Parliamo di… Le ho mai raccontato del vento del Nord di Daniel Glattauer

 

“Cara Emmi, si è resa conto che non sappiamo niente l’uno dell’altra? Che ci stiamo inventando un personaggio virtuale dall’identikit immaginario? Facciamo domande affascinanti proprio perché non diamo le risposte. Sì, ci divertiamo a stuzzicare e a eccitare la curiosità dell’altro, ma siamo categorici nel rifiutarci di soddisfarla.”

Questo libro mi stuzzicava da un po’, lo vedevo spesso scivolare nella home di goodreads ma ho sempre rimandato. L’altro giorno, nella ormai solita bancarella di libri usati, l’ho trovato che mi guardava impaziente, quasi scodinzolava. È stato forse la scelta con meno dubbi fra tutti i libri presi lì fino a quel momento.

“Cerchiamo di leggere tra le righe, tra le parole, a momenti perfino tra le singole lettere. Tentiamo disperatamente di capire con chi abbiamo a che fare. E al tempo stesso, stiamo ben attenti a non rivelare “niente di sostanziale” su di noi. Che significa “niente di sostanziale”? Niente. Finora non abbiamo raccontato niente della nostra vita, niente della nostra quotidianità, niente che potrebbe essere importante.
Comunichiamo dentro una bolla d’aria.”

Lo ammetto, ho un debole per gli inciuci tormentati. E per gran parte del tempo è stato questo a spingermi a leggere le email di questi due fulminati, perché sì, sono davvero fuori di testa e ridevo spesso perché in alcune cose mi ci rivedevo, avendo avuto tanti amici a distanza; e a tratti piangevo, sempre per lo stesso motivo.

[Lui parla di lei con la sua ex] “Mi scuote nel profondo, mi emoziona, a volte vorrei mandarla a quel paese, ma altrettanto volentieri me la vado a riprendere. Ho bisogno che sia nei paraggi. Sa ascoltarmi. È intelligente. È spiritosa. E, ciò che più conta: c’è sempre per me.”

E poi ero curiosa come una scimmia sulla questione del Vento del Nord, che tra l’altro, mi ha molto emozionata. Credo che questo sia un libro che possa essere compreso solo da chi ha sperimentato certe cose, e non per forza una storia assurda e tormentata come questi due, anche le piccole cose, che saltano all’occhio di chi le ha vissute e passano inosservate a chi è nuovo di certi meccanismi.

“Lunedì parto per la settimana bianca. Ovviamente, io glielo dico con chi, caro il mio fidato amico di e-mail: con un esemplare di marito e due esemplari di figli (e senza scoiattoli!). A Wurlitzer ci pensano i vicini. Wurlitzer è quel ciccione del nostro gatto. Somiglia a un juke-box, ma ha su soltanto un disco.
Odia lo sci, perciò resta a casa.”

Mi è piaciuto come l’autore abbia ben differenziato lo stile di entrambi, benché appare evidente sin da subito che tutti e due abbiano una bravura nello scrivere sopra la media.

“Nelle e-mail che le scrivo posso essere la vera Emmi, che altrimenti non sono. Nella “vita reale”, se vuoi riuscire, se vuoi resistere a lungo, devi sempre arrivare a un compromesso con la tua emotività: QUI niente reazione esagerata!
QUESTO lo devo accettare! QUI devo mostrarmi superiore! – Adegui continuamente i sentimenti all’ambiente circostante, hai riguardo per gli affetti, ti infili nel centinaio di piccoli ruoli quotidiani, fai l’equilibrista, ragioni, soppesi, il tutto per evitare di danneggiare la struttura portante, dal momento che ne sei parte integrante.
Con lei, caro Leo, non ho paura di comportarmi in modo spontaneo, per come sono davvero. Non sto a pensare che cosa si aspetta o non si aspetta da me. Le scrivo liberamente, nient’altro. E mi fa sentire così bene!!! – E, questa è opera sua, caro Leo, perciò non posso più rinunciare a lei: lei mi accetta per quella che sono. A volte mi frena, alcune cose le ignora, altre non le manda giù. Ma la perseveranza con cui mi resta accanto è la dimostrazione che posso essere me stessa.”

Lei è spesso insopportabile (una che utilizza il maiuscolo quando è arrabbiata e i tre punti esclamativi non la vorrei manco regalata); lui mi ha fatto alzare gli occhi al cielo in più di un’occasione.
Ci sono i cliché che, tuttavia, capitano sempre per davvero: l’email da ubriachi, l’email di gelosia, l’email alle 3 di notte, l’email piena di rabbia e quella dello slancio senza senso. C’è tutto.

“No Emmi, lei non è una qualunque. Se c’è una che non è una qualunque, quella è lei.
Non per me. Lei è come una seconda voce dentro di me che mi accompagna durante la giornata. Ha trasformato il mio monologo interiore in un dialogo. Arricchisce la mia vita interiore. Mette in discussione, insiste, parodia, entra in conflitto con me. Le sono grato per il suo umorismo, il fascino, la vitalità, sì persino per le sue “cose di cattivo gusto”.

Il colpo di scena sul finale mi ha sorpreso, un po’ in negativo forse perché è sicuramente la trovata meno probabile. Il finale si potrebbe riassumere con la frase che si dice di solito: “C’era da aspettarselo, poteva andare solo così.” Ma in realtà poteva andare in mille modi diversi, e questo è stato forse un finale troppo amaro. Ma ci sta.

EDIT: Dalla regia mi dicono ci sia un seguito, nonostante il finale sembri solido. Provvedo al più presto a continuare la storia di questi due fulminati, sperando di non rimpiangere il finale amaro.

“I mobili mi guardano con aria di rimprovero. Fiutano il tradimento. Mi minacciano: Guai a te se sveli il nostro prezzo, il colore e il design! Il pianoforte dice: Guai a te se gli racconti che Bernhard era il tuo maestro di piano! E della prima volta in cui vi siete baciati, e di come avete fatto l’amore sopra di me! La libreria chiede: Ma chi è questo Leo? Che ci fa qui? Perché passi tante ore insieme a lui? Perché mi trascuri? Perché sei diventata tanto pensierosa? Il lettore cd dice:
Magari arriveremo al punto in cui non ascolterai più Rachmaninov – lo sai, la musica è una delle cose che vi unisce, a te e Bernhard – ma cosa piace a questo Leo, magari gli Sugar Babes! L’unico a obiettare è il portabottiglie del vino: Be’, io non ho niente contro questo Leo, noi tre ce la intendiamo a meraviglia.”

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