“Sappiamo che un mondo senza dolore è un mondo senza sentimento… ma un mondo senza sentimento è un mondo senza dolore.”
Per quanto la storia sia molto personale, intensa e definita, questo è uno dei romanzi più soggettivi che io abbia mai letto. Questo perché ogni parere, dipende da ciò in cui crede il lettore, e ogni versione ha molti lati plausibili. Gli psichiatri dicono che si tratti di personalità multiple, il sistema giudiziario americano tratta Billy Milligan come un semplice criminale, e lo scrittore ci suggerisce addirittura una terza possibilità, sebbene non ne parli mai in modo esplicito, ma mette la pulce nell’orecchio al lettore di continuo, lo fa dubitare, lo fa riflettere e gli dà il materiale per mettere ogni cosa in discussione.
Sono rimasta affascinata dall’abilità dell’autore nel caratterizzare ogni personalità, creando dei veri e propri personaggi. Il loro lato umano è così reale che inquieta, sconvolge e commuove.
“«Non sapevo neanche che stavo venendo fuori sul posto. Qualcuno si è fatto male in prigione e sono venuto a prendermi il dolore.»
«Me lo spiegheresti?»
«Arthur dice che sono il guardiano del dolore. Quando qualcuno si fa male, sono io che vengo fuori sul posto e lo sento.»
«Dev’essere terribile.»
Annuì, con gli occhi lucidi. «Non è giusto.»”
La trama è divisa in tre parti, con cronologie differenti che arrivano a coprire tutta la storia dettagliata del protagonista, forse anche troppo dettagliata; molte parti sono lente, i documenti riportati di continuo dopo un po’ stancano, ma capisco che l’autore abbia voluto essere scrupoloso per evitare di non essere preso sul serio. Nonostante in alcune parti si faccia un po’ di fatica, alla fine non si rimane delusi.
L’obiettivo di questo romanzo, oltre a raccontare la storia di Billy Milligan e di sfruttare la corrente mediatica del suo caso, è quello di parlare della violenza su minori, delle conseguenze e di dove a volte arrivi un essere umano pur di proteggere se stesso e la sua mente.
La sua vicenda è molto forte, violenta e drammatica, ma l’autore dimostra una grande umanità, sorvolando sui dettagli più scabrosi, che tanto attirano il pubblico ma che spesso mancano di rispetto al dolore delle persone coinvolte. Perché si parla di persone vere, e il lettore non lo dimentica mai.
“Qualche giorno dopo, nel minigruppo, Arthur permise a Billy di prendere di nuovo il posto e di lavorare con la creta. Nick lo incoraggiò a modellare una testa, e Billy ci lavorò per quasi un’ora, formando una palla con la creta, aggiungendo dei pezzi per il naso e per gli occhi e premendoci dentro due palline per le iridi.
«Ho fatto una testa», esclamò orgoglioso.
«È fatta molto bene», disse Nick. «Chi dovrebbe essere?»
«Deve essere qualcuno?»
«No, solo pensavo che magari lo era.»
Non appena Billy distolse lo sguardo, Allen prese il posto e guardò disgustato la testa di creta: era solo una massa grigia con delle palline d’argilla infilate dentro. Afferrò la spatola con l’intenzione di darle un’altra forma. L’avrebbe trasformata in un busto di Abramo Lincoln o forse di George Harding Jr., e avrebbe fatto vedere a Nick cos’era la vera scultura.
Quando si mosse verso la faccia, l’attrezzo gli scivolò, conficcandoglisi nel braccio e facendolo sanguinare.
Allen restò a bocca aperta. Sapeva benissimo di non essere stato così goffo. Improvvisamente, si sentì scaraventare contro il muro. Accidenti. Di nuovo Ragen.
«Cos’ho fatto stavolta?» mormorò.
La risposta gli rimbombava in testa. «Non devi mai toccare lavoro di Billy.»
«Ma porca… volevo solo…»
«Volevi darti arie. Far vedere che tu artista di talento. Ma adesso è più importante che Billy segua terapia.»”
Il modo in cui le personalità (o persone, come insistono nel farsi chiamare) tentano in tutti i modi di proteggere Billy mi ha davvero scosso. Leggere i loro dialoghi è stato affascinante, al di là di quello che si vuole credere. Perché io penso che la verità, in questo caso, sia nel mezzo; dovendo scegliere, però, l’ipotesi dello scrittore sicuramente è quella che preferisco, ma io sceglierei sempre l’ipotesi più bizzarra, non faccio molto testo. È un romanzo che per essere apprezzato ha bisogno che il lettore ci creda, quindi perché non dargli un po’ di fiducia?