«Qualcun altro vive qui, zio?», chiesi titubante.
«Vive?», chiese stranamente lo zio. «No, Edgar».
Titolo: Le terrificanti storie di zio Montague
Titolo originale: Uncle Montague’s Tales of Terror
Serie: Tales of terror #1
Autore: Chris Priestley
Illustratore: David Roberts
Editore: Newton Copton
Pagine:
Prezzo: Ebook 3,99€
Reperibilità: Usato oppure in ebook
Dal web
Il signor Montague vive da solo in una grande casa piena di oggetti bizzarri e soprammobili di ogni sorta. Il piccolo Edgar attraversa spesso l’oscuro bosco che separa la sua casa da quella dello zio per andarlo a trovare, e rimane ogni volta incantato dalle terrificanti storie che il vecchio gli racconta. Ne conosce proprio tante, in effetti, una più spaventosa dell’altra, e tutte sembrano tornargli in mente quando vede o tocca uno degli stravaganti ninnoli che arredano la sua casa. Ma Edgar sente che quelle storie non possono essere solo frutto della fantasia e si domanda se non nascondano una verità più sinistra e inquietante. Chi è davvero lo zio Montague? E chi sono quegli strani bambini che cercano di entrare nella sua grande casa? In una caleidoscopica collezione di brevi racconti del brivido che si inseriscono in una trama più ampia, altrettanto paurosa, Priestley ci regala una perla nel panorama degli horror tales.
Oddio, non esageriamo.
Chi ha letto le precedenti recensioni forse noterà, guardando lo stile della copertina, una certa somiglianza con Gli incubi di Hazel (Recensione: QUI).
Sì, ahimè, forse una sola delusione non mi era bastata.
Io sono sempre alla ricerca di libri insoliti, magari anche poco conosciuti, che possano darmi soddisfazione e originalità. Nei meandri di Goodreads, sono stata attratta come un procione poco sveglio dal titolo e soprattutto dalla parola “Terrificanti”.
Non mi aspettavo di non dormire la notte per la paura, ma nemmeno di leggere tutto il libro nella modalità “turtle face” di Nick Miller.
TRAMA
Io e lo zio eravamo molto legati, ma sapevamo entrambi cos’era a portarmi da lui: la fame, la fame di storie.
La storia principale di questo romanzo è molto semplice, forse anche troppo. Al punto da illudermi che, forse, andando avanti con la narrazione sarebbero venuti fuori degli elementi che l‘avrebbero arricchita e resa più originale.
CLICHÉ
Si tratta di un romanzo per ragazzi, lo so, ma questo non è, come molti credono, sinonimo di qualità bassa, anzi. I bambini spesso sono più svegli di noi nel notare certe cose e, soprattutto adesso, hanno visto davvero di tutto. Quindi quando dico che questo romanzo è straripante di cliché, è un problema che abbraccia tutte le età.
I BAMBINI DEL VILLAGGIO
A volte avevo compagnia durante il tragitto. Di tanto in tanto i bambini del villaggio si aggiravano furtivi nei paraggi. […] A volte li vedevo tra gli alberi, come successe quel giorno. Non si avvicinavano e non dicevano una parola. Restavano nell’ombra, in silenzio.
Questo elemento, se non fosse stato trattato in maniera così goffa e ridondante, forse poteva essere interessante. Ma già dalla prima riga che parla di questi bambini si può capire di cosa si tratta e no, non c’è nessun colpo di scena che cambia le carte in tavola all’ultimo.
GLI OGGETTI
«Come ormai avrai capito», continuò, «gli oggetti che ci circondano sono… come posso dire? Sono posseduti da una curiosa energia. Riecheggiano del dolore e del terrore cui sono stati associati. Il mio studio ne è diventato il ricettacolo. Colleziono cose che nessuno vuole, Edgar: ciò che è infestato, funesto…dannato».
Anche qui, l’autore non riesce a tenersi le cose per sé, pensa che il lettore non ci arrivi a certe cose e quindi, oltre che mettere pulci grandi come un procione (sì, oggi mi sono fissata con i procioni) e ripeterle all’infinito, dopo un po’ ci spiattella tutto.
Anche questi oggetti potevano essere un elemento interessante, ma è stato trattato in maniera troppo goffa.
PERSONAGGI
«È tutto apposto, Joey», disse sua madre. «Non preoccuparti. Tornerà.»
Ma non tornò.
Quali personaggi? Non ne ho visti proprio in questo libro. Sono tutti burattini in balìa degli eventi o che si modificano di continuo per far procedere la narrazione in un certo modo.
ZIO MONTAGUE
Pur essendo un uomo di mondo, era incantevolmente schivo alle volte.
Zio Montague è, come lui stesso si definisce, un semplice narratore. Lui vive di storie, racconta storie, è lui stesso una storia. Oltre questo c’è ben poco.
EDGAR
«Ah», disse lo zio. «Questo è un Arthur Weybridge».
Quel nome non mi diceva niente, ma inarcai un sopracciglio e cercai di mostrarmi colpito.
Con il bambino, l’autore sembra essersi impegnato un po’ di più. Senza mai uscire troppo dal già visto eh, non c’è pericolo riguardo quello, ma almeno un minimo di lavoro dietro sono riuscita a scorgerlo. Però io personalmente ho faticato a rimanere seria anche solo per via del nome, che mi ricordava il maggiordomo de Gli Aristogatti.
Già questo dimostra quanto mi abbia preso questo libro.
Come gli stessi protagonisti del romanzo, nemmeno Edgar incarna l’ideale di bambino buono e innocente, ed è una cosa che ho molto apprezzato. Fa pensieri di convenienza, è snob nei confronti dei bambini all’apparenza meno abbienti, non è affezionato allo zio in quanto persona ma alla sua abilità nel raccontare storie.
Inoltre, ho apprezzato l’intento dell’autore a volersi ricollegare all’infanzia del lettore, stimolando le corde giuste riguardanti la paura e l’immaginazione.
IMMAGINAZIONE-PAURA DEI BAMBINI
Adesso quei cupi cespugli si stagliavano malevoli nei pressi della casa, esortando l’immaginazione a intravedere nelle loro fogge deformi l’accenno di una dentatura, la traccia di un’ala coriacea, l’illusione di un artiglio o di un occhio.
Quanto spesso è più la nostra immaginazione a spaventarci più della realtà? Nei bambini questo succede ancora più di frequente e l’autore è stato bravo nel farcelo ricordare.
Mentre zio Montague attraversava la casa piena di spifferi, il lume di candela accresceva il mio nervosismo: il suo passaggio ondeggiante creava ogni sorta di ombre grottesche che danzavano e saltellavano di qua e di là, dando l’inquietante impressione che acquisissero vita propria e se la squagliassero per nascondersi sotto i mobili o strisciassero rapide sulle pareti per imboscarsi in qualche angolo del soffitto.
Ad esempio io da piccola ero terrorizzata dal water. Ero convinta che lui dormisse, infatti stavo attentissima a fare i bisognini in silenzio, inoltre sapevo che tirando lo scarico lo avrei svegliato e quindi mi avrebbe urlato contro, perciò ogni volta premevo il pulsante e subito fuggivo via velocissima.
Già, ero così strana già da allora.
Come forse pensavo sarebbe finita.
CURIOSITÀ- PAURA DEI BAMBINI
Ciò nonostante, infantile com’ero, mi giravo un’altra volta mentre mi accingevo ad attraversare il recinto, nella speranza (o forse nel timore) di avvisare qualcuno…o qualcosa. Ma non accadde mai.
Un’altra cosa molto frequente nei bambini è la curiosità che entra in contrasto con la paura.
Ad esempio da piccola avevo paura dei film horror (e di E.T., ne ero terrorizzata), eppure quando mia madre li guardava, io ero sempre dietro la porta a sbirciare. Ho rimediato un bel po’ di traumi nel corso degli anni.
Adesso ovviamente adoro i film horror e sono fissata con gli alieni, è col water che ho ancora dei problemi.
LE STORIE
«Allora, Edgar», disse zio Montague. «Il racconto è riuscito a mutare in qualche modo la tua opinione riguardo ai contatti tra i vivi e i morti?»
«Be’», dissi. «Con tutto il rispetto, no. Dopotutto non è altro che una storia».
«Non è altro che una storia?», disse mio zio con una violenza improvvisa he mi fece cadere la bambola in grembo. «Non è altro che una storia? È questo che pensi? Che questi racconti siano mie invenzioni?»
«Be’…si…pensavo lo fossero. TI chiedo scusa, se ti ho offeso».
«No, Edgar», disse zio Montague con un sospiro. «Sono io che mi scuso per averti aggredito. Cosa penserai adesso? La rimetto apposto». Allungò la mano per prendere la bambola. «A una signora non piace essere fissata».
Le pulci di Priestley
Se l’impostazione del romanzo è molto banale, con le storie un po’ la situazione migliora. Ma giusto un po’.
Molte si assomigliano tra loro per alcuni elementi, ad esempio le case inquietanti o gli alberi. La morale c’è ed è sempre abbastanza scontata, come il non dare confidenza agli estranei, non disubbidire agli adulti, non scappare di casa, non rubare ecc…
Nel complesso, su nove storie, forse solo tre mi sono piaciute davvero.
NON SALIRE
«E chi non prova soggezione al cospetto di una grande quercia o di un acero o di un olmo che si staglia solitario come un gigante afflitto?» Tamburellò le dita e scorsi il suo sorriso rapace nell’ombra. «Conosco una storia su un albero del genere,» disse mio zio. «Ti andrebbe di ascoltarla, Edgar?»
Joseph si è trasferito da poco in una casa inquietante con un grande olmo al centro del giardino. Tutto l’universo si impegna fargli capire che, forse, sarebbe il caso di non salire su quell’albero.
«Sai cosa si dice degli olmi, ragazzo?», disse il vecchio, con un sorriso sgradevole. «“Gli olmi odiano l’uomo e aspettano”. Perciò stagli alla larga!»
Inutile dire che l’epilogo è abbastanza scontato.
LA NON-PORTA
«Hai usato il verbo “sostenere”, Edgar», disse zio Montague. «Sei scettico, quindi?»
«Ho sentito raccontare che c’è chi dice di avere simili poteri, ma sono impostori e illusionisti, zio. Non penso sia possibile parlare con i morti».
Zio Montague sorrise e annuì, picchiettando i polpastrelli e sprofondando di nuovo nell’ombra.
«Un tempo l’avrei pensata come te», disse, fissando la finestra. […] «Ho una storia su questo argomento che ti potrebbe interessare, Edgar», disse. «Forse ti farà cambiare idea».
Harriet e Maud sono due criminali che si fingono medium per ingannare le signore ricche e rubare nelle loro case. Capiteranno, indovinate dove? In una casa più inquietante del solito.
Tornata al pianterreno, alla sua sinistra vide due porte che prima non aveva notato e si chiese se valesse la pena entrare a dare un’occhiata. Girò la maniglia della porta di sinistra. Nel medesimo istante, una voce alle sue spalle la fece sobbalzare.
«Se fossi in te non entrerei.»
In questa storia oltre ad essere punito il furto e la truffa, viene anche condannata l’eccessiva curiosità.
Il finale è scontato riguardo le sorti dei personaggi, ma la messa in pratica è interessante.
LA SCULTURA DEL DEMONE
«Ma cos’è, zio?»
«Suvvia, Edgar, è un demone, ovviamente»
«Sì, zio», dissi. «Intendevo dire…perché è tanto importante?»
«Per questo è importante», rispose con tono più solenne. «Perché è un demone».
Attesi invano che mio zio aggiungesse dei particolari a quella oscura asserzione.
«C’è qualche storia che ha a che vedere con quest’incisione, zio?»
Questa è la prima storia ad essermi davvero piaciuta.
Thomas ruba ad un rigattiere una piccola statuetta di un demone, liberandolo senza saperlo da una maledizione e riversandola su di sé. Adesso quella statuetta non lo lascerà mai, in nessun modo e gli sussurrerà di continuo pensieri negativi, informazioni che sarebbe meglio non sapere e lo istigherà a fare cose tremende.
«Guardala, Thomas!», gridò il demone. «Se ne sta lì come una pia donna, ma è esattamente come gli altri. Ho vissuto tra gli uomini per secoli e sono tutti uguali, Thomas. Sono interessati solo alle apparenze, sono mele marce che nascondono il verme che portano dentro».
Ho adorato il senso di impotenza che traspariva in questa storia, unito alle parole della statuetta, che fanno riflettere molto su quanto sia sottile la linea tra le cose che vogliamo sapere e quelle che sarebbe meglio lasciare nell’ombra.
«Sì, invece!» strillò Thomas. «Gli volevo bene!». Ma subito dopo averlo detto, ne dubitò.
«No che non gli volevi bene», disse il demone con una risatina. «Per niente. Neanche un po’. La verità, Thomas, è che non vuoi bene a nessuno. Nemmeno a te stesso. Non è così?».
LE OFFERTE
Non sono un esperto di pittura e da ragazzo non ero certo un grande estimatore d’arte, ma quel quadro mi sembrò piuttosto bello, malgrado col tempo la vernice si fosse offuscata rendendo la scena, che ritraeva una bella casa circondata da giardini, più cupa di quanto forse avesse inteso l’autore. I giardini sul retro, in particolare, erano quasi neri. Riuscii a decifrare a malapena la firma: A. Trewain.
«Lo ha dipinto un giovane medico», disse zio Montague dalla poltrona. «Penso che avesse molto talento».
«Ha una strana atmosfera», commentai.
«Già,» disse zio Montague. «Già, proprio strana. Vieni qui accanto al fuoco, Edgar, e ti racconterò perché».
Robert si trasferisce, indovinate dove? Ma in una casa inquietante con giardino enorme, ovviamente. Anche lui come l’altro disgraziato di “Non salire” si annoia, e va a bighellonare in giardino dove conosce un bambino inquietante semi-invisibile che vive su un albero (?).
«È il mio amico», disse Robert e poi, percependo che non aveva dato il giusto peso all’affermazione, ammiccò e aggiunse: «Il mio amico speciale. Ho fatto tutto questo per lui».
Nel mio quaderno degli appunti per le recensioni, l’unica parola che ho scritto riguardo questo racconto è stata: Bah. Credo non ci sia definizione migliore.
LA POTATURA INVERNALE
«Forse ti andrebbe di sentire un racconto ammonitore su un ragazzo che non si comportava in maniera encomiabile come te, Edgar», disse infine zio Montague.
«Sì, zio. Mi andrebbe».
«Ottimo». Fletté le lunghe dita ossute e, ancora una volta, il suo viso divenne una maschera di serietà. «Ottimo…»
Mamma Tallow è una signora anziana cieca, che vive in un piccolo villaggio. Tutti pensano che sia una strega e i ragazzini la prendono spesso di mira con scherzi e prove di coraggio. Simon pensa bene di intrufolarsi in casa di Mamma Tallow mentre lei pota i suoi alberi, con l’intento di rubarle dei soldi.
La vecchia esaminava uno dei quattro meli che stavano davanti alla casa. Simon la studiò affascinato come se fosse un’ape o una formica indaffarata.
Faceva scorrere le dita nodose di una mano sul tronco e i rami mentre con l’altra, apriva e chiudeva un paio di cesoie. Giunta all’estremità di un ramo, sollevò le cesoie, serrò le lame con uno scatto e cominciò a potarlo. Mentre sforbiciava, uno stormo di sasselli spiccò il volo da un vicino agrifoglio.
Anche questa storia mi è piaciuta, non tanto per il classico messaggio del Non rubare, quanto per il finale, che mi ha sorpreso.
LA CORNICE DORATA
«La cornice dorata…», dissi, indicandola. «Mi domandavo in che modo sia “funesta” o “dannata” o quant’altro.»
«Davvero?», disse, rivolgendomi un ampio sorriso. «Ma devi averne avuto abbastanza delle storie sconclusionate di un vecchio scocco, per oggi».
«Niente affatto», dissi. «Anzi…cioè…non credo che tu sia sciocco»
«Mi fa piacere sentirtelo dire, Edgar».
Christina è una ragazzina viziata e insofferente. Un giorno inizia a parlare con la ragazza raffigurata in un quadro con cornice dorata, appena comprato dalla madre, e ottiene la possibilità di far esaudire tre desideri pronunciati ad alta voce.
Fra tutte, questa è la storia che mi è piaciuta di più, perché oltre a non essere scontata nei contenuti, non lo è nemmeno sul finale. Parla di come spesso bisogna stare attenti a ciò che si desidera, che ogni azione ha delle conseguenze che non potremmo prevedere e che tutto in questa vita ha un prezzo.
Molto, molto bella.
IL JINN
«Visto che ci siamo, Edgar», disse all’improvviso, facendomi sobbalzare, «potrei raccontarti del disegno».
Francis è in viaggio con il padre in Turchia. Un giorno capita in un villaggio dove un gruppo di ragazzini sta cercando di scacciare via una bambina piccola e vestita di stracci, Francis decide di intervenire.
Il capo della banda inveiva contro la ragazzina, le faceva cenni, la indicava, la scacciava.
Oltre al essere scialba come storia, dà anche un messaggio poco educativo, del tipo “Meglio voltarsi dall’altra parte” e “Chi si fa i fatti suoi campa di più.” Non mi è piaciuta granché.
UNA STORIA DI FANTASMI
«I matrimoni, Edgar», disse, «sono eventi atroci, vero?» […] «Mille volte meglio un funerale che un matrimonio» disse zio Montague con un sospiro. «Quasi sempre si gode di una migliore conversazione».
Victoria è ad un matrimonio, non sopporta le cuginette antipatiche, e si ritrova a dare confidenza e giocare a nascondino con una bambina che non ha mai visto. Forse erano meglio le cuginette.
Messaggio evidente de “Non dare confidenza agli sconosciuti” e storia nel suo complesso molto banale e prevedibile.
IL SENTIERO
«Per favore, raccontamela», dissi, rimettendomi a sedere.
Zio Montague sorrise di nuovo.
«Potresti non ringraziarmi per averlo fatto, Edgar».
Matthew decide di scappare di casa per scoprire il mondo, ma presto scoprirà che scappando di casa possono capitarti delle cose davvero inquietanti, tipo essere inseguito da un tizio ridotto non benissimo.
Il suo braccio sinistro era senz’altro rotto; in più d’un punto, suppose Matthew. La mano sinistra era appena riconoscibile in quanto tale e sembrava che fosse stata battuta da un maniscalco.
Messaggio evidente anche in questo caso, finale carino che quasi vuole evidenziare quanto, a volte, siamo noi stessi i nostri nemici.
STILE
«Cos’è stato?», dissi indicando il punto che stavo guardando.
«Cosa pensi sia stato?», disse zio Montague.
«Non saprei», risposi. «Si è mosso velocissimo».
«La nebbia è piena di fantasmi», disse lo zio, come a porre fine alla discussione. Non era chiaro se si riferisse alla nebbia in generale o a quella in particolare. In ogni caso non stavo morendo dalla voglia di avventurarmici.
Come ho già detto più volte, lo stile è molto goffo. L’autore vuole fare il misterioso, vuole suggerirci qualcosa, ma ogni volta scivola e ci spiega tutto, rovinandoci ogni tipo di sorpresa e quindi facendo calare sempre di più l’interesse.
RACCONTATO & NARRATORE
Inoltre, neanche il narratore ha fiducia nell’intelligenza del lettore, e non ci pensa proprio a fare qualche sforzo con il Mostrato, quindi fa prima e ci dice esattamente cosa pensare.
A quel punto vide che non si trattava di un gatto ma di qualcos’altro, di qualcosa che non aveva nulla di buono.
Aveva notato anche le espressioni dipinte sui volti dei bambini che erano intorno alla casa e si era domandato quali segreti nascondessero. Perché era chiaro che nascondevano qualcosa.
ILLUSTRAZIONI
Ogni storia è arricchita con un’illustrazione, mi sono piaciute ma nessuna mi ha colpito particolarmente. Ma qui ovviamente è una questione di gusti.
FINALE
«Mi hai chiesto un’altra storia, Edgar», disse. «Benissimo. Eccoti un’altra storia: la mia…»
Alla fine lo zio racconterà la sua storia per chiarire la situazione. Avverrà in modo piuttosto forzato a seguito di un evento che, stranamente, non si era mai verificato nelle volte precedenti in cui Edgar dice di aver fatto visita allo zio. A causa dello stile goffo e delle pulci grandi come dei procioni, tutto era abbastanza prevedibile, quindi non ci dà nemmeno la soddisfazione di un colpo di scena.
CONCLUSIONE
Un romanzo piuttosto deludente, con uno stile goffo che penalizza anche gli elementi interessanti. La presenza massiccia di pulci nell’orecchio grandi come procioni e suggerimenti vari da parte del narratore finiscono presto per annoiare il lettore, che sin da subito sa cosa aspettarsi. Tre storie su nove mi sono piaciute, ma non basta a promuovere un libro intero o consigliarlo.
Voto: 5/10