Parliamo di…Grandi Speranze di Charles Dickens

“Fu quello un giorno memorabile, poiché provocò in me grandi cambiamenti. Ma lo stesso accade in ogni vita. Provate a immaginare di cancellarne un giorno particolare, e pensate a come sarebbe stato differente il suo corso. Voi che leggete, fermatevi a pensare per un attimo alla lunga catena di ferro o di oro, di spine o di fiori, che non vi avrebbe mai avvinto, se non si fosse formato il primo anello in un giorno memorabile.”

La mia curiosità verso questo libro è iniziata leggendo In una sola persona di John Irving: il protagonista me lo ha venduto benissimo.
Di Dickens ho letto Canto di Natale da piccola, e non mi aveva entusiasmato, ma allora ero un piccolo Grinch, forse leggendolo adesso avrei un’altra opinione.

STILE

“Alla luce delle torce vedemmo la Galera, scura, ormeggiata a qualche distanza dalla riva fangosa, come una sinistra arca di Noè. Serrata, sbarrata, tenuta all’ancora da grosse catene arrugginite, parve ai miei occhi di bambino che anche la nave fosse in ceppi come i prigionieri”

Senza dubbio, ciò che porta avanti l’interesse del lettore è sopratutto lo stile dell’autore, molto sopra le righe, a volte sfiora il surreale con l’esagerazione come punto di forza. Più di una volta è sembrato di trovarmi dentro un film di animazione.

“A quel punto mia sorella era già su tutte le furie e si avventò su Joe, lo afferrò per le fedine, gli sbatté per qualche tempo la testa contro il muro mentre io dal mio angolo, in colpa, me ne stavo a guardare.”

Anche le descrizioni sono interessanti e divertenti, per quanto esagerate.

“Ricordo Hubble come un vecchio tenace, che odorava di segatura, con la testa incassata tra le spalle curve, e le gambe incredibilmente storte: tanto che là in mezzo, dal basso dei miei anni, vedevo miglia di aperta campagna, quando mi veniva incontro nel viottolo.”

“Mentre parlava, si strinse il corpo percorso da brividi tra le braccia – abbracciandosi, come per tenersi insieme – e zoppicò verso il basso muro della chiesa. Lo guardavo, mentre si allontanava aprendosi una strada tra le ortiche e i rovi che cingevano i tumuli coperti d’erba, e ai miei occhi di bambino pareva che sfuggisse alle mani dei morti che si protendevano caute dalle tombe, per avvinghiarne le caviglie e tirarlo dentro.”

In generale, Dickens ha una padronanza della narrazione talmente elevata da sorprenderti di continuo con frasi e periodi davvero belli, indipendentemente dal contenuto.

“Rimasi a sedere in silenzio, pensando a quanto aveva sgobbato prima che la prozia di Wopsle soggiogasse felicemente quella brutta abitudine a vivere, di cui sarebbe molto auspicabile che certa gente si liberasse.”

Qui riesce a mostrarci un trauma in un unico lungo monologo, che tuttavia non pesa perché reso estremamente dinamico:

“«Sta a sentire! Se uno è da solo in una piana come questa, con la testa vuota e la pancia anche, mezzo morto di freddo e di fame, puoi star sicuro che per tutta la notte non sente altro che cannoni che sparano e voci che chiamano. Sente? Vede i soldati, con le uniformi rosse illuminate dalle torce, che lo chiudono da tutte le parti. Sente chiamare il suo numero, sente gridare l’alt, sente il rumore dei fucili, i comandi, “Pronti! Puntate! Stategli addosso, soldati!” sente mani che lo afferrano – e non c’è niente! Metti che l’altra notte ne vedevo una, di pattuglia d’inseguitori – in ranghi serrati, Dio li stramaledica, che marciano, marciano – e a me mi parevano cento. E gli spari! Sì, anche a giorno fatto ho visto la nebbia squassata dai colpi di cannone.”

Anticipazioni

“Non giunse comunque a termine, ma arrivò a una fine prematura, come mi accingo a narrare.”

Questo romanzo, come altri di Dickens, è stato pubblicato per la prima volta a puntate settimanali in un giornale, pertanto i capitoli finiscono spesso con colpi di scena e sono spesso farciti di anticipazioni, come se volesse convincere il lettore a comprare il successivo. Sono un po’ fastidiose, ma visto il contesto è comprensibile e contribuiscono a caratterizzare lo stile dell’autore.

“Per me non rappresentava niente e non avrei potuto prevedere allora che avrebbe rappresentato qualcosa in seguito, ma quell’occasione mi diede l’opportunità di osservarlo accuratamente.”

“Lo stesso accadde a me; tutto il lavoro, recente e remoto, che tendeva a quel fine, era stato compiuto; in un attimo il colpo fu vibrato e il tetto della mia fortezza mi piombò addosso.”

PERSONAGGI

“La prozia di Wopsle teneva una scuola serale nel villaggio; vale a dire, era una vecchia ridicola, di mezzi limitati e illimitati acciacchi, che si addormentava tutte le sere dalle sei alle sette alla presenza di bambini che pagavano due pence a testa la settimana, per avere l’opportunità di migliorarsi vedendola dormire.”

E insieme allo stile c’è la costruzione dei personaggi che io, amando il surreale, ho apprezzato tantissimo. Dickens ha la capacità di creare personaggi inverosimili e stravaganti, che tuttavia ti aspetti di incontrare o ti sembra di aver già conosciuto. Ho imparato molto analizzandoli e ho letto che lui aveva l’abitudine di osservare e appuntarsi i gesti e i dettagli della gente, senza un reale motivo, archiviava tutto per utilizzarlo un giorno. È una tecnica che ho letto anche di recente da John Gardner, devo iniziare a farlo anch’io.

Joe

La fucina fu chiusa per la giornata, e Joe lasciò iscritto in gesso sulla porta (com’era sua abitudine nelle rarissime occasioni in cui si assentava dal lavoro) il monosillabo VVIA, accompagnato dal disegno di una freccia, presumibilmente in volo verso la direzione da lui presa.

Questo personaggio è meraviglioso, è forse quello in cui l’autore si è impegnato di più. All’inizio ci viene presentato come un fessacchiotto piatto e unidirezionale, e viene preso in giro di continuo dalla narrazione:

“Una sera me ne stavo seduto nell’angolo del camino con la mia lavagna, sforzandomi di mettere insieme una lettera per Joe. Doveva essere più di un anno dopo la nostra caccia in palude, poiché era passato molto tempo, era inverno e faceva un gran freddo. Aiutandomi con un alfabeto che tenevo sul focolare ai miei piedi, riuscii dopo una o due ore a impiastricciare a stampatello la seguente epistola:
mIo CoRo JO spErO ce TU 6 bEne spErO ce So PREstO impa Rarti JO e sAro feLicHe e cuando iO sono prEndissta JO ce GUDduria salUtti PIP.
Non vi era alcuna necessità impellente di comunicare con Joe per lettera, visto che mi stava seduto accanto e che eravamo soli. Comunque, gli passai la comunicazione scritta (lavagna e tutto il resto) e Joe la ricevette come un prodigio di erudizione.
«Ehi, Pip», gridò spalancando gli occhi azzurri, «ma lo sai che sei proprio un letterato?»”

“Quattromila, e fresche fresche, Pip!»
Non appurai da chi Joe avesse ricavato la temperatura convenzionale delle quattromila sterline, ma pareva che la somma ne aumentasse di valore e gli dava palesemente un gran gusto insistere sul fatto che erano fresche.”

Poi ad un tratto arriva a sorprenderci con profondità e caratterizzazioni originali e profonde, che vanno oltre la funzionalità della trama.

“«E poi c’è ancora una cosa, Pip, e te la dico in tutta serietà, vecchio mio – ne ho visto abbastanza con la povera mamma, di una donna che sfacchina, si spacca la schiena e si spezza il cuore senza trovar mai un po’ di pace in questo mondo, e ciò una paura tremenda che sbaglio, che non faccio per una donna quello che è giusto, e delle due mi va meglio finire dall’altra parte, e rimetterci un po’ io. È che a me mi andrebbe di rimetterci solo io, Pip, e prendermi tutto sulle mie spalle;»”

Miss Havisham

“«Sai cosa sto toccando?» chiese mettendosi tutt’e due le mani sul lato sinistro del petto.
«Sì, signora». (Mi fece pensare al giovane della palude.)
«Cosa sto toccando?»
«Il cuore».
«Spezzato!» […] «Sono stanca. Voglio distrazioni, ho chiuso con uomini e donne. Gioca».”

E figurarsi se non mi avesse colpito il personaggio più tormentato e fulminato del romanzo. Ho adorato Miss Havisham con la sua follia mista a crudeltà.

“«Certe volte ho delle fantasie malate, e adesso ho quella di veder giocare qualcuno. Dài, dài!» agitando con impazienza le dita della mano destra; «gioca, gioca, gioca!»”

Il suo dolore traspare in ogni sua comparsa, e rimane impressa anche a distanza di tempo.

“Allora non sapevo nulla dei corpi sepolti da molto tempo, che occasionalmente vengon scoperti e si riducono in polvere non appena esposti alla luce; ma in seguito ho pensato spesso che doveva avere quell’aspetto, come se a contatto della luce del sole dovesse disfarsi in polvere.”

Il suo volersi vendicare, crescendo Estella in modo che avesse un cuore di ghiaccio per far soffrire gli uomini, poi, mi ha entusiasmato un sacco:

“«Amala! Amala! Amala! Amala se è gentile. Amala se ti ferisce. Se ti spezza il cuore – e più diventa vecchio e forte, più profondamente si lacera – amala, amala, amala!». […] «Ascoltami, Pip! L’ho voluta adottare perché fosse amata. L’ho voluta allevare e istruire perché fosse amata. L’ho fatta diventare quella che è perché potesse essere amata. Amala!»”

E ho adorato ancora di più quando questa cosa le si ritorce contro, una volta che Estella diventa adulta. Anche Estella è un personaggio che ho adorato, e penso non mi scorderò facilmente questa scena:

“«Forse comincio a capire», disse Estella pensierosa, dopo un’altra pausa di calmo stupore, «come questo possa accadere. Se avessi allevato una figlia adottiva confinandola in queste stanze buie, senza mai farle sapere che esisteva una cosa come la luce del giorno, da cui nemmeno una volta le hai permesso di vedere illuminato il tuo viso – se tu avessi fatto questo e poi, per motivi tuoi, avessi voluto che capisse cos’è la luce del giorno e ne sapesse ogni cosa a riguardo, saresti rimasta delusa e contrariata?»
Miss Havisham, con la testa tra le mani, sedeva nella poltrona gemendo piano e dondolandosi, senza rispondere.
«Oppure», continuò Estella, « – e questo è un caso più simile al nostro – se tu le avessi insegnato, sin da quando ha cominciato a capire, mettendoci tutta l’energia possibile, che una cosa come la luce del giorno esisteva, ma solo per esserle ostile e annientarla, e che sempre doveva opporvisi perché aveva distrutto te e altrimenti avrebbe finito per distruggere anche lei; – se tu avessi fatto questo e poi, per motivi tuoi, avessi voluto che l’accettasse istintivamente e lei non ci fosse riuscita, saresti rimasta delusa e contrariata?»
Miss Havisham sedeva in ascolto (o perlomeno così pareva, dato che non la vedevo in viso) ma ancora non rispose.
«E allora», disse Estella, «mi si deve prendere per quello che si è fatto di me. Non è mio il successo e neppure il fallimento, ma tutt’e due insieme fanno me stessa».”

PIP

“«I metodi educativi di mia sorella mi avevano reso sensibile. Nel piccolo mondo che delimita l’esistenza di un bambino, chiunque sia la persona che lo alleva, nulla viene percepito o sentito più acutamente dell’ingiustizia.”

Pip, il protagonista, è il personaggio che mi è piaciuto meno, probabilmente perché, essendo un narratore introspettivo, ci ha mostrato ogni suo pensiero e sensazione, rendendolo agli occhi del lettore un comune ragazzino ambizioso, con poche doti e guidato in ogni suo gesto dall’ossessione verso Estella.

“Lo dico qui con uno scopo preciso, poiché è questa la chiave per seguirmi nel mio povero labirinto. In base alla mia esperienza, l’immagine convenzionale dell’amante non è sempre quella vera. La verità nuda e cruda è che quando amai Estella col mio amore di uomo, l’amai semplicemente perché non potevo resisterle. Una volta per tutte: spesso, anche se non sempre, mi resi conto, patendone, che l’amavo contro ogni possibile ragione, promessa, pace, speranza, felicità, contro ogni possibile scoraggiamento. Una volta per tutte: non l’amai di meno, rendendomene conto, né me ne sentii frenato, più di quanto mi sarei lasciato frenare se l’avessi fervidamente creduta la perfezione fatta persona.”

“Insieme a lei non provai neppure un’ora di felicità, eppure ventiquattr’ore al giorno la mia mente continuava a filare sulla felicità di averla con me fino alla morte.”

Mi è stato sulle balle per tutto il romanzo, ma nella parte in cui si dichiara ad Estella mi ha fatto commuovere, non perché abbia apprezzato lo sfogo, ma perché ho provato gran pena per lui.

“«Tra una settimana mi avrai già esclusa dai tuoi pensieri».
«Esclusa dai miei pensieri! Tu sei parte della mia vita, parte di me stesso. Sei stata in ogni riga che ho letto da quando sono stato qui la prima volta, ragazzo ordinario e rozzo il cui povero cuore hai ferito già allora. Sei stata in ogni cosa che ho visto da quella volta – nel fiume, nelle vele delle navi, nella palude, nelle nuvole, nella luce, nel buio, nel vento, nei boschi, nel mare, nelle strade. Hai dato corpo a ogni soave fantasia che la mia mente ha conosciuto. Le pietre di cui son fatte le case più salde di Londra, non sono meno reali né più impossibili da spostare per le tue mani, di quanto siano stati, e sempre saranno per me, la tua presenza e il tuo ascendente, in questo luogo e in qualunque altro. Estella, sino all’ultima ora della mia vita, non potrai non rimanere parte della mia natura, parte di quel po’ di bene che è in me, parte del male. Ma in questo distacco io ti associo solo al bene e con fedeltà lo farò sempre, poiché tu devi avermi fatto molto più bene che male, per quanto acuta sia la mia pena adesso. Dio ti benedica, Dio ti perdoni!»”

CONCLUSIONE
Un romanzo da leggere se si vuole sperimentare uno stile surreale e quasi esclusivamente estetico e personaggi sopra le righe difficili da dimenticare. Non vedo l’ora di leggere i romanzi degli altri due ragazzini di Dickens: David Copperfield e Oliver Twist.

“Pareva che la ritenessero un’occasione perduta, se di tanto in tanto non mi puntavano contro la conversazione per poi infilzarmici. Sarei potuto essere uno sfortunato torello in un’arena spagnola, tanto erano pungenti le stoccate di quei pungoli morali.”

“Aiutandomi da solo, e assistito più da Biddy che dalla prozia di Wopsle, mi aprii a fatica un varco attraverso l’alfabeto, come si fosse trattato di un ammasso di rovi, ricevendo da ogni lettera non pochi crucci e graffi.”

“«Perché non ti rimetti a piangere, meschinello?»
«Perché per voi non piangerò mai più», dissi. E immagino che più falso di così non potessi essere; persino in quel momento stavo interiormente piangendo per lei, e lo so io quanto dolore mi sia costata in seguito.”

“«Pip, vecchio mio, a me mi pare che la vita è fatta di tanti pezzi saldati insieme, e magari uno lavora il ferro, l’altro lo stagno, o magari l’oro o il rame. Le spaccature capitano per forza e non ci si può far niente.»”

“«il fatto che la cosa si sia così saldamente radicata nell’animo di un ragazzo, reso romantico dalla sua natura e dalle circostanze, la rende estremamente pericolosa.»”

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