul suo volto pareva franare costantemente verso terra, come se fosse stato modellato da un dio leggermente brillo, che aveva pressato la mortale creta un po’ troppo in giù.
La vecchiaia ha il vizio di esagerare i tratti fisici di quanti ne hanno sopportato le pressioni; i pingui tendono a rimpinguare e i magri a consumarsi. Il tempo aveva ristretto Angiavesta Vorcenza; non era tanto avvizzita quanto franata, una rachitica caricatura vivente, come un idolo di legno animato dalla stregoneria di una pura e semplice forza di volontà.
Questa mi è piaciuta, ma scomodare vecchiaia, tempo, stregoneria e idoli religiosi per dire che era molto secca e piccola mi sembra un po’ esagerato.
BELLE SIMILITUDINI
La voce era netta e precisa, ripulita delle inflessioni naturali di Locke; aveva sovrapposto una traccia di aspro accento Vadran a una lieve rifinitura del suo dialetto camorrano nativo, come un oste che miscela liquori.
Se con le descrizioni l’autore tende un po’ a perdersi, nelle similitudini dà il meglio di sé. Come in tutto ciò che è mostrato, senza essere mai banale Scott Lynch ha l’abilità di evocare nella nostra mente ciò che esattamente intende.
La schiena era dritta come una freccia, i movimenti quasi schifiltosi. Indossava i vezzi di Lukas Fehrwight come abiti invisibili.
Portava la riga in mezzo e i capelli erano mantenuti statici da un denso olio nero. Mai seducenti, ora somigliavano a due cuscinetti di lana arcuati sopra la fronte come il tetto di un caseggiato.
Cimice pensò più in fretta di quanto avesse mai fatto in vita sua, col cuore che batteva così rapido che gli pareva di sentir sfogliare le pagine di un libro contro i polmoni.
L’uomo con la cicatrice sorrise, in modo sinistro e falso, come potrebbe sorridere un uomo senza figli che cerca di confortare un bambino piangente.
Locke dedicava due ore alla lettura e all’arte amanuense ogni giorno; i suoi sgorbi diventavano più fluidi passo dopo incerto passo, finché i fratelli Sanza non annunciarono che non scriveva più «come un cane con una freccia nel cervello».
Ci sono solo un paio di eccezioni, con similitudini per niente calzanti.
Silenziosi come mariti colpevoli che tornano a casa dopo una notte di bevute, attraversarono furtivi le stanze buie piene di strumenti da laboratorio e piante in vasi, scendendo a piccoli passi le strette scale di pietra che portavano a un corridoio laterale al terzo piano.
Loro sono dei ladri professionisti e l’autore vuole sottolineare quanto siano attenti e silenziosi, che senso ha prendere come esempio un marito ubriaco lercio che come minimo tornando a casa rovescerebbe tre sedie appena entrato?
Il ragazzo respirava a fatica e sudava a fiumi. Era come se qualcuno continuasse a imbottirlo di cotone asciutto dietro i bulbi oculari.
FINALE
«Quale ladro non combatte per tenere quello che ha?»
«Uno che ha qualcosa di meglio»
Questa serie è stata concepita per essere formata da sette volumi, di cui l’autore ha scritto per adesso solo i primi tre. Tuttavia, nonostante sia solo il primo libro, il finale ha dato molte soddisfazioni, e a lasciato aperti un sacco di dubbi e curiosità al lettore che probabilmente saranno chiariti almeno in parte nel secondo capitolo, “I pirati dell’oceano rosso”, che non vedo l’ora di leggere.
Io in biblioteca mentre cerco inutilmente il seguito…
CONCLUSIONE
«Ma il tempo è un fiume, Locke, e ci porta sempre più lontano di quanto pensiamo.»
Un romanzo di un’intelligenza impressionante, dove anche le cose più complesse riescono ad essere rese nel modo più semplice. Se vi attira lo stile accattivante, i personaggi originali, oppure volete mettere in modo meccanismi del cervello che neanche pensavate di avere o magari avete voglia di leggere qualcosa di totalmente diverso dal solito, ve lo consiglio.
Voto: 8,50/10