Recensione – La banda del cimitero – La triste storia dei fratelli Grossbart di Jesse Bullington

Sputando sul mucchietto di terra sotto una pioggia torrenziale, i fratelli Grossbart giurarono a loro stessi che avrebbero riposato nelle magnifiche tombe degli infedeli, o che non avrebbero riposato affatto.

Titolo: La banda del cimitero
Titolo originale: The Sad Tale of the Brothers Grossbart
Autore: Jesse Bullington
Editore: Castelvecchi
Pagine: 504
Prezzo: Brossura 9,75€
Reperibilità: Più online che in libreria

Dal web

Nell’anno del Signore 1364, stritolata dal terribile morbo della Peste Nera, l’intera Europa appare come una landa desolata: una terra senza speranza in cui, simili agli spettri, si aggirano i corpi scheletrici di chi è sopravvissuto alla catastrofe. In questo regno di fame e paura, dove il prossimo non è altro che un nemico da tenere a bada con la forza delle armi, il terrore è alimentato da storie che parlano di streghe e di demoni, creature malvagie sempre pronte a gettarsi sui vivi per consegnare nuove anime al mondo dei dannati. Hegel e Manfried Grossbart, però, non temono nessuna maledizione. E, convinti di godere della protezione della Vergine Maria a cui sono devoti, sbarcano il lunario svaligiando cimiteri. Guai a chi, per troppo coraggio o semplice ignavia, dovesse incrociare la strada dei due ladri di tombe. Fedeli a un solo desiderio – raggiungere l’Egitto per depredare le necropoli dei faraoni – Manfried ed Hegel, oltre che ladri, sono anche assassini senza scrupoli. I protagonisti di un viaggio che, in un romanzo in bilico tra il folklore dei fratelli Grimm e la vena dissacrante di Quentin Tarantino, saprà parlare di fattucchiere passionali e di morti viventi, di crociate e di eresie, di mostri assetati di sangue e di preti reietti. Un medioevo spaventoso ma vivo, in grado di trascinare il lettore in una storia dove i colpi di scena rappresentano la regola e i lati oscuri delle antiche leggende escono dai libri per impossessarsi della realtà.

«Mangia i bambini», sibilò la megera riconquistandosi all’istante l’attenzione di Nicolette. «Fino all’ultimo brandello. Dai denti alle unghie dei piedi, dalle ossa al grasso, dalle labbra al buco del culo. Se li mangia tutti con voracità. Ma lo fa piano piano, e così loro gridano mentre lui li divora e chissà che altro gli fa. Li sento gemere da qui, certe notti, là in mezzo al bosco.»

Molto natalizio eh?

Sono venuta a conoscenza di questo romanzo in un modo piuttosto insolito: giocando a The Witcher 3, il gioco tratto dalla saga di Andrzej Sapkowski, sulle avventure di Geralt di Rivia.

Tipico passatempo in The witcher 3

La missione secondaria si chiamava “La triste storia dei Fratelli Grossbart” e consisteva nell’uccidere questi due criminali cattivoni. L’epilogo è stato abbastanza deludente: ho attivato la missione per sbaglio finendo nel loro nascondiglio, i fratelli hanno corcato di botte il mio povero Geralt e, fuggendo, la missione è fallita. Ma almeno ho scoperto questa storia.

TRAMA

Una simile irragionevole baggianata dimostra che l’unica cosa più stupida di un bambino troppo stupido è un bambino troppo intelligente. Un bambino sveglio potrebbe davvero arrivare a inventarsi certe fallaci fantasie, mettendo in dubbio i presupposti di una minaccia letale, mentre quello ottuso se vede una bestia con il gozzo seghettato che spalanca le fauci la riconosce esattamente per quello che è: un pericolo.

Questo romanzo è di 504 pagine scritte in piccolo, tutte dense di avvenimenti. Quindi, sia per i temi trattati che per la lunghezza, non si può definire una lettura facile; eppure, è stata forse la lettura che più mi ha incuriosito quest’anno. E non parlo dell’essere o no interessante, mi riferisco proprio al saper attirare il lettore a leggere, a voler sapere cosa succederà o in che modo, nonostante magari abbia altro da fare.
Non è per nulla da sottovalutare una cosa del genere, perché quando si leggono tanti libri, è sempre più difficile sentirsi davvero incuriositi verso una storia.

ORIGINALITÀ

E questa è la storia che conosce ogni bambino, […] Solo il più ignorante o il più ottimista dei bambini potrebbe credere che questa storia finisca davvero così. Ciò che realmente accadde quella notte nel bosco deve invece essere attentamente riesaminato.

In questa storia non c’è niente di scontato, e anche quando pensiamo che qualcosa lo sia, più avanti ci rendiamo conto di esserci sbagliati. Vengono inseriti molti elementi delle leggende o delle fiabe classiche, che però vengono stravolti, dissacrati e rivisti in chiave molto insolita, seguendo sempre lo stile cupo e sinistro dell’autore.

TANTE PREMESSE

Vi avviso, questo romanzo non è per tutti. Contiene delle scene e degli argomenti molto forti, che potrebbero urtare la sensibilità di qualcuno. Inoltre, se vi rendete conto di non saper discernere un romanzo dai fatti di per sé, dalle vostre idee, credenze e convinzioni, allora lasciate perdere l’acquisto; potete al massimo leggere la recensione, giusto per farvi un’idea, ma non aprite gli approfondimenti.

Qui di seguito vi riporterò i quattro punti chiave che costituiscono questo romanzo.
(Le parti nascoste se sono spoiler lo scriverò in modo esplicito, altrimenti sono da considerarsi approfondimenti che potete leggere senza problemi. Per sicurezza, comunque, sostituirò i nomi di alcuni personaggi con —)

VIOLENZA

Con il braccio che teneva la spada bloccato sotto lo stivale di Hegel, — implorava pietà. Hegel gliela accordò per mezzo del piccone, trapassando per tre velocissime volte il gomito del bandito. Alla terza volta gli lasciò l’arma nel braccio maciullato e gli afferrò il polso, strattonandolo con violenza fino a che l’avambraccio del Papa non si staccò definitivamente e il sangue velò il viso a entrambi. — impazzì dal dolore mentre Hegel impazzì e basta.

La violenza esagerata è la caratteristica più evidente di questo romanzo, e la scena qui sopra è la più leggera. A me la violenza gratuita non piace, non ho problemi a leggerla, ma deve esserci per dei motivi precisi e non messa a caso. In questo romanzo, benché le scene violente fossero tante e avessero qualche problema di stile, che vedremo più avanti, non le ho trovate troppe oppure senza senso, c’erano solo quando dovevano esserci. È ben evidente il fatto che l’autore sia un fan di Tarantino, e infatti io mi sono ritrovata spesso a ridere per l’esagerazione intenzionale di alcune scene.

SCENE NON PER I DEBOLI DI STOMACO

Ghermendo una ciocca argentata, Hegel tirò la testa del fratello fuori dall’acqua. Per un attimo Manfried lottò per divincolarsi e poi sbatté gli occhi stupidamente, fissando il suo soccorritore e vomitando acqua su tutti e due. Con lo stomaco sottosopra e traboccante d’acido, Hegel gli restituì la scarica con un cavallone di vomito caldo.

Anche qui, la scena è la più leggera che ho trovato. Io ho uno stomaco abbastanza forte, ma in alcune scene ammetto di aver avuto un po’ di difficoltà.

BLASFEMIA COME SE PIOVESSE

Ingollando la cena, da sotto la tunica trasse la collanina della defunta Gertie e la sollevò alla luce. Solo un vero devoto avrebbe potuto riconoscere ciò che la grossolana incisione pretendeva di raffigurare, tanto grezzi e indistinti erano i lineamenti della Vergine. Col pollice sfregò i due bozzi messi al posto dei Suoi seni e meditò sul significato della pietà.
Studiando attentamente il fratello, Manfried fu colto da un attacco di gelosia. Si considerava di gran lunga più devoto del fratello, che aveva preso a lodare il nome Suo solo dopo che lui gliene aveva spiegato la Parola. Eppure dovette ammettere che la vera pietà stava proprio nel lasciare che il fratello si tenesse il suo trofeo, invece di rivendicarlo per sé. Anche se era stato lui a freddare l’eretica che l’indossava, era evidente che il fratello vi trovava conforto. L’ispirazione sopraggiunse come il pizzico di un moscerino, cosicché Manfried ghermì una delle lance inutilizzate dal carro, ne spezzò l’asta e di buona lena si accinse a intarsiare la sua Vergine. Ne avrebbe resa una rappresentazione molto più fedele, con seno e pancia assai più accentuati.

I protagonisti sono dei fanatici, con delle idee e teorie sulla religione molto distorte, inoltre sono completamente fuori di testa, al punto da arrivare anche ad autonominarsi confessori o santi.
Unendo questi fattori, si hanno delle scene che io ho trovato spassose e interessanti, ma che ammetto possano turbare.

Teorie sulla religione

Le stelle sfavillavano e il vento soffiava mentre i fratelli erano assorbiti dal loro scambio di vedute su Maria e quella checca di suo figlio. Hegel non riusciva a capacitarsi di come una vergine così spettacolare avesse potuto generare un ragazzo così pusillanime.
[…] «Ecco come la vedo io. Il Signore le ronza sempre attorno con quel suo affare drizzato, fa tutto il dolce perché vuole un po’ della sua dolcezza, e Lei per tutta risposta gli nega il privilegio».
«E perché mai?»
«Per rimanere pura. Che fosse uomo o Padreterno, Lei sapeva che per serbarsi più sacra delle altre doveva restare vergine per tutta la vita, altrimenti sarebbe stata soltanto un’altra sozza peccatrice.»
Hegel fissava la miniatura e rifletteva su quelle parole.
«E allora succede che il Signore è infuriato, ma infuriato davvero, com’è sua abitudine. E gliel’infila dentro lo stesso». Manfried ruttò.
«Ma no»
«Oh sì»
«Ma non poteva, che so, farle venire voglia?»
«Ci h provato. Ma a tutto c’è un limite, fratello, e nemmeno il signore può far in modo che una ragazza abbia voglia di aprire le gambe per lui, neanche se può costringerLa».
«Povera Maria»
«Non compatirla, perché si è presa la Sua bella rivincita. Ha fatto in modo che il figlio del signore fosse il più piagnucolone, checca e vile da qui all’eternità».
La rivelazione velava gli occhi di Hegel. «L’ha fatto per vendicarsi?»
«Il peggiore di tutti i destini, avere un figlio come quello. Per questo è santa, fratello. Di tutti i tali che il Signore ha messo alla prova e punito, Lei è l’unica che le ha restituito pan per focaccia, razione doppia, per giunta. Ecco perché Lei intercede per noi, perché ama coloro che si ribellano al Signore più di quelli che strisciano al suo cospetto».
[…] Quei fessi che vanno in chiesa sono tutti cannibali, e sarebbero capaci di convincerti a morire, oltretutto».
«Quali fessi? Quale chiesa?», domandò Hegel.
«Tutti. È proprio quello che mangiano, dicono che è il corpo del moccioso di Maria, e che il vino è il suo sangue».
«Oh, ancora con queste fesserie. Ti ricordi di quella volta che saccheggiammo tutto quel pane raffermo e quel vino? Siamo cannibali anche noi, allora?»
«Ma certo che no, porco cane. Ci vuole un prete per trasformarli in carne e sangue.»
«Stregoneria», sentenziò Hegel.

UMORISMO

«Salute a voi», urlò l’uomo.
«Sì, certo», disse Manfried. «Che vuoi?».
«Voglio solo sapere», disse quello bonariamente, «chi siete e per quale motivo vi siete intrufolati qui nel cuore della notte e avete aperto la cripta».
«Siamo i Grossbrat», disse Manfried. «Secondo te cosa vogliamo? E che ci fai tu su quel maiale?».
«Perché non ha niente addosso?», chiese Hegel al fratello.
«Suppongo vogliate derubare i defunti», disse l’uomo. «Sono affari miei perché vado a cavallo di questa bestia, e poi un uomo di buon senso deve sempre tenersi stretto qualcosa, quando si trova nella melma. Per finire, sono nudo perché è una notte tranquilla e quest’arietta fresca mi giova alla pelle».
«Questo dà i numeri», sibilò Hegel, e Manfried annuì.
«Be’, dunque, dato che ora sei al corrente della situazione, devi anche sapere che gradiremmo un po’ di privacy. E poi ti prenderai un accidenti se ti ostini a startene qua fuori senza uno straccio addosso». Manfried sapeva come prenderli, i balordi.

Sì, avete letto bene. In un libro dai toni così cupi, sembra strano parlare di risate, eppure lo stile dissacrante e umoristico, che sembra sempre sfidare o prendere in giro i personaggi e il lettore, secondo me è ciò che davvero lo fa funzionare.

Questo romanzo è tempestato di scene che dovrebbero essere serie, disgustose o violente, ma il modo in cui vengono raccontate a me ha fatto morire dal ridere.

Siamo tutti peccatori

«C’è qualcun altro che vuole purificarsi?»
— si alzò e andò verso di loro, ricadde pesantemente e si rivolse direttamente a Hegel, per la prima volta da quando aveva perso la mano e quasi tutti i denti. Gli descrisse le atrocità commesse durante la sua militanza nella Compagnia Bianca. L’esercitò dei mercenari si era macchiato si ogni sorta di depravazione che avesse a che fare con vino, donne, e la violenza più estrema, e il mercenario confessò fino a quando non gli sgorgarono le lacrime e sussultò per il rimorso.
«Sei perdonato, ragazzo». Hegel si scambiò una scrollata di spalle col fratello, giacché nessuno dei due aveva capito un accidente di quello che aveva detto. «Siamo tutti peccatori, in questo mondo schifoso.»

Ti pare normale?

«Ti pare normale?», chiese Hegel, ma Manfried non era in grado di rispondergli.
Spinto dalla curiosità, il maiale diede un’altra fiutata, grugnì e se la svignò dileguandosi tra le tombe del cimitero. L’ascella si gonfiava a dismisura e l’uomo si spruzzò una valanga di vomito addosso. Il fetore di putredine si era fatto ancora più forte perché l’uomo si stava praticamente svuotando da ogni orifizio. Infine, si rotolò su fianco con il braccio sinistro ripiegato dietro la testa e il bubbone pulsante esplose con una scarica melmosa che sibilò nella neve.
«No, non mi pare normale», riconobbe Manfried.

…E MANI AVANTI

Gli studiosi saranno interessati a sapere se questo umile autore si schieri dalla parte degli apologisti come Dunn e Ardanuy o dei revisionisti come Rahimi e Tanzer rimarranno delusi: questa storia è destinata a quel pubblico che ancora non conosce i Grossbart, ed è pertanto scevra di sfoggio accademico, Per questo motivo, e per evitare di distogliere invano l’attenzione del lettore medio, le pagine che seguono non contengono note esplicative e, in caso di varianti, offrono di ciascun evento l’interpretazione più comune.

L’autore ha impostato ogni cosa come se i fratelli Grossbart fossero realmente esistiti. Ha creato un ampio comparto storico inventando nomi di studiosi, correnti di pensiero e tantissimi libri sull’argomento: I fratelli Grossbart, sono due personaggi realmente esistiti, le cui avventure sono state tramandate dai bardi fino a diventare delle vere e proprie leggende e oggetto di studio ancora oggi. L’autore, essendo un grande esperto su di loro, ha deciso di unire tutte le loro storie in un romanzo, al fine di farli conoscere al resto del mondo.

Per come la vedo io, dare un’impronta storica e rendere i propri personaggi addirittura oggetto di studi, alza le aspettative di parecchio già da subito. È una mossa molto rischiosa, ma in questo caso ben riuscita.

In questo lavoro, la distinzione tra storie e Storia non ha, forse, precedenti […] Un vantaggio di questo adattamento a racconto unitario è l’inclusione di storie prima scollegate: incongruenze, queste, in grado di chiarire alcuni aspetti della narrazione centrale, per quanto a prima vista contraddittorie salvo per l’epoca e l’ambientazione geografica. Una seconda conseguenza dell’approccio qui adottato sono gli occasionali balzi che ricorrono all’interno del viaggio, dovuti all’eliminazione di quelle avventure oltremodo ripetitive.

Essendo storie molto vecchie e romanzate, l’autore mette le mani avanti dicendo che qualsiasi incongruenza noi dovessimo trovare, è stata fatta di proposito per farci entrare ancora di più nel mood: racconto-leggenda-personaggi veri.
E fin qui ci sta, ha messo al guinzaglio il mio animo rompiballe. Tuttavia, io di incongruenze troppo eclatanti non ne ho trovate, quindi penso anche questo faccia parte del contorno da lui creato.

Le tragedie e le atrocità sembreranno anche intrinsecamente peggiori quando le si analizza a grande distanza di tempo dal loro verificarsi; eppure, nonostante tutte le nostre conquiste, oggi infuriano guerre e si reprimono legittime insurrezioni nel sangue; la persecuzione religiosa divampa, e la carestia e la pestilenza mietono vittime innocenti.

We we aspetta un attimo…

Qui io ho iniziato a storcere il naso. Una cosa che davvero non sopporto, sono gli autori che prima osano, e poi fanno un passo indietro. Uno scrittore non è quello che scrive, non è i personaggi che crea e non è detto che approvi quello che fanno. A maggior ragione in questo romanzo, dove l’autore ha voluto dare un’impronta storica ai suoi personaggi. Non mi è mai capitato di leggere delle precisazioni di questo tipo nei libri di storia.

Lui non è come i suoi personaggi (almeno spero)

Tuttavia, ci sono molte persone che non riescono a fare questa distinzione, e spesso si ritrovano anche a giudicare i personaggi come persone (!) e non se sono fatti bene o no. Perciò, visto che spesso ho a che fare con persone di questo tipo, faccio una premessa ovvia anch’io, in vista di ciò che andremo ad affrontare a breve:

Se io dico di aver apprezzato una scena in cui si mangiano dei bambini, non vuol dire che ho un pupetto a cuocere nel forno, ma che di solito li ordino al take-away.

Quindi, capisco che l’autore abbia sentito il bisogno di risparmiarsi qualcuna di queste critiche mettendo le mani avanti nella nota introduttiva… ma non anche nel romanzo stesso.

Definire i fratelli Grossbart briganti crudeli ed egoisti screditerebbe persino il ladrone più abietto, e dire che erano dei porci assassini offenderebbe anche il più lurido dei cinghiali.

Questa è la prima frase del romanzo ed io già mi sono messa a ridere. Il narratore che dà giudizi fa qualcosa che in realtà spetterebbe al lettore, dicendogli cosa pensare e che idea farsi; come se noi fossimo scemi e non ci accorgessimo da soli delle atrocità che fanno quei due. Addirittura arriva sfiorare l’assurdo con frasi di questo tipo:

Il fango tratteneva le loro scarpe, nel vano tentativo di rallentare lo scellerato incedere.

Ma dubito che al fango interessi qualcosa.

E non riesce a trattenersi dall’insultarli nemmeno nei titoli di capitolo, ad esempio chiamandone uno “Bastardi come pochi.”

Inoltre, se vuoi raccontare in chiave romanzata un “personaggio storico”, non puoi metterti a giudicare, (Vi immaginate una frase del tipo “Quel cretino di Giulio Cesare…”?). Questo suo insultare i personaggi, per far capire che lui è totalmente contrario a tutto, va avanti per un po’ di pagine, poi per fortuna si dà una calmata.

PERSONAGGI

Se è vero che esistono cose scure che attraversano gli abissi oceanici come se fossero terra asciutta, vi sono altresì esseri malvagi che passeggiano nei cieli come fossero mari.

I personaggi di questo romanzo sono davvero tantissimi, ma l’autore è riuscito a caratterizzarli tutti, prendendosi più tempo per quelli principali, ma senza tralasciare nessuno, nemmeno chi compare per pochissimo. Bullington ha l’abilità di saper far capire al lettore come è fatto un personaggio utilizzando poche righe.

— conosceva bene il nome dei Grossbart, e si maledisse per non aver fiutato guai quando la sera prima si erano presentati alla casa padronale. Si confortò dicendosi che nessun uomo onesto può prevedere tanta abiezione.

Questo è ciò che è importante farci sapere di questo personaggio, non ci serve altro. Ed è bastato per darci un’idea.

Non potendo elencarli tutti, vi parlerò solo di quelli che mi hanno colpito maggiormente.

I FRATELLI GROSSBART

Erano Grossbart fin nelle midolla, e in molte regioni il nome ha ancora oggi un triste significato. Pur non essendo ripugnati quanto il padre o scaltri come il nonno, uomini orribili entrambi, i fratelli si dimostrarono anche peggiori. Il sangue può guastarsi in una generazione sola o stillare nei secoli qualcosa di veramente malvagio, com’è appunto il caso di quei due abominevoli gemelli, Hegel e Manfried.

Come c’era da aspettarsi, il lavoro migliore dell’autore è stato la creazione dei fratelli Grossbart.
È molto difficile costruire un’intera storia con dei cattivi come protagonisti. No, non parlo di anti-eroi o di persone tormentate che però sotto sotto si rivelano eroi, parlo proprio di cattivi. Gli scivoloni da evitare sono innumerevoli: da un lato c’è il rischio di andarci troppo leggero, che il lettore si affezioni e non li consideri più come cattivi; dall’altro si rischia di calcare troppo la dose presentando al lettore dei “cattivi perché sì” senza nessuna sfumatura, e cadendo quindi nella banalità.

Con i fratelli Grossbart, Bullington è riuscito a creare un equilibro per nulla scontato. Il lettore non si affeziona a loro, non prende le loro parti; tuttavia sono credibili e interessanti, al punto da catturarlo e spingerlo a leggere le cose più orribili, pur di sapere cosa accadrà loro.

Ecco qui di seguito le sfumature che più caratterizzano i protagonisti. (Sì, sono tante, lo so. Le ho riportate tutte per mostrarvi quanto impegno ci ha messo l’autore per fare un buon lavoro)

Senza pietà, ma non sempre

«Vi supplico,» gli occhi iniettati di sangue di Heinrich si spostavano freneticamente dalla porta di casa al figlio. «Mi dispiace, ragazzi, sul serio. Lasciatelo stare, e risparmiate le piccole». Le bambine strepitavano sempre più forte. «In nome di Dio, abbiate pietà».
«La pietà è una gran bella virtù», disse Hegel, strofinando l’immaginetta in legno della Vergine che aveva recuperato da uno spago al collo di Gertie. «Facciamogliela vedere noi cos’è la pietà, fratello.»

Il fatto che i fratelli non siano mai totalmente fedeli a loro stessi secondo me è un grande punto positivo, il “Sì, ma non sempre” è una caratteristica tipica umana, e in questi protagonisti è resa in pieno, rendendo coerente l’incoerenza.

NO PER GLI ANIMALI

Nella discesa Manfried si era avvolto una striscia di coperta al braccio sinistro e così riuscì a blandire il nemico insanguinato invitandolo a mordere. Gli parlò con gentilezza fino a che quello non si avventò sul lembo ondeggiante, ma non fece in tempo ad addentarlo che l’uomo gli spaccò la testa col levachiodi.

NO PER I BAMBINI

In men che non si dica i bambini se la batterono a gambe levate, ma la mazza di Manfried spezzò il fianco a un monello facendolo ruzzolare sul selciato. Hegel conficcò il suo piccone nella schiena di un altro, freddandolo sul colpo prima che potesse battere ciglio. Mentre il fratello versava acqua sul viso di Rodrigo, Manfried ridusse al silenzio gli strepiti del bambino ferito con una pedata sul collo.

SÌ PER LA RELIGIONE

Vedendo che il fratello si era chinato, di punto in bianco scomparendo dalla visuale, Manfried strillò: «Attento, fratello! Tagliagli quella gola bugiarda e torna subito qui».
«Abbiamo fatto una cazzata», rispose Hegel con voce rotta. «È un monaco».
«Un che?»
«Un monaco, vaffanculo».
«Oh cazzo». Manfried si accasciò sulla panca come un sacco di patate.
«Tornerete a posto in men che non si dica», disse Hegel alla sua vittima. «Scusatemi.»

Sensi di colpa

Invece di mettersi subito a dormire dopo il bagno, però, ognuno di loro rimase a lungo sveglio in quel pensare notturno tipico delle donne. Rodrigo assorto sulla Vergine, e su come avrebbe potuto intercedere per il suo defunto fratello, Manfried rimuginando sulla canzone della presunta ninfa, e Hegel che non riusciva a togliersi dalla mente quella bambina che aveva ammazzato senza pietà.

Al tempo stesso sarebbe stato troppo forzato il fatto che loro non vacillassero mai, quindi l’autore è stato attento a dosare bene questo senso di colpa, senza approfondirlo, perché è il personaggio stesso a non volerlo.

Non sono sadici

A differenza di molti Ospitalieri e ciprioti, né i Grossbart né Raphael presero alcun diletto nel massacro, e portarono a termine l’incarico con lo stesso spirito con cui gli uomini sono sempre andati a lavorare: pieni di tediato sdegno.

Questa è una precisazione molto importante nella resa finale: i fratelli non si divertono ad uccidere. Lo fanno senza problemi, ma solo se c’è un motivo e non provano nessun piacere nel farlo. Questo sicuramente non avvicina di molto il lettore a capirli o identificarsi, però non li separa totalmente.

Analfabeti

Di soppiatto, Manfried si era avvicinato a un grosso pino per incidere col pugnale il loro simbolo sulla corteccia: una rudimentale G, l’unica lettera che i fratelli analfabeti conoscessero.

Qui ho storto un po’ il naso. Più che altro perché l’autore si è concentrato molto per rendere verosimili i personaggi, ma non è stato altrettanto attento sul loro modo di parlare. Leggendo qualsiasi citazione dove parlano, noterete che il loro registro non rende bene l’idea di due persone talmente ignoranti da non saper nemmeno leggere o scrivere; parlano molto bene, con solo pochissime note rozze ogni tanto.

Cacciatori di tombe

«L’interno delle tombe rivela solo il futuro, mai il passato».
«Un frequente malinteso», confermò Hegel posizionando lo scalpello.
«Quale?», la testa di Ennio ribolliva. «Di che malinteso parli?»
«Be’», disse Manfried sollevando il martello, «il contenuto di questa casa di pietra ci dirà che ne sarà di noi. Se è piena di tesori, saremo ricchi, se non lo è, non lo saremo.»

Ottimisti

Il tratto aveva tutta l’aria di non essere stato battuto da un pezzo, ma i due rimanevano fiduciosi che prima o poi sarebbe confluito in una strada maestra che li avrebbe portati fino all’altro capo delle montagne. Naturalmente si sbagliavano, ma lo capirono soltanto dopo un po’.

Dei personaggi del genere, cupi, assassini, profanatori di tombe, danno l’idea che il loro carattere sia in un certo modo, e spesso, nei libri, i pensieri dei personaggi rispecchiano ciò che sono o fanno, ma l’essere umano è fatto di chiaroscuri, di contraddizioni, e anche i fratelli Grossbart.

Il gelo portato dalla notte li costrinse vicino al fuoco, ma il morale dei Grossbart si alzò insieme alle stelle quando si misero a discutere dei giorni e delle settimane a venire

Il linguaggio segreto

«Fratello» sussurrò Manfried in Grossbartese. «Dobbiamo restare calmi se vogliamo uscire vivi da qui e raggiungere le terre sabbiose. Calmi.»
«Calmi?». Hegel gettò alle ortiche il loro gergo privato.

Per due fratelli che hanno passato tutta l’infanzia da soli, senza mai parlare con altri, ci sta perfettamente che abbiano sviluppato un linguaggio tutto loro. Non potendo dare troppo approfondimento psicologico, l’autore si è servito di questi dettagli per mostrare i segni della loro infanzia.

Imbruttimento in seguito ad ogni cattiveria

L’autore ha deciso di fare una scelta molto vecchio stile, di rendere visibile la bruttezza interiore dei due protagonisti. Ogni volta che commettono un’atrocità, accade qualcosa che li segna indelebilmente a livello fisico. Questo si riallaccia anche al leitmotiv generale del romanzo, di cui parlerò poi riguardo il finale.

Manfried respirava in maniera regolare e la fronte non era né rovente né gelida. Gli aveva mozzato buona parte dell’orecchio destro e i ritagli nerastri giacevano a essiccare sul braciere.

A Hegel non era rimasto un capello in zucca e persino delle sopracciglia non restavano che due sbaffi neri e qualche bollicina.

Prima che raggiungesse la carne, inspiegabilmente il cavaliere lasciò andare l’arma e lo schiaffeggiò goffamente in viso, mentre la lama abbandonata a se stessa gli mozzava l’orecchio sinistro ancora integro.

La creatura aveva recuperato l’equilibrio e si era lanciata alla carica, e le sue fauci murine si erano scagliate con violenza sulla mano sinistra di Grossbart staccandogli due dita e anche la spada.

Fuori di testa ma, a volte, i loro discorsi hanno senso

«Era tutto quello che avevo», — tirò più volte su col naso. «Prima mia madre, poi papà, poi mio fratello, e adesso anche lui. Tutti morti».
Gli tornarono le lacrime agli occhi, ma prima che potesse voltarsi ancora verso il tramonto, Manfried lo acciuffò per i capelli tirandogli il cuoi capelluto, ancora malridotto e tappezzato di croste, e gli girò la faccia per guardarlo dritto negli occhi.
«Dimmi se non sta meglio dov’è ora», scattò Manfried, e quando il ragazzo lo fissò stravolto proseguì. «Sempre il solito scettico, eh? Ce l’hai il coraggio di dire che non sta meglio ora assieme alla Vergine, invece che su questa nave merdosa in compagnia di uomini con le mani sporche di sangue?»
«Voglio che lui…»
«Vuoi che lui cosa? Che torni a vivere e a soffrire invece di godersi la sua ricompensa? Vuoi che soffra insieme a noi? Questo è egoismo […] Pensaci. È andato dove andremo tutti, Maria sia lodata. Prova a farmi un esempio che dimostri che ora lui non sta meglio di prima, e io ti farò vedere che hai torto. Certo, gli eretici non ci arrivano, dov’è lui adesso, perciò se tu vuoi rivedere lui e il resto della tua gente corrotta faresti bene a dare una regolata al tuo miserabile culo».
«Cosa ne sai tu?» urlò — con la faccia luccicante. «Cosa ne sai? La testa non gli funzionava più già da prima che voi arrivaste, e l’avete fatto solo peggiorare. Lo sapevo, che l’avreste fatto solo peggiorare. Lo sapevo, che l’avreste portato alla sua fine.»
«Gli uomini arrivano alla loro fine da soli»

HEINRICH

Da ragazzi, i fratelli depredavano gli ortaggi non ancora maturi, fino a quando Heinrich non li attese al varco. Non contento di usare la verga o le mani, il contadino giustamente infuriato li pestò con il badile. Il naso fracassato di Manfried non riprese mai più la forma normale, e la natica sinistra di Hegel, ammaccata, portò per sempre l’onta della vanga.
Da quando i ragazzi erano svaniti nel nulla, Heinrich aveva avuto una vita baciata dalla fertilità, sia nei campi che nel letto, in cui dormiva con moglie e figli.

Lui è l’altro personaggio chiave della storia e, anche se i protagonisti si possono definire come “i cattivi”, lui non si può definire solo come “il buono”. Anche in questo l’autore non è stato scontato. Ho adorato il percorso di Heinrich e i suoi tormenti personali, e la frase che segue mi è rimasta impressa, anche a distanza di tempo. Penso che racchiuda bene l’essenza del romanzo.

Spoiler

Ad ogni giuramento il flagello era affondato nella schiena di Heinrich, ma le lacrime che versò non erano per la propria afflizione, bensì per ogni innocente che nutriva la falsa speranza delle scuse finali, di una spiegazione qualsiasi.

PADRE MARTYN

I corpi sventurati e miserevoli erano già in un avanzato stato di decomposizione perché si potesse distinguere uomo da donna o padre da figlia, e allora abbracciai il più ammuffito di tutti, gridando il suo nome tra le lacrime e il voltastomaco.

Lui è il mezzo di cui l’autore si serve per introdurre le tante tematiche religiose presenti nel romanzo. Un prete dal passato tormentato, che si aggrappa ancora alla religione più per disperazione che per fede.

La storia che lui racconta, mi è piaciuta soprattutto per le pulci nell’orecchio che l’autore ha abilmente disseminato, che mi ha fatto capire da subito una cosa importante:

Spoiler
In base alle ultime parole che la donna amata gli rivolge, si capisce che quelle erano l’unica cosa vera del racconto, e che tutto il resto era solo una verità che si era costruito per vivere meglio. Infatti poi verso la fine, lo ammette:

Chiuse gli occhi e ricordò il passato così com’era, non come l’aveva fatto diventare lui. I suoi pensieri scacciarono tutte quelle menzogne alle quali era stato quasi sul punto di credere, […] Il suo corpo si stava comportando in maniera bizzarra e aveva un forte bruciore al petto, ma nel chiostro della sua mente Martyn finalmente la perdonò per averlo abbandonato, anche se neanche morendo riuscì a perdonare se stesso. Forse Dio l’avrebbe fatto, pensò, e poi non pensò più.

Inoltre, la sua presenza permette una scena con i due fratelli che mi ha fatto ridere un sacco.

Exploit di Manfried

«Dite un po’, ma si può sapere cos’è questo “cazzo”?», chiese Martyn.
«Cosa?», disse Hegel.
«Chi?», disse Manfried.
«Cazzo», ripeté Martyn, «cazzo, incazzare, cazzata… quella parola che vi piace tanto. Un termine ingiurioso?».
«Oh, la “parola” cazzo», rise Manfried. «Come no, un termine ingiurioso, proprio così. Un villaggio vicino a dove siamo nati si chiama proprio Cazzen».
«E perché mai l’hanno chiamato come un’inguiria?», chiese Martyn.
«Me lo sono chiesto spesso anch’io», disse Hegel.
«Ma davvero?». Manfried sogghignò all’assurdità del fratello. «Non mi sorprende. No, Martyn, le cose stanno così. Cazzen è una cittadina piena di stronzi, ma di stronzi così coglioni che non basta chiamarli né stronzi, né stronzi coglioni e nemmeno stronzi coglioni dimenticati da Maria, ci vuole qualcosa di più forte per differenziarli dagli altri, e poi deve essere breve. Perciò quando uno è così coglione che sembra venire da Cazzen, lo chiamiamo cazzone o qualsiasi altra cosa si colleghi a Cazzen. È chiaro?»
«Credo di sì». Martyn alzò le spalle. «E come mai si parla tanto male di questi Cazzoni? Sono pagani?»
«Ci trovavamo a Cazzen per…», iniziò Hegel, poi incrociò lo sguardo del fratello e abbassò la testa.
«Per?», incalzò Martyn.
«Ci trovavamo a Cazzen e i cazzoni che ci vivevano ci hanno fatto incazzare di brutto prendendoci per quelle facce di cazzo buone a nulla che vivono in quella loro cittadina del cazzo. Allora ci siamo rotti il cazzo e per loro sono stati cazzi amari, ci siamo scazzati alla grande e alla fine ci siamo levati dal cazzo». Manfried era esasperato.
«Ma perché…», riprese il prete.
«E che cazzo, Martyn». Manfried aveva perso la pazienza. «È un cazzo di modo di dire, come merda, culo, coglione e chi più ne ha più ne metta, solo peggio, perché anche se ci fosse un villaggio di nome Merda sarebbe cento volte meglio di Cazzen, e i merdosi che ci vivrebbero assai più decenti. Significa che non dovete rompere il cazzo, significa che se uno ha qualcosa di serio da dire non tira in ballo quel cazzo di posto. Si usa per parlare di porcate e porcherie, come quel cazzo di demone che ci voleva fottere ma poi s’è ritrovato un gran cazzo in culo al posto nostro».
Ci fu un lungo silenzio, su quella panca, fino a che Hegel si schiarì la voce. «O l’organo maschile. Essendo atto a fare cose sconce, il termine si applica anche a quello».
«Giusto, cazzo», confermò Manfried.

AL – GASSUR

«Dì qualcosa di semplice, come “la tomba è piena d’oro per coloro che oseranno sfidare la muffa”»
«Immediatamente, illustre padrone». Al-Gassur fece l’inchino, e articolò una lunga sequela di parole senza senso, ma senza senso davvero, invece che la lingua di coloro che abitano nelle lande sabbiose al sud. Al-Gassur non udiva né pronunciava una sola parola d’arabo dai tempi dell’infanzia, avendo impiegato gran parte degli anni che da allora erano intercorsi per apprendere le lingue di quelli che cercava di gabbare. Ad ogni modo, i suoni che la sua bocca aveva prodotto a casaccio incantarono i Grossbart, che sogghignarono e annuirono a tutte le sue sciocchezze.

Qui l’abilità dell’autore si nota ancora. In questo paragrafo è racchiuso tutto ciò che dobbiamo sapere su di lui. È un personaggio secondario, non ha un vero scopo se non forse fare numero e creare qualche scenetta divertente, ma comunque l’autore si è preso la briga dargli caratteristiche precise.

IL LOUP GAROU

A giudicare dai radi ciuffetti di capelli, quella faccia rugosa doveva avere più di cinquant’anni, ma i denti e gli occhi sembravano forti e affilati. Non era il volto, tuttavia, a calamitare la loro attenzione.
Niente, dal mento in giù, aveva la minima sembianza umana, dato che il corpo somigliava in tutto e per tutto a quello delle pantere e dei leopardi che errano nelle regioni deserte. La pelliccia maculata era ispida e svariate gradazioni di colore contrastavano con qualche chiazza di pelle nuda. Quel sibilo era prodotto dalla coda spelacchiata che gli si agitava dietro la schiena, come se obbedisse a una volontà propria. Le zampe anteriori gli ciondolavano al di qua del ramo con gli artigli ricurvi che ritmicamente si ritraevano e si allungavano.

Le creature soprannaturali in questo romanzo hanno tutte un’entrata in scena significativa, ma essendo questa la prima che i protagonisti incontrano, l’autore ha avuto un occhio di riguardo. E il fatto che i fratelli siano ignoranti e facciano grande confusione con nomi e definizioni, fa sì che il lettore capisca di che creatura si tratti anche dopo molto tempo. Questo contribuisce a renderli parte integrante della storia senza stonare.

HOMUNCULUS

«Ma sono…» — deglutì quando vide che le facce dei neonati non erano nulla più che teschi color terra d’ombra, con solchi impenetrabili là dove avrebbero dovuto avere gli occhi. «Che cosa sono?»
«Homunculi da far invidia a tutti quelli come loro, il mio personale tocco di classe a un’antica ricetta». Indicò con la mano una pila di pergamene cucite assieme, che il contadino analfabeta non seppe riconoscere come un unico volume. «Il dono di un viaggiatore, tanto, tanto tempo fa.

La presenza delle creature soprannaturali è stata ben ponderata, al punto che l’autore ha seminato indizi e collegamenti già molto prima che apparissero. Ho adorato il loro aspetto terrificante e soprattutto la loro creazione, ma per illustrarvela devo prima parlarvi della strega.

LA STREGA

A ricambiargli lo sguardo, trovò la persona più vecchia che avesse mai visto, una donna di sessant’anni o forse più. Che fosse una donna lo si evinceva soltanto dall’assenza di barba, giacché il volto, teso e crepato al tempo stesso, non forniva altri indizi. Era calva – salvo l’ombra di qualche capello bianco – avviluppata in stracci, il corpo bulboso che contrastava con il viso emaciato.

Questo è il personaggio che ho preferito di più, insieme ad Heinrich. È talmente ben costruito, talmente radicato nella storia attraverso mille collegamenti, da dare l’impressione che lei esistesse nella mente dell’autore prima di tutti gli altri, forse anche dei fratelli Grossbart.

Anche lei come padre Martyn racconta la sua storia, ma essa presenta lo stesso problema affrontato in alcuni racconti di Hyperion: è in terza persona. Il motivo della scelta è legato al colpo di scena, ma questo non toglie che la scelta stessa, lo renda un po’ scontato. Tuttavia, questo non riesce ad affossare l’originalità e la vena dissacrante del suo racconto.

La creazione degli Homunculus, le sue rivelazioni e quello che le succede più avanti, poi, è forse ciò che più ho amato in questo romanzo.

Spoiler

Hegel slacciò il sacco e guardò all’interno. Corrugò la fronte e poi diede un’occhiata più approfondita. Anche Manfried con grande sforzo si rialzò e diede una sbirciata.
«Che roba è?», bisbigliò Hegel, più bianco del latte.
«Denti?». Manfried ne estrasse una manciata.
«Quelli dei miei bambini», sospirò lei.
Manfried gettò via i denti e si ripulì la mano sulla tunica. «Falla fuori!», strepitò, ma poi cascò addosso al fratello, che per sostenerlo dovette mollare il sacco.
«Tempi di magra». Forse aveva gli occhi velati di lacrime, ma la stanza era troppo buia perché i fratelli potessero esserne sicuri. «Seminavamo a inizio primavera per essere certi che sarebbero arrivati prima della neve. A quel punto avrei avuto latte a sufficienza per tutto l’inverno, e anche un po’ di carne».

Ho adorato la sue creazione degli Homunculus e il fatto che la sua morte, sia stata la stessa che lei ha arrecato ai suoi figli.

«Come?», Heinrich le strinse una mano nella sua. «Che significa?»
«Uno per ciascuno», gorgogliò lei, mentre i piccoli le risalivano lungo le cosce, «un orecchio ciascuno per sentire i tuoi comandi, cosicché io dall’inferno possa udire l’urlo dei Grossbart. Un occhio ciascuno, per dare la caccia alla loro preda, e così anch’io potrò vedere i Grossbart che muoiono. Metà naso per fiutarli e inalare l’ultimo respiro esalato dai polmoni dei Grossbart. Metà cuore per sopravvivere, per sopravvivere a tutte le ferite. La lingua…» Ma le istruzioni si tramutarono in un urlo, quando presero a divorarle la zona da cui erano appena nati.
«La lingua?» Heinrich si disse tra sé e sé, ma lei smise di gridare e riprese a impartire i suoi assurdi ordini.
«La mia lingua», e il sangue le ribollì proprio attorno a ciò di cui stava parlando, «la mia lingua. Lingua.»
«Tagliata in due affinché possano parlare. Giusto?»
Lei provò a ridere o a lamentarsi, i suoi gorgoglii rendevano difficile capirlo. «No. La mia lingua. Mangi tu. Altrimenti. Ti mangeranno. Vivo.»

Inoltre, a questo personaggio è legata la scena di sesso più balorda, disgustosa e divertente che io abbia mai letto. L’autore qui si è proprio divertito nel voler mettere alla prova il lettore. Infatti, quando sono arrivata a questa scena, ero in biblioteca, e ad ogni paragrafo non sapevo se prima disgustarmi o ridere, quindi facevo entrambe le cose insieme, sembrando una matta. Probabilmente gli studenti che erano lì si chiedevano che facoltà frequentassi per ridere (o impazzire) così.

Scena di sesso balorda

La vecchia rugosa non era diversa da come gli era parsa prima di ingollare la pozione, ma lui non ricordava più neanche le cose più semplici, come il veto sui piaceri carnali impostogli dalla fede o l’avversione e il disgusto della società per le donne che avessero superato la pubertà da più di dieci anni. La vedeva per la bellezza che era, per quanto bellezza assai avanti negli anni.
Inginocchiatosi in segno di costrizione, Hegel strisciò verso la padrona di casa, che divaricò le gambe sulla sedia per meglio accogliere il suo visitatore. Una irresistibile fragranza di caprino emanata da cosce istoriate di indaco e code come la ricotta gli stuzzicò il naso bulboso, che andò di filato a stuzzicarle il monticello, e mentre con la mano sinistra Hegel si faceva largo tra gli stracci, con l’altra si arrabattava per slacciarsi la cintura.
La pelle era fredda e poco mancò che la lingua non lingua non gli restasse appiccicata tra le pieghe gelide, mentre si fondevano con quella nuvola sbiadita che gli solleticava le narici. Lei lo istruì pazientemente fino a che lui non fece zampillare un tremulo fiotto, un’umidità dissetante e tonica che gli rinfrescò la gola arsa proprio quando lei si divincolò, cadendo dalla sedia, e con una spinta lo fece stendere a pancia in su. Assaporando se stessa nel bacio, gli si piantò sulla zappetta per farsi dissodare il solco, e le manone ruvide di Hegel seppero essere sorprendentemente delicate mentre lei gli guidava le dita dai seni al didietro passando per la bocca e ancora sui seni.
«Come ti chiami?», ansimò Hegel, angosciato all’idea di non riuscire a scoprirlo prima di perdersi nell’oblio. Sentiva che qualcosa d’importante stava bollendo in pentola e in un modo o nell’altro doveva saperlo prima che fosse troppo tardi. «Ti prego».
«Chiamami Maria». Sogghignò lei, e s’infilò un’altra volta il dito di lui in bocca sfregandoglisi addosso.
Hegel si esaurì in breve ma lei continuava a dimenarsi anche quando lui si fu bloccato e, prima ancora che potesse protestare o perder nerbo, la sua amante dalla pelle vizza ricorse a tattiche da lasciare basita la meretrice più esperta di tutto il Sacro Romano Impero, e ben presto Hegel ebbe un’altra occasione. Rinvigorito, si rimise a sbatacchiarla avidamente, senza lasciarle riprendere fiato. Con gli occhi inchiodati su una seducente macchiolina color fegato che faceva capolino tra le increspature della pappagorgia, Hegel non aveva modo di sapere con quanta rapidità sarebbe svanito l’effetto della pozione e quando le sue antiche convinzioni sarebbero ritornate.
La attrasse a sé e le loro lingue restarono avviluppate fino al culmine. Sicché lei sciolse il bacio, lasciando solo un ponte di saliva a congiungere le loro bocche ansanti, e la visione della celestiale Maria si dissolse per fare largo all’abominevole strega.
Con i seni appassiti che le dondolavano davanti, si passò la lingua sui pochi denti che ancora aveva, troncando il loro vincolo di bava. Lui si avvizzì proprio quando stava venendo nell’algida viscosità di lei.

STILE

«Quegli ignobili Grossbart?», l’uomo lo guardò minaccioso e lo tirò per un lobo.
«Presenti», disse Hegel.
«E garanti», aggiunse Manfried.

Il punto forte di questo romanzo sono la trama e i personaggi. Lo stile non ha brillato particolarmente, ma non ci sono difetti talmente gravi da affossare l’intero romanzo; tuttavia, sono una Rompiballe e qualcosa trovo sempre.

TERMINI SPLATTER TROPPO GENERICI

L’autore tende spesso a raccontare ciò che invece renderebbe meglio mostrandolo. Nelle scene splatter sembra voglia impressionare il lettore senza però sforzarsi di andare troppo nello specifico.

Il cavallo, mentre si rotolava e scalciava sconvolto dal dolore, lo intrappolò maciullandogli le gambe.

[…] senza più fiato com’era, con le gambe spezzate e un cavallo che gli schiacciava la parte inferiore del corpo sul sentiero, riducendola in poltiglia.

Continuò a fracassare la testa di — fino a quando il cranio non gli sì spaccò, e un diluvio di ossa e succhi gli si rovesciò addosso.

BEI DIALOGHI

«Encomiabile Hegel. Magnificente Manfried», Al-Gassur si chinò goffamente, infilandosi il piccione nella tunica. «Vi ho intravisti dai cespugli allorché vi appropinquavate, e mi sono interrogato sulla cagione per la quale dei maestri della vostra fatta si aggirassero in luoghi sì meschini quali quelli in cui mi trovo a risiedere».
«Che? Chiudi il becco.»

Gran parte della caratterizzazione dei personaggi l’hanno fatta i dialoghi. È una bel modo di mostrare come sono, invece di darci la pappa pronta raccontarcelo. Adoro i dialoghi ben studiati, e qui ho avuto molte soddisfazioni.

«Se cadi da un carrozzone, ti rialzi e cammini». Hegel ondeggiava sulla banchina fissando il mare. «Da una nave, non puoi fare altro che morire».
«Sapete nuotare?» chiese Rodrigo.
«Ci stai dando degli stregoni?» Manfried gli sbatté la barba in faccia.

Io quando leggo dialoghi che mi piacciono

RACCONTATO NECESSARIO

La carneficina che ne seguì è ben documentata altrove, e neanche le donne e i bambini riuscirono a scampare al massacro. Gli ignari cittadini fuggirono come meglio poterono, ma non prima che le onde che si infrangevano sulla banchine si tingessero di cremisi e i canali di scolo fossero inondati di sangue.

Il raccontato si usa spesso per risparmiare spazio, utilizzandolo magari in scene di poca importanza. Per questioni di lunghezza, però, nella seconda parte l’autore ha iniziato ad usarlo sempre più spesso per risparmiare pagine e, nonostante sia riuscito a creare comunque dei paragrafi efficaci, la narrazione sbilanciata si sente parecchio. Si percepisce l’esigenza di concludere tutto al più presto.

«Ne ho abbastanza per una vita intera, di questa merda», disse Manfried tirando con la balestra al primo Mamelucco che aveva toccato la sponda, e insieme si lanciarono a capofitto nella più feroce e grandiosa battaglia della loro vita.


Ma come, proprio sul più bello?

ANTICIPAZIONI

Si disse che alla fine di tutta quella faccenda si sarebbe recato in chiesa, e dagli occhi gli sfuggì una lacrima solitaria. Se avesse saputo del putiferio che si preparava all’orizzonte, ne avrebbe versate molte di più.

Io non sopporto le anticipazioni, non posso farci niente. So che spesso gli autori in generale le usano per invogliare il lettore a continuare, ma in questo caso secondo me sono totalmente superflue. La storia è interessante di per sé, non c’è bisogno che il l’autore ci convinca ulteriormente.

Manfried non poteva sapere quanto quella sua affermazione si sarebbe rivelata erronea.

I quattro si imbarcarono in un breve e acceso dibattito sull’opportunità di correre il rischio di legargli le mani prima di tirarli su. Decretarono infine che avrebbero sempre potuto colpirli con la balestra o pugnalarli, se mai fossero riusciti a liberarsi, e fu così che decisero anche il proprio destino.

DESCRIZIONI EFFICACI

Erano tutti e due di media statura ma scheletrici di costituzione. Manfried possedeva enormi orecchie sproporzionate, e in confronto al naso di Hegel, parecchie rape sarebbero parse banali per dimensioni e bitorzoli. I capelli rossicci e le sopracciglia cespugliose di Hegel contrastavano con l’argento arruffato della zucca del fratello, ed entrambi avevano visi butterati e scarni.
Avevano appena venticinque primavere ma portavano una barba di tale lunghezza che anche da vicino li si prendeva spesso per vecchi. Chi tra i due l’avesse più lunga, poi, era frequente motivo d’alterco.

Le descrizioni sono prive di dettagli inutili o banali, e con un ritmo narrativo che non annoia.

IL NARRATORE ONNISCENTE

I fratelli erano convinti che il padre avesse seguito il nonno nel Gitto, lasciandoli a marcire con la madre violenta e alcolizzata. Se avessero saputo che, in realtà, era finito come becchime per corvi e senza un soldo in tasca, chissà se avrebbero alterato il corso delle loro vite e maledetto meno il suo nome, o forse ancor più.

Il narratore onnisciente è spesso odiato dagli altri della mia razza (i Rompiballe), tuttavia in questo caso, essendo una narrazione con impronta storica ci sta bene, e l’autore è stato comunque molto attento a ridurre al minimo informazioni inutili.

La mia razza quando vede un libro decente

FINALE

Le perle del deserto sarebbero rimaste sottoterra in eterno e soltanto la sua barba avrebbe prosperato nella tomba.

Come dicevo, il leitmotiv di questo romanzo è che tutti, nessuno escluso, alla fine hanno esattamente quello che si meritano. Questo rende il finale e vari epiloghi davvero entusiasmanti e originali. È un finale completo, che non lascia dubbi e tuttavia cerca di crearne. Davvero molto bello.

Spoiler

Si trovavano in una sala enorme, di gran lunga più spaziosa di qualsiasi altro sepolcro che avessero mai depredato prima. Brontolando si dissero entrambi che doveva esserci sicuramente un’altra scalinata o un’altra uscita da qualche parte del sotterraneo. Si sbagliavano. […] Da tempo immemore gli abitanti di quei luoghi giurano che mangiare la carne di una sirena doni l’immortalità. È forse possibile, dunque, che i fratelli Grossbart si trovino ancora in quella tomba senza luce, sepolti sotto la sabbia, a stiracchiarsi la barba per i secoli dei secoli.

CONCLUSIONE

Un romanzo davvero insolito e originale, dai temi e argomenti molto forti. Non è per tutti, ma per chi vorrà provarci di sicuro sarà un’esperienza interessante. Se cercate qualcosa di totalmente diverso e fuori dagli schemi, leggetelo, ma ricordate di tenere la mente aperta.

Voto: 8,5/10

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